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EX URSS

Guerra fra Londra e Mosca, la lunga scia di morti e veleni

Da ieri è incominciata la peggior crisi diplomatica fra Regno Unito e Russia dalla fine della Guerra Fredda. Il governo May ha decretato l’espulsione di 23 diplomatici russi, come rappresaglia per l’avvelenamento di Sergei Skripal e di sua figlia Julia. E' l'ultimo colpo di una guerra di spie e di una lunga serie di morti misteriose.

Esteri 15_03_2018
Salisbury, decontaminazione dopo il tentativo di omicidio col gas

Da ieri è incominciata, anche ufficialmente, la peggior crisi diplomatica fra Regno Unito e Russia dalla fine della Guerra Fredda. Il governo May ha decretato l’espulsione di 23 diplomatici russi, come rappresaglia per l’avvelenamento di Sergei Skripal (ex agente defezionista del Gru, servizio segreto militare prima sovietico poi russo) e di sua figlia Julia, trovati privi di coscienza su una panchina nella zona commerciale di Salisbury. La Russia non ha fornito le spiegazioni richieste urgentemente dal governo di Londra, ha mancato la data dell’ultimatum, fissata alla mezzanotte di ieri, e di conseguenza è stata colpita da forti misure punitive unilaterali.

Non solo l’espulsione dei 23 diplomatici russi, identificati da Theresa May come “agenti di intelligence non ufficiali”: Londra ha anche interrotto tutti i contatti ad alto livello con Mosca, annunciato il parziale boicottaggio dei Mondiali di Russia 2018, a cui non presenzieranno né la famiglia reale, né alcuno dei ministri; gli aerei provenienti dalla Russia saranno sottoposti a controlli extra; le proprietà sul suolo britannico dello Stato russo saranno congelate, nel caso “pongano un rischio alla vita e alla proprietà dei cittadini e residenti britannici”. E’ stata anche annunciata la discussione di una nuova legge ad hoc per aumentare le possibili risposte a una “attività di Stato ostile”. Il ministero degli Esteri scoraggia ogni viaggio di cittadini britannici in Russia. Il Cremlino, che aveva rifiutato di fornire una risposta al governo britannico e nega tuttora ogni legame con il tentativo di omicidio di Sergei Skripal e di sua figlia, ora condanna le misure unilaterali adottate dal Regno Unito e minaccia rappresaglie.

L’atteggiamento russo, in questi giorni, ha portato l’esecutivo May sul piede di guerra. Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha chiesto che la controparte britannica fornisse un campione del veleno utilizzato nel tentativo di omicidio, una richiesta formale di chiarimenti nei termini della Convenzione sulle armi chimiche e dieci giorni di tempo per fornire una risposta. Mentre Lavrov poneva queste condizioni, l’ambasciata russa nel Regno Unito, meno diplomaticamente, diffondeva tweet minacciosi (“ogni azione causa reazioni”, con tanto di schemino esplicativo del principio fisico). La May non poteva permettersi ulteriori attese, anche perché armi chimiche sono state usate sul suolo britannico. Si è reso necessario lo schieramento di 180 militari per isolare e monitorare la zona. Almeno altre venti persone sono risultate esposte all’agente chimico usato per avvelenare l’ex spia russa. Veicoli sono stati rimossi, locali pubblici chiusi e ispezionati per sicurezza (tuttora chiusi il ristorante Zizzi e il pub Bishop’s Mill, dove si erano recati gli Skripal prima di essere trovati privi di coscienza), la panchina dove sono state ritrovate le vittime agonizzanti è tuttora circondata da una tenda, così come la tomba della moglie di Skripal. “Armi che sono vietate persino in guerra, sono state usate in una pacifica città del Regno Unito”, ha dichiarato la May, motivando le sanzioni. E’ un’offesa senza precedenti nella storia recente britannica e la Russia è stata considerata oggettivamente responsabile. Come ha dichiarato la May nel suo discorso alla Camera dei Comuni, annunciando i termini dell’ultimatum a Mosca, i casi sono due: o il Cremlino ha ordinato l’attentato con un’arma chimica, oppure Mosca ha comunque la responsabilità di aver perso il controllo sul suo arsenale di armi di distruzione di massa, tanto da lasciarne alcune nelle mani di gruppi terroristi. L’agente chimico usato, infatti, è un gas nervino appartenente alla classe “Novichok”, in dotazione all’esercito russo e non destinato all’esportazione. Dunque l’arma del delitto è considerata come una firma inconfondibile. Perché usare un'arma chimica invece che un veleno più economico e meno rintracciabile? Proprio perché si tratterebbe di una "firma". Se il colpevole è un servizio segreto russo, si tratterebbe di una prova di forza: la dimostrazione di quanto il Regno Unito sia vulnerabile anche all'introduzione di armi di distruzione di massa attraverso le sue frontiere. Stesso motivo che, dodici anni fa, avrebbe spinto i killer di Aleksandr Litvinenko a usare una sostanza radioattiva, il Polonio-210 (perfettamente tracciabile dagli inquirenti), per assassinare l'ex agente del Kgb.

Il movente ci sarebbe. Nell’ormai lontano 2010 era stato arrestato, negli Usa, un gruppo di spie russe. La retata aveva fatto sensazione, prima di tutto per la bellezza dell’agente russa Anna Chapman, infiltrata nel mondo della finanza britannica e statunitense, che pareva uscita dalla fantasia di un film di James Bond. Quelle spie vennero processate, condannate, ma poi liberate in seguito a uno scambio di prigionieri, vecchia maniera, come ai tempi della Guerra Fredda. Fra gli “scambiati” c’era anche Sergei Skripal, ormai in età da pensione, ex paracadutista sovietico poi cooptato nel Gru, il servizio segreto militare ereditato dall’ex Urss nell’attuale Federazione Russa. Il Gru è un corpo d’élite, molto coeso, non ammette defezioni e non perdona i suoi traditori. Il più noto dei suoi defezionisti, lo storico Vladimir Rezun (più noto al pubblico italiano con lo pseudonimo di Viktor Suvorov), apre il suo libro di memorie, Aquarius, con l’orrenda scena, descritta nei minimi dettagli, di un disertore del Gru bruciato vivo nel forno crematorio della sede centrale (detta “Acquario”) del servizio segreto militare. Skripal decise comunque di disertare nel 1995, mentre era in servizio in Spagna. Pur restando formalmente nel Gru incominciò da allora a passare informazioni ai britannici. Fino al 2004, quando una spia russa infiltrata nei servizi segreti spagnoli lo denunciò e provocò il suo arresto. Processato e condannato nel 2006 a 13 anni di carcere (non al rogo, almeno…) fu selezionato per lo scambio nel 2010. Si trasferì nel Regno Unito subito dopo la liberazione. Dal 2012 iniziò la tragedia per la famiglia Skripal: nel 2012 morì la moglie, di cancro. L’anno scorso, il figlio, Aleksandr, in circostanze ancora poco chiare mentre era in visita a San Pietroburgo. Nel frattempo era morto anche il fratello più anziano dell’ex spia russa. Una tragedia familiare, dunque, da cui erano risparmiate, per ora, solo Sergei e la figlia minore Julia. Almeno finché non sono stati trovati agonizzanti sulla panchina di Salisbury. Tuttora sono ricoverati in gravissime condizioni, sospesi fra la vita e la morte.

Il problema è che Sergei e Julia Skripal non sarebbero affatto gli unici. Tutti probabilmente ricordano l’avvelenamento di Aleksandr Litvinenko, ex agente del Kgb (poi Fsb), avvelenato con un tè al Polonio-210 e morto in seguito a sindrome acuta da radiazioni in un ospedale di Londra nel 2006. Meno nota è la morte misteriosa di Igor Ponomarev, probabilmente assassinato, deceduto poco prima di Litvinenko, proprio mentre stava per contattare membri della commissione Mitrokhin che indagavano sulle attività del Kgb in Italia. Nel 2007 la morte misteriosa colse anche un civile, il petroliere Yuri Golubev, amico di Khodorkovskij, il magnate di Yukos, rivale politico di Putin e allora in carcere. La morte di Golubev inaugurò un periodo di decessi eccellenti, tutti sul suolo britannico, tutti uomini del mondo della finanza e dell’industria russa. Nel 2008 morì di infarto (sospetto) Badri Patarkatsishvili, amico e socio in affari dell’oligarca Boris Berezovskij, uno dei principali rivali di Putin. Nel 2012 fu la volta di Alexander Perepilichnij, finanziere intento a denunciare frodi fiscali dei membri dell’élite politica russa: intossicazione da veleno vegetale. Nel 2013 toccò allo stesso Boris Berezovskij: venne trovato impiccato in casa sua. Nel 2014 fu la volta di Johnny Elichaoff, magnate televisivo, ex alleato poi rivale di Putin: apparentemente suicidatosi mentre era in preda a un delirio dovuto a un’overdose di farmaci antidolorifici. L’ultima morte misteriosa risale ad appena due giorni fa, 14 marzo, proprio alla vigilia dell’annuncio delle sanzioni: un altro esule russo Nikolai Glushkov è stato trovato morto in casa sua, per cause ancora ignote. La lista si allunga se si includono anche cittadini britannici, morti in circostanze anche quelle misteriose, mentre erano intenti ad assistere (in qualità di avvocati, soci, consulenti) personalità del mondo dell’esilio russo. Fra questi anche Matthew Puncher, l’esperto qualificato che scoprì il Polonio-210 quale causa del decesso di Litvinenko: morì a sua volta, colpito da cinque pugnalate, nel 2016.

Sono considerati tutti “cold cases”, casi vecchi, archiviati. Ma adesso si potrebbero riaprire le indagini su tutti questi morti.