Gli Usa hanno ancora bisogno dell'Europa. Purché resti libera e non tradisca se stessa
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Samuel Samson, giovanissimo (appena 26 anni) consigliere senior del Dipartimento per la democrazia e i diritti umani, il 27 maggio ha diffuso, in una newsletter ufficiale, un testo che delinea i rapporti fra Usa ed Europa per l’amministrazione Trump. Ed è subito scandalo: si grida al regime change. In realtà, come il discorso di JD Vance a Monaco, è un monito per gli europei: sarebbe un male tradire le nostre radici culturali.

Samuel Samson, giovanissimo (appena 26 anni) consigliere senior del Dipartimento per la democrazia e i diritti umani, il 27 maggio ha diffuso, in una newsletter ufficiale, un testo che delinea i rapporti fra Usa ed Europa per l’amministrazione Trump: The Need for Civilizational Allies in Europe (Il bisogno di alleati di civiltà in Europa). Si tratta di un testo programmatico con un forte contenuto teorico, dai toni molto franchi e diretti. Ma non una dichiarazione di guerra, come molti stanno equivocando.
In questa settimana, il documento di Samson ha provocato non pochi mal di pancia, fra commentatori e politici, di qua e di là dell’Atlantico. Un esempio per tutti, è l’articolo-recensione scritto dal professor Fabio Sabatini, docente di Economia Politica a La Sapienza di Roma. Contiene tutti gli argomenti di chi è inorridito o spaventato dall’amministrazione Trump. Del documento dice: «… un tale ribaltamento della realtà che pare uscito dalla penna di un Goebbels postmoderno o di uno Stalin reazionario». E lo riassume così: «In sintesi: il Dipartimento di Stato trumpizzato considera l’Europa attuale come un nemico ideologico, e individua nei suoi oppositori interni (cioè le destre radicali) gli unici partner legittimi della diplomazia statunitense. Si auspica un cambio di regime, ma soft: non con la forza, ma col favore delle urne (se vanno come si spera)».
Il documento di Samson, invece, inizia proprio affermando l’opposto: Usa ed Europa sono e restano alleati di civiltà: «La stretta relazione tra gli Stati Uniti e l'Europa trascende la vicinanza geografica e la politica transazionale. Rappresenta un legame unico forgiato da una cultura comune, dalla fede, dai legami familiari, dall'assistenza reciproca nei momenti di difficoltà e, soprattutto, da un patrimonio culturale occidentale condiviso». Cioè: «La nostra partnership transatlantica è sostenuta da una ricca tradizione occidentale di diritto naturale, etica della virtù e sovranità nazionale. Questa tradizione affonda le sue radici ad Atene e Roma, passa attraverso il cristianesimo medievale, arriva alla Common Law inglese e infine ai documenti fondanti dell'America. L'affermazione rivoluzionaria della Dichiarazione secondo cui gli uomini “sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili” riecheggia il pensiero di Aristotele, Tommaso d'Aquino e altri grandi pensatori europei».
Il documento non è scritto in un’ottica di confronto ideologico, fra nemici, come un tempo poteva essere il conflitto fra Usa e Urss, ma è il testo di un amico deluso, che premette: «Questo legame tra Europa e Stati Uniti è anche il motivo per cui parliamo onestamente quando non siamo d'accordo o abbiamo delle preoccupazioni».
La delusione nasce dal fatto che l’Europa è sempre meno libera. E quindi sempre più distante dalla sua tradizione. L’esempio più eclatante è proprio il Regno Unito, nonostante sia la culla del liberalismo occidentale: «Nel Regno Unito, la polizia arresta cristiani, come Adam Smith-Connor e Livia Tossici-Bolt, per aver pregato in silenzio fuori dalle cliniche abortive. Nel 2023, oltre 12mila cittadini britannici sono stati arrestati per post online, inclusi commenti critici sulla crisi migratoria europea, che le autorità hanno ritenuto “gravemente offensivi”». Su scala continentale, poi: «Il Digital Services Act dell'Unione Europea, presentato come strumento per proteggere i minori dai contenuti online dannosi, viene invece utilizzato per mettere a tacere le voci dissidenti attraverso una moderazione dei contenuti orwelliana».
Dopo la libertà di religione e di espressione, inizia a vedersi anche una riduzione della libertà politica. In Germania: «il popolare partito Alternative für Deutschland è stato appena etichettato come organizzazione “estremista” dai servizi segreti tedeschi, il che potrebbe portare all'esclusione del partito». E in Francia: «La candidata alla presidenza francese Marine LePen è stata accusata di appropriazione indebita e, in deroga alla procedura standard, è stata immediatamente esclusa dalla corsa elettorale». Delle ingerenze di Bruxelles (ma anche della stessa sinistra americana) in Polonia e Romania, in queste elezioni presidenziali del 2025, abbiamo già parlato più volte anche su queste colonne.
L’allarme lanciato da Samson riprende il discorso iniziato dal vicepresidente JD Vance alla Conferenza per la Sicurezza di Monaco. E si tratta di un allarme più che fondato. Ma non viene capito da una classe colta che ormai pensa solo in termini di diritto positivo, ignora il diritto naturale (che è pre-esistente allo Stato) e dunque non trova nulla di male negli interventi a gamba tesa dell’Ue o del premier britannico. Perché “se lo dice la legge” allora va bene. Prendiamo Josef Ernst (autore sul giornale The Globalist): «Questi esempi non indicano un fallimento della governance democratica. Al contrario, dimostrano che la Francia sta applicando la responsabilità giuridica e che la Germania sta difendendo i principi costituzionali relativi alle attività politiche estremiste. In entrambi i casi, lo Stato di diritto sta facendo esattamente ciò per cui è stato concepito».
In questa ottica, sulla base di questa definizione equivoca di “Stato di diritto” (inteso come produttore di diritto) ogni libertà può essere repressa, se la legge emessa dallo Stato stesso prescrive di reprimerla.
«Le nostre preoccupazioni non sono di parte, ma di principio – conclude Samson - La soppressione della libertà di espressione, l'agevolazione della migrazione di massa, la persecuzione delle espressioni religiose e l'indebolimento della libertà di scelta elettorale minacciano le fondamenta stesse del partenariato transatlantico».
Eppure la conclusione è ottimista: «Non saremo sempre d'accordo sulla portata e sulle tattiche, ma azioni concrete da parte dei governi europei per garantire la protezione della libertà di espressione politica e religiosa, la sicurezza delle frontiere e lo svolgimento di elezioni eque costituirebbero un passo avanti positivo». Nessun cambio di regime in vista, insomma. Ma un monito che faremmo meglio ad ascoltare.