“Il nostro matrimonio era morto, poi Gesù lo ha salvato”
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I rapporti nel peccato, il matrimonio, i problemi sessuali, la pretesa di cambiare l’altro, fino alla separazione dopo 23 anni. Ma tutto cambia quando entrambi scoprono cosa significhi mettere Dio al centro. La Bussola intervista Alfonso ed Elisabetta, sposi che oggi fanno apostolato tra le coppie.

Quello che Elisabetta si era giurata quando a vent’anni decise di sposare Alfonso, allora ventiquattrenne, si è realizzato solo quando quella promessa era sepolta sotto le ceneri del fallimento umano: «Noi faremo la differenza, dimostreremo al mondo che non siamo troppo giovani per sposarci e che il matrimonio non è la fine della gioia». Avevano ragione questi coniugi che oggi insegnano (qui il loro sito e libro) a decine di coppie in difficoltà che «il matrimonio è la via della santità, della felicità, della realizzazione», ma allora non conoscevano la strada. «Il punto è il come si vive l’amore coniugale e con Chi: noi non lo sapevamo, infatti i problemi a livello sessuale sono sorti appena dopo le nozze. Mentre prima, vivendo i rapporti prematrimoniali nel peccato, non avevamo alcun disturbo».
Alfonso usava sua moglie «come un oggetto di piacere» e Betti non provava alcun desiderio sessuale. L’arrivo dei due figli, però, tamponò le mancanze: «Erano una novità e con loro sono arrivate nuove amicizie». Ma, insieme ai figli, «cresceva anche il senso di vuoto che ributtavamo l’uno sull’altra provocandoci ferite e di conseguenza causandole anche a loro».
Sposati in Chiesa per tradizione, non sapevano che «soffrivamo della mancanza di Dio. E questo problema emergeva proprio nell’intimità: se l’amore non è donazione ma pretesa, la donna si sente usata e vive come un tradimento». Alfonso spiega: «Se lei si concedeva ero nel pieno del vigore, altrimenti, dopo mesi di astinenza, arrivavo a dirle: “Fatti un amante così capisci cosa sia un rapporto intimo”, mentre Betti mi rispondeva di trovarmi un amante così da lasciarla stare». A quel punto lo psicologo la mandò dallo psichiatra che le disse che il suo problema era solo la punta di un iceberg e che avrebbe dovuto affrontare un percorso duro: «Grazie a Dio – spiega Betti – non potevo permettermelo, in ogni caso mi sentivo quella sbagliata. Di qui il ricorso alla pornografia che non fece che aumentare il problema, perché la sessualità vissuta in preghiera è fonte d’amore, altrimenti è violenza».
Il rapporto intimo era lo specchio della pretesa che Betti e Alfonso vivevano nella relazione, «che l’altro fosse come io lo immaginavo», spiega lei: «Non a caso lo svilivo come uomo e padre: se sgridava i figli alzavo il sopracciglio a dire loro “lasciatelo perdere”. E se lui mi feriva, anziché dirgli con carità che mi aveva fatto male, l’orgoglio mi metteva il broncio per giorni. Eravamo diventati un peso l’uno per l’altro».
Quali gli effetti sui figli? Spiega Betti: «Erano del mondo perché noi non eravamo uniti nel bene: non sapevo dire “no” alla discoteca a mia figlia quattordicenne, anzi mi ero trasformata in una adolescente. I nostri figli crescevano disorientati senza educazione a discernere il bene dal male, senza regole, quindi fragili. I figli poi sono stati un nostro idolo», perché «se non la cerchi nel Signore, chiedi anche a loro di essere la tua soddisfazione». Le aspettative sui figli erano tali che «il maschio cresceva con una scarsa fiducia di sé, non si sentiva mai adeguato, mentre la femmina, caricata di pesi che non poteva portare, era piena di paure». Anche lo sport e la forma fisica furono un cerotto alle mancanze di Alfonso e Betti, ma le illusioni presentano il conto e «dopo 23 anni di matrimonio arrivammo al punto di rottura».
La cosa curiosa è che la decisione arrivò quando Betti incontrò Dio. «Eravamo stati al seminario di Tarcisio Mezzetti, un carismatico», da cui lei tornò decisa ad andare a Messa tutti i giorni, mentre Alfonso si allontanava sempre di più dalla Chiesa. Infatti, «anche le cose di Dio possono essere usate come una fuga, mi sentivo avanti a lui, avevo Gesù e mi bastava, non capivo che se fai un cammino di fede e non ami di più tuo marito c’è qualcosa che non va». Betti venne infatti agganciata da una famiglia che si occupava di aiuto alle coppie per la diocesi: «Mi parlarono per la prima volta di Gesù come vivo e operante, ma di qui in poi cominciò la manipolazione: se non agivamo, pensavamo o facevamo come dicevano loro eravamo dannati. Mi dicevano che ero santa e che dovevo abbandonare mio marito altrimenti sarei finita male, oggi senza arrivare a questi livelli ci rendiamo conto di quante persone usino i gruppi di preghiera o i movimenti come fuga dal loro matrimonio. Ma se Dio non ti porta ad amare di più tuo marito vuol dire che stai vivendo la relazione con un idolo, non con Cristo».
Dopo la separazione Betti viveva un senso di liberazione enorme, mentre Alfonso si disperava e pensava al suicidio, «finché – spiega Alfonso – prima di andare in ufficio decisi di entrare in chiesa, lessi la parola sul Lezionario e cominciai a piangere di commozione ma poi andai al Crocifisso incolpandolo: “Lei ti ha conosciuto e guarda cosa è accaduto!”. Così ogni mattina cominciai ad andare lì. A quel punto incontrai fra i miei colleghi un gruppo di Comunione e Liberazione (Cl), uno di loro mi abbracciò nella mia disperazione. Andavo a casa sua, lo vedevo felice con la sua famiglia e mi chiedevo dove fosse il segreto. Lui mi portò alla Scuola di comunità di Cl, solo che non capivo molto, allora lessi diversi libri di don Giussani (fondatore di Cl) ed era come se lui in persona mi facesse scuola. Capii che volevo una vita come quella che descriveva, ma non mi bastavano le loro riunioni, avevo bisogno di pregare e lodare il Signore, così partecipavo anche alla preghiera carismatica».
Nel 2009, nove mesi dopo la separazione fisica, arrivò quella legale. L’udienza era fissata per il 15 ottobre. Alfonso sapeva che era la data di nascita di don Giussani e lo pregò. Betti pregava invece santa Teresa d’Avila di cui ricorreva la memoria liturgica. «Il miracolo era vedermi andare in tribunale, ferito, ma lieto, ero così pieno del Signore che non mi mancava più nulla», ricorda Alfonso che decise di stravolgere le richieste avanzate con il suo avvocato dicendo alla moglie che le avrebbe lasciato tutto, la casa e anche la maggior parte del suo stipendio. «Ero sconvolta – prosegue Betti – perché è solo Uno che ti dà senza chiedere niente in cambio ed è Gesù. Rincorsi Alfonso fuori dal tribunale e gli chiesi di bere un caffè: parlammo ore, mio marito era trasformato. La sera stessa decidemmo di andare a trovare Tarcisio Mezzetti ad un suo seminario».
I due sposi entrarono per mano spiegandogli che si erano appena separati ma che fra loro stava nascendo una grande amicizia: «Pensavamo entrambi che se ci fossimo riavvicinati avremmo rovinato l’altro, ora così felice senza di me». Ma lui rispose: «Ah sì? E se lui morisse ora?». Betti scoppiò a piangere e Mezzetti continuò: «Vedi, la differenza fra il bene e il male è la verità. Il Signore non vuole che vi separiate. Questa sera unitevi, non per desiderio ma per volontà e chiedete al Signore di mandare il suo Santo Spirito. Vi assicuro che da quel momento diverrete inseparabili». Fu così che «sperimentammo l’effusione dello Spirito Santo, piangemmo perdonando e chiedendo perdono di molte cose». Di qui cominciò un lavoro enorme sul versante relazionale e su quello spirituale. Qualche esempio? «Grazie alla consacrazione della famiglia che Alfonso fece a Lourdes prima di rivederci in tribunale – ricorda Betti – mi ero liberata dalla coppia di manipolatori, poi imparammo a chiedere l’amore a Dio andando a Messa ogni giorno, pregando insieme e in comunità, per non pretendere dall’altro ma anzi per fare a gara nel servire il coniuge. Abbiamo smesso di tenere il muso chiedendoci perdono e oggi difendiamo gli spazi della nostra coppia coniugale, anche dai figli. Andavamo a Medjugorje, incontravamo le persone che potevano aiutarci nel cammino, eravamo sempre alla ricerca della sola cosa che poteva colmarci: Dio». Di qui i frutti dello Spirito, la pazienza, la carità, la benevolenza.
Oggi che Betti e Alfonso fanno apostolato fra le coppie con seminari in giro per l’Italia e a Medjugorje ricordano che «il Signore viene per i malati: noi ne siamo la prova, l’importante non è il risultato immediato, ma l’obiettivo in una strada in cui rialzarsi sempre». Ma se Dio con le macerie ha fatto un’opera nuova cosa dire del male inflitto ai figli? «Ad un certo punto il maschio cominciò a farci pagare il conto. Ci faceva impazzire, bigiava, la preside ci chiamava costantemente, allora dissi: “Alfonso, consegniamolo al Signore”. Gli chiedemmo scusa per tutto il male che gli avevamo fatto, dicendogli che era libero di decidere se studiare o meno. Lui ci disse che voleva cambiare liceo e da lì in poi non ci diede più da pensare». Ma al di là dello studio non mancarono altri problemi con i figli: «Dipendenze, ipocondria, fatiche relazionali, ma la richiesta di perdono per ogni errore commesso con loro, la nostra conversione, la preghiera e i digiuni a pane e acqua li hanno aiutati. Anche se a cambiarli veramente è stato il loro incontro personale con Cristo. Oggi sono due sposi e genitori in cammino con Dio».
Cosa dire a chi non vive questa unità nella fede con il coniuge? «Sei tu – spiega Alfonso – che devi desiderare di cambiare per vivere come Cristo. Non è obbligando o trascinando l’altro agli incontri religiosi che lo cambi. Non salirà mai sulla barca di Gesù mentre tu sei a bordo schifandolo perché lui è a riva, devi essere tu, come Gesù, a sacrificarti per lui. Chiedi questo amore, che è il solo che può convertire». E cosa dire ancora alle mogli o ai mariti abbandonati dal coniuge? «Resta la fedeltà al Signore che trasforma il dolore in pace e ti fa dare un nome alle tue ferite e al male fatto. Se sei davvero unito a Dio devi arrivare a chiedere perdono facendo la lista di “quella volta che ti ho umiliata così, che non ti ho difesa, che non ti ho ascoltata, che ti ho usata”». Per Betti e Alfonso siamo malati di egocentrismo quando pensiamo che «saremmo felici se mio marito cambiasse, se mio figlio cambiasse. Questo rende la vita un inferno, perché dai agli altri il potere di farti del male: rinuncia alla tristezza, alla critica, al risentimento, non devono avere potere su di te. Smetti di pretendere che gli altri cambino. E cerca l’amore solo da Chi lo può dare, Gesù, che è morto sulla Croce per te e viene nel fango per tirarti fuori, renderti santo, perciò appagato».