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IL FATTO

Governo Gentiloni? È un Renzi bis

Hanno perso sonoramente il referendum, il popolo è andato a votare “no” per mandarli a casa, ma sono ancora li’, imperterriti, e ci riprovano, con una controfigura, che risponde al nome di Paolo Gentiloni. E il presidente della Repubblica cede ai diktat di Renzi.

Politica 13_12_2016
Il premier Gentiloni

Hanno perso sonoramente il referendum, il popolo è andato a votare “no” per mandarli a casa, ma sono ancora li’, imperterriti, e ci riprovano, con una controfigura, che risponde al nome di Paolo Gentiloni, volto presentabile di una squadra fotocopia del governo uscente. Tranne il ministro dell’Istruzione, Giannini, che forse paga al di là delle sue colpe per una riforma della “buona scuola” invisa a gran parte del personale docente e degli studenti, tutti gli altri ministri rimangono al loro posto, o addirittura vengono promossi, come Angelino Alfano, che trasloca alla Farnesina, facendo valere il peso specifico dei suoi voti al Senato, tanto più dopo il disimpegno dei verdiniani, che speravano in una poltrona di governo e invece vengono silurati dal nuovo premier, più che altro per ragioni estetiche.

Ci sono una serie di mosse che indeboliscono fin dall’inizio il nuovo esecutivo: anzitutto la conferma di gran parte dei ministri uscenti, anche Madia e Poletti, che tanto hanno scontentato le parti sociali e il personale del pubblico impiego; poi il trasferimento di Maria Elena Boschi direttamente nella cabina di regia del governo, come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. La riforma della Costituzione portava il suo nome, gli elettori l’hanno bocciata senza appello, ma lei viene promossa e riesce a sfrattare il fedelissimo di Renzi, Luca Lotti, a seguito di un regolamento di conti all’interno del “giglio magico” del quale non conosceremo forse mai i moventi e i contorni.  

Il governo ufficialmente durerà fino a quando avrà la fiducia delle Camere, ma in realtà starà in piedi per gestire le nomine nelle società partecipate come Eni, Enel, Finmeccanica. A segnare la vita di quest’ultimo scorcio di legislatura sarà il tavolo di trattativa tra maggioranza e opposizioni per la riforma della legge elettorale. Centrodestra e centrosinistra dovranno dialogare per trovare un sistema di voto che garantisca governabilità e rappresentatività, magari puntando ad escludere dal novero delle possibilità un successo grillino che, almeno numericamente, appare probabile, viste le innumerevoli concessioni che le forze politiche tradizionali stanno facendo ai Cinque Stelle con una successione imprevedibile di errori e ingenuità.

Considerata l’autorevolezza dei ruoli occupati dal Nuovo centrodestra nell’attuale governo Gentiloni, appare improbabile che quella formazione politica, dopo aver assicurato la governabilità a un esecutivo di centrosinistra, possa presentarsi alle elezioni con il centrodestra. Ormai gli alfaniani sono destinati a candidarsi, anche alle prossime elezioni politiche, nel centrosinistra, sotto le insegne di Renzi candidato premier, che, nel frattempo, cercherà di ridimensionare ulteriormente la minoranza dem e di vincere le primarie di primavera per Palazzo Chigi.

I verdiniani, dopo l’ultima delusione legata alla mancata assegnazione di poltrone nel nuovo governo Gentiloni, probabilmente torneranno alleati di Berlusconi, ma rischiano di vivere un’altra cocente delusione, perché il loro ruolo di stampella al nuovo esecutivo potrebbe essere assunto da altri. Pare, infatti, che le truppe arcoriane possano addirittura astenersi al momento della votazione della fiducia al nuovo governo, proprio per aiutare Gentiloni, amico di Fedele Confalonieri. Ciò al fine di far durare il più possibile il suo esecutivo, sperando che da Strasburgo possa arrivare nel frattempo quella sospirata riabilitazione in grado di consentire all’ex Cavaliere di ricandidarsi o di ottenere uno scranno di senatore a vita.

La delusione più grande di tutta questa vicenda è duplice: da una parte un premier uscente, Matteo Renzi, che “passa la campanella” a Paolo Gentiloni ma continua a dare le carte, piazzando tutti i suoi uomini, e si prepara alla rivincita dentro il Pd e per la guida del Paese; dall’altra un Presidente della Repubblica che accetta tutti i diktat del premier uscente, peraltro non legittimato da un voto popolare, e si piega ad una soluzione nel segno della più appiattita continuità governativa, in spregio della volontà popolare.

Un coro di commentatori prezzolati, opinionisti iperforaggiati e spin doctor sopravvalutati continuerà a tessere gli elogi di una nomenklatura che ha ormai fatto il suo tempo e che si crogiola sulle briciole di potere ancora fruibili sulle macerie dell’impero. Un governo del genere rappresenta la sconfitta di ogni ideale democratico e la sublimazione di una classe dirigente autoreferenziale che tenta disperatamente di autoperpetuarsi. Non importa, quindi, quanto durerà. E’ già scandaloso che sia nato e che possa ottenere il consenso di un Parlamento delegittimato da una sentenza della Corte Costituzionale, riproducendo pedissequamente la struttura di un altro esecutivo bocciato una settimana fa nelle urne referendarie.