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Il Papa torna dal Kazakistan guardando a Pechino

Sfiorato l’incontro con Xi Jinping, sul volo di ritorno dal Kazakistan Francesco tocca varie questioni dall’accordo sulla nomina dei vescovi al processo al cardinal Zen: «un anziano [...] che dice quello che sente», ha detto, senza voler qualificare la Cina come «democratica o antidemocratica».

Ecclesia 16_09_2022

3649 km. Questa è la distanza che separa Nur-Sultan da Pechino. La meta dell'ultimo viaggio fatto dal Papa e la meta del viaggio che vorrebbe fare. Ieri sera Francesco è tornato a Roma dopo la tre giorni in Kazakistan durante la quale il fattore C ha aleggiato ancora prima di atterrare.

La curiosa circostanza della contemporanea presenza del Papa e del presidente Xi Jinping nella capitale kazaka aveva servito l'assist ai giornalisti accreditati sul volo d'andata: incontro o non incontro? Francesco aveva risposto di non avere notizie, ma confermando la sua piena disponibilità ad andare in Cina. Una replica che non aveva chiuso del tutto la porta al faccia a faccia con il leader comunista a Nur-Sultan. Indice di un lavoro dietro le quinte della diplomazia vaticana per provare fino all'ultimo ad organizzare un incrocio nella giornata di martedì?

Non è un mistero che nel 2019, in occasione del soggiorno romano di Xi Jinping, la Santa Sede aveva fatto filtrare attraverso i canali diplomatici la sua disponibilità ad ospitarlo nel Palazzo Apostolico ma i tempi non erano ancora maturi per le autorità cinesi. Il viaggio in Kazakistan, comunque, è stato importante sull'asse Roma-Pechino sebbene non ci sia stato l'incontro che il Vaticano forse vorrebbe. Importante perché, dopo che Bergoglio si è dichiarato «sempre pronto» ad andare in Cina, il portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning ha fatto sapere che Pechino «apprezza la benevolenza e la cordialità» papale e continuerà a «comunicare col Vaticano», assicurando la «disponibilità a dialogo e cooperazione».

In ballo c'è il rinnovo dell’Accordo Provvisorio riguardante la nomina dei vescovi che scadrà a fine ottobre. Il Papa ha già detto di augurarsi un ulteriore rinnovo, ritenendo che l'intesa «va bene» e in questo senso si è già espresso anche il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin nel corso di un'intervista recente al Tg2. Di mezzo, però, c'è quella che Pier Luigi Bersani chiamerebbe la «mucca nel corridoio»: lunedì, infatti, comincerà ad Hong Kong il processo al cardinale ultranovantenne Joseph Zen alla sbarra con l'accusa di collusione con potenze straniere. La colpa del porporato sarebbe quella di non aver registrato un fondo di beneficienza per attivisti pro-democrazia di cui era amministratore fiduciario.

Zen era atteso a Roma a fine agosto per partecipare alla riunione dei cardinali sulla nuova Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium. Poteva essere l'occasione per parlare di persona con Francesco dopo il mancato incontro che fece rumore due anni fa, quando il vescovo emerito di Hong Kong poté soltanto consegnare una lettera al segretario del Papa ma non fu ricevuto a Santa Marta. Sembra che il cardinale avesse confermato inizialmente alla Segreteria di Stato la sua presenza tanto da essere inserito in uno dei gruppi linguistici. All'ultimo però avrebbe preferito dare forfait, temendo presumibilmente che una volta lasciata Hong Kong non sarebbe stato facile per lui farvi ritorno. E Zen ha scelto da sempre di essere, citando una bella espressione del Santo Padre, un pastore con l'odore delle pecore, determinato a rimanere al fianco della popolazione di Hong Kong pro-democrazia che lo considera un simbolo.

Sul volo di ritorno per Roma il Papa ha parlato di Cina ed anche di Zen definito «un anziano che andrà a giudizio in questi giorni» e che «dice quello che sente». Bergoglio ha riconosciuto che «ci sono delle limitazioni» ma ha poi aggiunto che «qualificare è difficile” perché dal suo punto di vista sarebbero «impressioni». «Più che qualificare io mi sento di appoggiare la via del dialogo», ha sentenziato il Pontefice. È tornato, poi, ad elogiare il dialogo in corso definito «lento perché  il ritmo cinese è questo». «Qui in Vaticano – ha spiegato – c'è una commissione per il dialogo che sta andando bene. La presiede il cardinale Parolin e lui in questo momento è l'uomo che più conosce della Cina, è in dialogo con i cinesi».

Infine, Francesco ha detto di non sentirsela di qualificare la Cina come «democratica o antidemocratica» sostenendo che «ci sono cose che a noi sembrano essere non democratiche». Parole che, inevitabilmente, sono destinate a far discutere.