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FRANCIA

Fratelli Musulmani alla conquista della Francia, la risposta è ondivaga

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Dopo la pubblicazione sulla strategia dei Fratelli Musulmani per penetrare le istituzioni francesi, Macron prova a gettare acqua sul fuoco. La sua è una risposta ambigua, mentre almeno parte del governo Bayrou è per una risposta dura.

Esteri 31_05_2025
Scuola Averroè di Lille (La Presse)

«È vero, esistono fenomeni di entrismo identificati in certi quartieri», ha dichiarato Emmanuel Macron, qualche giorno dopo la pubblicazione del rapporto dei servizi segreti francesi sui Fratelli Musulmani con l’intento di mettere in guardia dalla crescita dell’islamismo “dal basso”, «ma non dobbiamo cadere nelle teoria del complotto», ha aggiunto il presidente francese a margine della visita di Stato in Vietnam. Interrogato sulla proposta dell’ex primo ministro, Gabriel Attal, di vietare il velo alle ragazze sotto i 15 anni, il capo dello Stato ha messo in guardia dai rischi che potrebbero creare «confusione tra i nostri compatrioti».

Una risposta poco limpida. D’altronde l’Eliseo aveva annunciato che una serie di misure, alcune pubbliche, altre riservate, sarebbero emerse dal Consiglio di Difesa riunitosi appena il giorno dopo la presentazione del  rapporto sull’entrismo della Fratellanza in Francia, ma poi ha fatto un passo indietro. Macron, ha comunicato a François Bayrou, e ai  ministri  Bruno Retailleau  (Interni), Gérald Darmanin (Giustizia),  Jean-Noël Barrot  (Esteri) ed  Élisabeth Borne  (Istruzione) la decisione di rinviare una presa di posizione a data da destinarsi. 

È così che risponde Parigi alla minaccia, quanto mai tangibile, di uno Stato islamico sotto il giogo della shari’a da instaurare nella République. 

Frattanto, al marché come nelle boulangerie, ai tavolini delle brasserie e dei cafè, in radio e sulla stampa, non si parla che del delicatissimo documento di difesa. Perché nel conflitto tra Francia e islamismo non si gioca una semplice divergenza di vedute, ma una lotta per il potere all’interno della Francia: oggi, un Paese ancora più in subbuglio di quello uscito a pezzi dalle legislative anticipate di luglio 2024.  

Macron prova a dissimulare, come all’aeroporto di Hanoi, in cima alla scaletta, pronto a scendere, ma a Quai d’Orsay, sulla riva sinistra della Senna, dalle stanze del Ministero degli Esteri francese, striscia prepotente il timore mischiato ad una reticenza che teme di  compromettere le relazioni con il mondo arabo-musulmano. Nel mentre, è proprio questo il momento in cui Macron stava provando a riproporsi come uomo d’azione, di fronte alla presunta inerzia di Bayrou e del suo governo.

Tant’è che, in qualche modo, l’inquilino dell’Eliseo rivendica la sua linea d’azione contro il separatismo islamico, in particolare con la sua legge del 2021 che, sebbene abbia autorizzato la chiusura di ben 741 strutture - tra luoghi di culto, associazioni e attività comunitarie legate la mondo musulmano -, come conferma il rapporto sulla Fratellanza, è ben lungi dall’aver sventato l’offensiva. 

Chi ha lavorato al rapporto dell'intelligence parigina denuncia «l’efficacia talvolta limitata degli strumenti del diritto utilizzati in materia di ostruzionismo, unita alla prudenza di alcune amministrazioni, alcune delle quali interiorizzano il rischio di reazioni vittimistiche nei media sul tema dell’islamofobia».

Il ministro dell’interno Retailleau, da parte sua, è l’unico ad insistere sull’emergenza nazionale e, davanti al Senato mercoledì, ha proposto un’azione di falconiana memoria: “segui i soldi” e poi colpisci. Come il giudice Falcone era convinto che con il “follow the money” sarebbe arrivato ai mafiosi, così Retailleau intende seguire il modello con il congelamento di capitali, rafforzamento del controllo dei fondi di dotazione e divieto di trasferimento di proprietà e beni di associazioni sciolte per colpire il portafoglio dell’islam francese.

Proprio come hanno fatto Renaud Muselier, presidente della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, e Martine Vassal, presidente del Consiglio dipartimentale delle Bocche del Rodano: hanno deciso di reagire con fermezza alla “strategia di infiltrazione” dei Fratelli Musulmani a Marsiglia disponendo la sospensione immediata del finanziamento pubblico a favore del liceo privato musulmano Ibn Khaldoun, situato nel 15° arrondissement della città. La scuola, infatti, era stata citata nel rapporto sulla Fratellanza come una delle leve dell’infiltrazione islamista nella società francese. Hanno, poi, chiesto al Ministro dell’Istruzione di revocare il contratto di associazione che lega l’istituto allo Stato.

Intanto, tra datteri, tè, caffè, pasticcini, dalla  moschea di Villeneuve-d’Ascq, nel dipartimento del Nord, nella regione Hauts-de-France (Nord), fanno sapere che quello che hanno letto sulla stampa a proposito del rapporto “Fratelli musulmani e islamismo politico in Francia”, li ha stancati. È solo un tentativo di «instillare paura nella società. L’islam viene sfruttato. È una campagna politica». Il Centro islamico di Villeneuve-d’Ascq (Civ), vicino a Lille, è citato nel rapporto come parte nevralgica di un ecosistema di successo nel Nord della Francia per la Fratellanza, che comprende anche la moschea di Lille-Sud e il  liceo Averroès. E quando Le Figaro intervista Mohammed el-Mokhtari, responsabile della comunicazione della moschea, la risposta è secca: «Fratelli Musulmani? Non sappiamo neanche cosa siano». 

Smentite che non sorprendono Mohamed Louizi, uno dei fondatori della moschea di Villeneuve nei primi anni 2000 e  autore del libro del 2016 Perché ho lasciato i Fratelli Musulmani. Pentito dal 2006, sostiene che i Fratelli Musulmani detengano il potere lì fin dall’inizio: «Alcuni degli attuali membri di questo centro hanno giurato fedeltà ai Fratelli Musulmani e contemporaneamente anche a me. Ma non troverete mai un Fratello Musulmano che vi dica di esserlo. Sanno bene che questo apre la porta a sospetti, problemi, indagini finanziarie... La cosa più facile è negare. Giocano sempre al gioco della dissimulazione e della vittimizzazione», insiste.

Il Centro Islamico di Villeneuve-d’Ascq non è una moschea tra le tante. E non solo perché segnalata dai servizi segreti. È frequentato da circa 2mila persone nella sola preghiera del venerdì: è la più grande moschea a nord di Parigi con i suoi circa 2.300 m². Più che una moschea, è un complesso religioso, educativo e culturale in cui si svolgono numerose attività quotidiane. Un punto di riferimento per l’islam di tutta la Francia. Finanziato in parte da una fondazione del Qatar, è dal 2017 che chiede un ampliamento di 1400 m², ma il sindaco non intende concedere. 

L’offensiva dell’islam in Francia non è un fatto isolato. Né recente. Prima di Macron, era stato Sarkozy a stringere accordi con i Fratelli Musulmani e a creare il Consiglio Francese del Culto Musulmano con loro. Lo scopo? Il voto musulmano come si fa nel sistema britannico. 

Ma ciò che Parigi oggi paga caro va anche al di là di questo. Non è una questione tra musulmani e non musulmani, ma di individui che vogliono prendere in ostaggio una comunità rendendola paranoica. La strategia consiste nel far credere che il miscredente, in quanto aderente ai valori laici o cristiani repubblicani, sia per forza islamofobo. Concetto che collegano, tramite l’agenda del wokismo, con il concetto di razzismo strutturale, facendo passare la critica a una religione per razzismo. L’effetto è la paranoia. Una bomba a orologeria che è anche il carburante della Fratellanza. 

Prima dell’Europa, l’hanno fatto negli stessi paesi musulmani: Sayyid Qutb, il massimo teorico dei Fratelli Musulmani, dopo Hassan al-Banna, scriveva dell’islamofobia da parte dei musulmani apostati, cioè quelli moderniriformisti. Come possono la Francia e l’Europa resistere? Macron ci chiede tempo.