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L’esortazione

Porre fine alle guerre liturgiche, con la lezione di Benedetto

Tra tutte le questioni che la Chiesa deve affrontare, nessuna è più importante del modo in cui rendiamo culto a Dio. Dopo Traditionis Custodes le guerre liturgiche hanno ripreso vita. È il momento opportuno per sanare questa frattura, riprendendo la visione di Benedetto XVI sulla pacifica coesistenza e l’arricchimento tra rito antico e nuovo. Da un articolo di mons. Cordileone per First Things.

Ecclesia 17_08_2025

La ferita liturgica inferta alla Chiesa e ai fedeli con la riforma è stata rinnovata dal motu proprio Traditionis Custodes, il quale – come si è ormai compreso – è stato l’esito non della volontà dei vescovi, ma di sotterfugi e menzogne all’interno della Curia romana. La ferita dev’essere curata e lenita, se si vuole evitare che si alimentino sacche di resistenza che con il tempo hanno acquisito un pensiero e un modus operandi chiaramente scismatico e, soprattutto, se si vuole porre rimedio alla rottura della Chiesa con se stessa e con la propria storia. Monsignor Cordileone, arcivescovo di San Francisco, propone delle riflessioni di estremo interesse, grande realismo e squisita sensibilità pastorale, per «porre fine alle guerre liturgiche». Riportiamo di seguito, nella nostra traduzione, un suo articolo (titolo originale Putting an End to the Liturgy Wars) pubblicato su First Things il 5 maggio 2025. (L.S.)

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I ricordi sono ancora vividi, anche se è passato molto tempo. Essendo nato nel 1956, sono abbastanza vecchio da ricordare l'epoca confusa e tumultuosa dei “cambiamenti” che seguirono il Concilio Vaticano II, in particolare per quanto riguarda la Messa. Una coppia di anziani del mio vicinato rifletteva ad alta voce con me, allora adolescente, che era come se il padre non fosse in casa e i figli giocassero come volevano.

Non dovrebbe quindi sorprendere che l'intero ventaglio dell'insegnamento della Chiesa, dalla morale all'esercizio dell'autorità alle verità dogmatiche della fede, venisse messo in dubbio e persino negato apertamente, e che le vocazioni religiose fossero in forte calo. L’antico principio lex orandi, lex credendi (a cui alcuni hanno aggiunto lex vivendi) si dimostra sempre vero. L'era delle “guerre liturgiche” non riguardava la risistemazione delle decorazioni; in un momento di confusione e dissenso in tutti i settori della vita della Chiesa, essa era alla base di tutto ciò che stava accadendo.

In un recente passato sembrava che fossimo giunti a una pacifica coesistenza con quelle che Papa Benedetto XVI definiva le due forme del Rito romano, dopo aver emanato il suo motu proprio Summorum Pontificum. Tuttavia, dopo Traditionis Custodes e le restrizioni ancora più severe imposte dal Dicastero per il Culto Divino sulla celebrazione del Rito romano secondo il Messale del 1962, le guerre liturgiche hanno ripreso vita. Sebbene la liturgia non fosse al centro dell'attenzione dei cardinali nel conclave che ha eletto Papa Francesco dopo le dimissioni di Papa Benedetto, sarà senza dubbio un tema centrale in quello imminente [l’articolo è stato pubblicato due giorni prima dell’inizio del Conclave che ha eletto Leone XIV, ndr].

Tra tutte le questioni che la Chiesa deve affrontare in questo momento, nessuna è più importante del modo in cui rendiamo culto a Dio. Dio ci ha creati per adorarlo. Il culto divino, se vuole davvero meritare il nome di “divino”, si basa sul senso del sacro, che a sua volta scaturisce dalla visione sacramentale della realtà: la realtà fisica media e rende presente la realtà spirituale, trascendente che sta al di là di essa. Se perdiamo questo, perdiamo tutto.

E delle perdite ci sono state. È innegabile che la perdita evidente del senso del sacro nel modo in cui rendiamo culto sia una causa fondamentale (anche se non l'unica) della massiccia disaffezione dei giovani verso la Chiesa. Secondo uno studio del Pew Research Center del 2015, il 40% degli adulti che dichiarano di essere cresciuti nella fede cattolica ha abbandonato la Chiesa. E la situazione non sta migliorando. Un sondaggio del 2023 su 5600 persone ha rilevato che «i cattolici hanno registrato il calo più significativo nell’appartenenza rispetto a qualsiasi altro gruppo religioso».

È evidente che non sono abbastanza i giovani che incontrano Gesù nell'Eucaristia; altrimenti non lo abbandonerebbero per altre esperienze religiose o non perderebbero del tutto la fede in Dio. Ed è altrettanto evidente che la fame di tradizione tra la prossima generazione di cattolici che rimarranno è palpabile.

Come ha scritto Francis X. Rocca il 9 aprile su The Atlantic: «Nel 2023, Cranney e Stephen Bullivant, sociologo della religione, hanno condotto un sondaggio tra i cattolici e hanno scoperto che la metà di essi era interessata a partecipare alla Messa in latino... Forse paradossalmente, questo ritorno alla tradizione sembra guidato dai giovani cattolici, che costituiscono una percentuale smisurata dei fedeli della Messa in latino».

Questa considerazione mi suona come vera. La maggior parte dei giovani cattolici devoti che incontro crescono con la tipica liturgia parrocchiale della domenica, scoprendo solo più tardi la bellezza del nostro autentico patrimonio liturgico cattolico. La loro reazione? Stupore misto a rabbia. Mi dicono – e questa è una citazione letterale, parola per parola – «Sono stato privato del mio diritto di nascita cattolico».

Lo scopo di Papa Francesco nel pubblicare Traditionis Custodes era quello di unire la Chiesa in un'unica forma di culto. Bisogna ammettere che avere due forme di Messa per la Chiesa universale è anomalo nella storia della Chiesa. In realtà, però, non esistono semplicemente due «forme» di Messa, ma tutta una varietà di forme dovute al fatto che i sacerdoti si prendono la libertà di fare le cose come vogliono loro, violando le norme liturgiche: una chiara vulnerabilità dell'ordinamento della Messa attualmente in vigore, che rischia di arrecare grave danno alle anime.

Ora abbiamo forme estremamente divergenti del Rito romano. Recentemente è diventato virale un video di un sacerdote tedesco che “rappava” durante la Messa. D'altra parte, ad esempio, c'è la Messa delle Americhe, che ho celebrato come solenne Messa pontificale in latino nella Basilica del Santuario Nazionale dell'Immacolata Concezione a Washington, D.C., nel novembre 2019.

Molti cattolici devoti e di buona fede, turbati dalla confusione liturgica, danno la colpa al “Vaticano II”. Ci vorrebbe un altro articolo per spiegare cosa si intende con questo termine, ma per ora è necessario distinguere tre livelli ai quali il Concilio era e continua ad essere operativo: (1) i sedici documenti del Concilio Vaticano II stessi; (2) i documenti relativi alla loro attuazione, che hanno tra loro diversi livelli di autorità (il pontefice romano, i dicasteri della Santa Sede, le conferenze episcopali nazionali e i singoli vescovi nelle loro diocesi); e (3) il modo in cui il Concilio è stato effettivamente attuato nelle nostre parrocchie e in altre comunità di fede. I problemi che sono emersi dopo il Concilio si trovano in quei livelli inferiori, che hanno approfittato di alcune ambiguità presenti nei sedici documenti piuttosto che leggerli in continuità con la tradizione che li ha preceduti. Ad esempio, il movimento per rinnovare e ridar vita alla sacra liturgia aveva per decenni preso sempre più piede prima del Vaticano II, e quindi la Sacrosanctum Concilium deve essere letta come un ulteriore impulso e una direzione a questo movimento, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione attiva dell'assemblea, e non come divergente da esso.

Il punto critico che ha concretizzato il senso di rottura nella tradizione liturgica è stata la decisione, senza precedenti nella storia, di convocare un comitato di studiosi per riscrivere radicalmente la liturgia e imporla a tutto il mondo cattolico con un approccio dall'alto verso il basso. Ancora una volta, sono abbastanza vecchio per ricordare quando ciò accadde e per ricordare la resistenza dei cattolici più “stagionati” tra i banchi della chiesa. Ma a quei tempi i cattolici erano più obbedienti ai loro pastori e accettavano cambiamenti che non gradivano, che sembravano persino contraddire ciò che era stato loro insegnato sulla fede cattolica per tutta la vita.

Molti di noi comprendono che questo è un problema che deve essere risolto. Ma non dobbiamo commettere lo stesso errore metodologico: il senso di rottura dell'unità nella liturgia non può essere sanato semplicemente imponendo dall'alto una nuova serie di regole. Al contrario, questo è il momento opportuno per riprendere la visione di Papa Benedetto XVI per sanare questa frattura, una «riconciliazione interiore» delle due forme del Rito romano (come egli stesso ha affermato nella sua lettera Con Grande Fiducia ai vescovi in occasione della pubblicazione di Summorum Pontificum). La sua genialità con Summorum Pontificum è stata quella di creare una terza via per la riforma liturgica, consentendo il libero uso del Messale Romano preconciliare, permettendo così a queste due espressioni dello stesso rito latino di influenzarsi a vicenda in modo «reciprocamente arricchente». E stiamo già iniziando a vedere una sorta di fertilizzazione incrociata di queste due forme di culto cattolico nelle parrocchie che le celebrano entrambe: i parrocchiani in genere le sperimentano entrambe, pur mantenendo una preferenza per l'una rispetto all'altra. Ecco perché è un errore cercare di isolare coloro che sono devoti alla Messa tradizionale in latino, come se fossero un pericolo per la fede della stragrande maggioranza dei loro compagni cattolici.

Questo rimanda a ciò che Papa Benedetto aveva previsto quando si è permessa la coesistenza delle due forme: un processo di vero arricchimento reciproco, in cui ciascuna forma influenza l'altra. E, nella mia esperienza personale, vedo come questo stia già cominciando ad accadere. Ad esempio, la predicazione durante una Messa tradizionale in latino – almeno per i sacerdoti che celebrano entrambe le forme – è solitamente incentrata sulle letture. Prima del Concilio, invece, la predicazione era vista più come un'azione extra-liturgica, quindi come qualcosa di aggiunto alla Messa e, di conseguenza, non necessariamente correlato ai testi liturgici. È stato il Concilio Vaticano II a considerare l'omelia come parte integrante della liturgia e quindi a esortare i predicatori a predicare a partire dai testi scritturali e liturgici della Messa che veniva celebrata. Ho anche notato che, durante le celebrazioni della Messa tradizionale in latino, sempre più persone nei banchi recitano le loro parti della Messa e cantano le risposte e i canti dell'Ordinario della Messa in latino. Ciò riflette il desiderio dei fedeli di comprendere i testi e i riti della Messa e di essere attivamente coinvolti in essa. Sebbene questo tipo di partecipazione attiva fosse incoraggiata, e persino in crescita, ben prima del Concilio, ora è diventata più comune grazie all'abitudine acquisita con l'Ordo Missæ riformato. Il punto essenziale è che questi cambiamenti stanno avvenendo in modo organico, non per decreto, e quindi contribuiscono a un autentico sviluppo del culto cattolico.

Summorum Pontificum ha in gran parte messo fine alle guerre liturgiche nell'esperienza vissuta dai cattolici degli Stati Uniti, un processo che Papa Benedetto XVI prevedeva che sarebbe continuato: «La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale».

Gli appelli di tutti i papi postconciliari, da Paolo VI a Francesco, a correggere gli abusi liturgici e la negligenza non hanno avuto praticamente alcun effetto nell'esperienza vissuta dai cattolici che stanno nelle panche della chiesa. È necessario fare qualcosa di più. Una tranquilla familiarità con la Messa tradizionale ha un grande potenziale per giungere a questo scopo. Essa offre anche un percorso che evita l'ermeneutica della rottura, un altro aspetto sottolineato da Papa Benedetto: «Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso». Egli prosegue poi applicando questa logica per aiutarci a comprendere il vero significato dello sviluppo organico: «Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto».

Una tale continuità nello sviluppo della liturgia emerge chiaramente dalla lettura dei documenti conciliari e postconciliari sulla liturgia, alla luce della tradizione ricevuta. Ad esempio, Sacrosanctum Concilium non dice nulla sul cambiamento dell'orientamento dell'altare. Infatti, l'attuale edizione del Messale Romano indica al sacerdote di voltarsi e rivolgersi al popolo in tre momenti della Liturgia Eucaristica, presumendo chiaramente che lui e l'assemblea siano rivolti nella stessa direzione: “ad orientem”, rivolto verso l’Est liturgico, essendo l'Est la fonte della luce e simbolo della risurrezione di Cristo dai morti, che dissipa le tenebre del peccato e della morte, nonché del suo ritorno nella gloria. L'Est è anche simbolo del Paradiso poiché, al momento della creazione, Dio collocò il Giardino a Est (Gen 2,8). [...]

Sono convinto che il futuro del rinnovamento liturgico richieda l'ascolto e la risposta alle esigenze avvertite da tutto il popolo di Dio, compresi coloro che sono stati ispirati ad amare Gesù dalla bellezza e dall'ordinamento della Messa tradizionale. Il suo sviluppo organico fin dai tempi antichi riflette le nostre profonde radici nel culto e nelle pratiche dei nostri antenati ebrei nella fede. L'altare maggiore sotto il baldacchino discende direttamente dal disegno del Santo dei Santi nel Tempio di Gerusalemme, che ricordava la camera nuziale ebraica: la Messa è il compimento delle Nozze dell'Agnello. Inoltre, dopo aver terminato le preghiere ai piedi dell'altare, il sacerdote sale all'altare maggiore con una preghiera che riconosce questa continuità dei due Patti: «Togli da noi le nostre iniquità, ti supplichiamo, o Signore, affinché possiamo essere degni di entrare con mente pura nel Santo dei Santi».

Ciò che è tipicamente cattolico non è nostalgico o retrogrado, ma senza tempo. Questa è la caratteristica di ciò che è considerato classico: ha resistito alla prova del tempo e parla a tutte le epoche e culture, compresa la nostra.

Il percorso della riconciliazione interiore è l'antidoto sia alla spinta scismatica che a quella burocratica, fornendo il rimedio curativo per la rottura e dando uno stimolo per il ripristino del sacro, come immaginato da Papa Benedetto XVI. Ma affinché ciò avvenga in modo organico, ci vorrà molto tempo: generazioni, forse anche secoli. Non possiamo sederci e tracciare il percorso; deve venire dall'esperienza vissuta delle persone. Quindi, non possiamo predeterminare quali tesori delle due forme saranno conservati e integrati in un'unica forma: le letture della Scrittura in lingua volgare all'ambone? Il Canone recitato in silenzio? Le antiche preghiere dell'offertorio restaurate? Il sacerdote e il popolo che recitano insieme il Padre Nostro e rispondono insieme prima della Comunione: «Domine, non sum dignus» («Signore, non sono degno»)? Non lo sappiamo. Solo il tempo lo dirà. Ed è così che dovrebbe funzionare.

Abbiate fiducia nella saggezza del Concilio Vaticano II e non temete più la Messa così come veniva celebrata prima e durante il Concilio. Traiamo invece fiducia dalla tradizione. La tradizione è una protezione: offre affidabilità, predittività; ci protegge dalle astuzie, dalle preferenze personali, dai gusti e dalle antipatie di chiunque abbia un incarico, che sia il papa, il vescovo, il sacerdote che celebra la Messa, i musicisti che pianificano la musica e cantano durante la Messa, il coordinatore liturgico locale e così via. In altre parole, la tradizione garantisce che siamo tutti uguali, uguali servitori e osservatori della tradizione che abbiamo ricevuto, e non alla mercé dei giudizi arbitrari di chiunque sia al comando in un determinato momento e luogo.

Conserviamo quindi gelosamente la tradizione così come l'abbiamo ricevuta, e da essa impariamo chi siamo come popolo di Dio: collegati in modo trascendente nella comunione dei santi non solo attraverso lo spazio, ma anche attraverso il tempo, oggi e per tutta l'eternità.