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la cucina letteraria / 4

Futurismo a tavola: un’esperienza multisensoriale

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Non solo arte e letteratura: nel 1930 Filippo Tommaso Marinetti lancia un nuovo manifesto al grido di «Aboliamo la pastasciutta!». E sogna di riscrivere il destino dell'Italia, un boccone alla volta.

Cultura 04_08_2025
Wikimedia Commons

Il Futurismo non fu solo un movimento artistico e letterario: fu una rivoluzione culturale, un grido di battaglia contro la tradizione, un’esaltazione della modernità, della velocità, della guerra, e persino del cibo. Filippo Tommaso Marinetti, il suo fondatore, non si limitò a scuotere le fondamenta dell’estetica occidentale: volle reinventare la tavola, trasformando il pranzo in un’esperienza sensoriale e artistica e, in un certo senso, in un atto politico.

Il Manifesto futurista: l’arte come provocazione
Il 20 febbraio 1909, Marinetti pubblica il Manifesto del Futurismo su Le Figaro, dando vita a un movimento che avrebbe influenzato profondamente la cultura del Novecento. «La magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità», scriveva, tuonando: «Un’automobile da corsa […] è più bella della Vittoria di Samotracia».
Il Futurismo si oppone alla riflessione, all’estasi, alla staticità, esaltando invece «il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, […] lo schiaffo e il pugno». Questa furia iconoclasta si estende a ogni ambito della vita, compresa la cucina. Per Marinetti, anche il cibo deve liberarsi dalle catene della tradizione e diventare strumento di modernizzazione.

Una dichiarazione di guerra: contro la pastasciutta
Il 15 novembre 1930, al ristorante Penna d’Oca di Milano, Marinetti annuncia il lancio di un nuovo manifesto: quello della cucina futurista. Pubblicato il 28 dicembre su «La Gazzetta del Popolo», il testo contiene una provocazione clamorosa: «Aboliamo la pastasciutta!».
Non è un capriccio, ma una dichiarazione di guerra contro la pesantezza fisica e mentale che, secondo lui, quel piatto incarna. Rifacendosi al filosofo Feuerbach, Marinetti ribadisce: «Siamo quello che mangiamo». E la pastasciutta è una trappola amidacea che ingozza gli italiani, spegnendone l’entusiasmo e rendendoli fiacchi, nostalgici, inerti.
Serve una cucina che esalti la passione, la tenacia eroica, la trasparenza dell’anima. Il cibo è arte e carburante dell’azione. E se si sogna come si mangia, allora via la pastasciutta, nemica dell’intuizione e dell’ardore italiano. In più, c’è l’orgoglio economico: basta grano straniero! Viva il riso, prodotto nazionale, leggero e moderno. Marinetti non vuole solo cambiare il menù: vuole riscrivere il destino dell’Italia, un boccone alla volta.

Il pranzo perfetto: un’opera d’arte multisensoriale
Altro che lasagne della domenica! Per i futuristi, il pranzo perfetto è un’esperienza totale, un’esplosione di sensazioni orchestrate con precisione visionaria. Niente stoviglie banali, niente chiacchiere politiche («abolizione dell’eloquenza e della politica a tavola»). La tavola diventa palcoscenico, il cibo una sinfonia di sapori, colori, profumi e persino poesia.
La cucina futurista anticipa di decenni la nouvelle cuisine, puntando su porzioni piccole, raffinate e su una presentazione scenografica. Ma va oltre: ogni boccone è un viaggio, un racconto, un frammento di vita condensato in pochi attimi. Dieci, venti sapori si fondono in un solo assaggio, come versi di una poesia da gustare con la lingua.
Il piacere inizia prima delle labbra, con il tatto. I profumi precedono le pietanze e vengono spazzati via da ventilatori per preparare il palato. La musica? Solo tra una portata e l’altra, per azzerare il gusto e ricominciare da capo. Il pranzo futurista non nutre solo il corpo: accende la mente, stimola l’immaginazione, trasforma il convivio in un rito estetico. È il futuro servito su un piatto.

La scienza in cucina
I futuristi immaginano una cucina regolata da strumenti scientifici: ozonizzatori per aromatizzare le bevande, lampade a raggi ultravioletti per attivare le proprietà nutritive, autoclavi centrifughe, distillatori a pressione. Marinetti insiste: la tecnologia deve essere usata con rigore. Niente cotture che distruggano le sostanze attive. Indicatori chimici correggeranno l’acidità, la salinità, la dolcezza. Il cibo deve essere manipolato, trasformato, reinventato. L’intellettuale non può limitarsi a scrivere: deve anche cucinare il cambiamento.

Carneplastico: una portata d’avanguardia
Tra le provocazioni più audaci, il Carneplastico svetta come manifesto gastronomico e scultura patriottica, ideato dall’artista e cuoco Fillìa. Proviamo a immaginarlo: alla base un anello di salsiccia, che funge da piedistallo, rotondo e carnoso; al centro svetta un cilindro compatto di carne di vitello, alto e solido; all’interno un ripieno multicolore di undici verdure dai forti contrasti cromatici e gustativi; in cima, tre sfere di pollo al miele, lucide e dorate, disposte come globi. Un inno alla fusione tra arte e nutrizione, geometria e gusto, patriottismo e provocazione.

Non cocktail, ma polibibite
Fedeli al purismo linguistico, i futuristi non offrono cocktail, ma polibibite: miscele audaci e multisensoriali pensate per stimolare l’intelletto, il corpo e l’immaginazione. Alcune sono caldo-toniche pensate per facilitare decisioni importanti (si chiamano decisoni), altre rinfrescanti e lievemente inebrianti, ideali per stimolare la creatività (inventine), altre ancora riscaldanti per affrontare le serate invernali (prestoinletto), poi rilassanti e sonnifere (paceinletto), infine afrodisiache e fecondatrici, pensate per risvegliare i sensi (guerrainletto).
Tra le ricette più celebri, il Diavolo in tonaca nera: succo d’arancia, grappa, cioccolato liquido e tuorlo d’uovo sodo.
E da ultimo ricordiamoci! Con i futuristi basta sandwich, dessert e picnic. Avremo solo il tramezzino, il peralzarsi e il pranzoalsole!



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