Di fronte alle conseguenze socialmente e politicamente sempre più distruttive di tale stato di cose sarebbe ora di rimettere davvero in discussione questa “filosofia” che ha sempre ferito a morte tutte le classi sociali e tutte le civiltà che l’hanno fatta propria. Fu così per l’aristocrazia nobiliare nel ‘700 e per la borghesia nel ‘900. Adesso, nella misura in cui si dovesse davvero affermare come “filosofia” normale dell’Europa, dell’Occidente, porterebbe alla fine della nostra stessa civiltà euro-americana, ossia del nostro modo di vivere, del primato del diritto e in ultima analisi della libertà.
Dal momento che al riguardo la posta in gioco è in primo luogo la qualità della vita dell’uomo, la sua vita terrena, in epoche meno imbarbarite della presente non c’era bisogno di essere cristiani per criticare e contrastare questa deriva. Moltissimi “laici” erano sulle stesse posizioni. Oggi, direi purtroppo, ad opporsi a tale spreco c’è quasi soltanto gente di fede, c’è quasi soltanto la Chiesa, ossia i cristiani. E per di più non c’è, non ci siamo abbastanza. Sarebbe importante esserci di più, in modo molto ben motivato ma anche molto ben chiaro. Viviamo in una società aperta, dove tutti possono dire di tutto, e in linea di massima è molto bene che sia così. Allora però ce se ne deve avvalere stando in modo adeguato sul luogo del confronto più vero e decisivo, che è quello del dibattito culturale ad ogni livello, dal più elitario al più popolare. La sfera della politica, delle leggi, della pubblica amministrazione viene di conseguenza. Non è da lì che si parte, è lì che si arriva. La resistenza passiva non paga perché nel mondo in cui viviamo chi domina incontrastato sulla scena della cultura di massa può far passare per buona e per vera qualsiasi cosa.
Quindi il “no” della Chiesa, dei cristiani a tali pratiche e a tale stato di cose è in sostanza un “sì” alla valorizzazione di una grande risorsa umana. Un “sì” che ovviamente implica un “no” a usi impropri che ne causano lo spreco. Queste cose bisogna ricominciare a dirle e ridirle, a spiegarle e rispiegarle, a esprimerle e riesprimerle. I sacerdoti devono ricominciare ad affermarle e a spiegarle chiaramente nel loro insegnamento e nella loro predicazione, come oggi troppo spesso non fanno; e i laici devono fare la loro parte nella società civile, tanto con la vita di ogni giorno quanto, se ne hanno l’occasione e il talento, con le arti e con le lettere (di cui nella condizione moderna i più diversi mass media fanno parte a pieno titolo). Prima di scandalizzarci per quel che dicono gli altri dovremmo scandalizzarci per quel che non diciamo noi.
Facciamo il caso così importante del matrimonio naturale e della sua indissolubilità. Se non affermiamo, dimostriamo e ribadiamo che l’unione eterosessuale è secondo natura mentre quella omosessuale è contro natura, allora anche questa evidente differenza viene meno. Se non spieghiamo che -- a valle di una scelta libera, attraente e prudente – la stabilità dell’intesa matrimoniale è un punto di partenza e non punto d’arrivo, allora nel contesto odierno si arriva nientemeno che ad applicare per scombinata analogia all’unione tra uomo e donna il principio sperimentale attinto dalla sfera delle scienze naturali. E quindi a motivare come scelta ragionevole, quasi doverosa, la convivenza pre-matrimoniale: uno stato di vita che nel migliore dei casi è una perdita di tempo e nel peggiore un binario morto.