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QUESTIONE SETTENTRIONALE

Dieci anni dopo l'Expo, il governo Meloni dimentica Milano

Dieci anni dopo l'Expo di Milano, il modello di collaborazione fra enti locali e governo centrale che la rese possibile sembra dimenticato. Oggi il governo Meloni pensa solo a Roma e al Sud. 

Editoriali 01_05_2025
C'era una volta Expo 2015 (La Presse)

Oggi ricorre il decennale di Expo 2015, un anniversario che non può essere liquidato con qualche celebrazione simbolica o una rassegna fotografica d’archivio. Expo 2015, pur con alcuni limiti, fu molto più di un evento internazionale: fu un punto di svolta per Milano, un’occasione irripetibile che segnò l’inizio di una nuova fase di crescita e proiezione globale per la città. Eppure, dieci anni dopo, quello spirito di unità, quel gioco di squadra tra istituzioni, quel coraggio nel progettare il futuro sembrano essere stati archiviati, sepolti sotto il peso di una politica che ha smarrito il senso della collaborazione tra livelli di governo.

Expo fu possibile grazie a una convergenza di volontà politiche, rara nella storia recente del nostro Paese. Ci fu la determinazione di Letizia Moratti (sindaco di Milano dal 2006 al 2011) nel conquistare l’evento, la capacità organizzativa di Giuseppe Sala (commissario e poi amministratore unico di Expo 2015, e successivamente sindaco, dopo Giuliano Pisapia) nella sua realizzazione, e ci fu soprattutto una sinergia virtuosa tra il governo nazionale e l’amministrazione cittadina, senza la quale nulla sarebbe stato possibile. L’Italia intera, almeno per una volta, si dimostrò capace di giocare una partita internazionale senza autogol, mostrando efficienza, visione e senso dell’orgoglio nazionale.

Quella stagione non fu priva di contraddizioni, tra ritardi, polemiche, difficoltà gestionali e anche qualche inchiesta giudiziaria, ma ciò che conta oggi è il bilancio finale: Expo 2015 ha rilanciato il turismo milanese, ha restituito alla città fiducia e attrattività, ha aperto un ciclo virtuoso di investimenti, trasformazioni urbanistiche, eventi globali, cultura diffusa. Milano è diventata, in quegli anni e in quelli immediatamente successivi, la vera capitale morale ed economica del Paese, un laboratorio di innovazione e sviluppo, capace di competere con le grandi città europee.

Dieci anni dopo, però, quel modello sembra essersi incrinato. Il governo Meloni ha mostrato finora scarsa attenzione per Milano. La Presidente del Consiglio ha disertato alcuni momenti simbolici e strategici per la città, come il Salone del Mobile o la Prima della Scala, e soprattutto non sta esercitando un ruolo incisivo nella gestione della grande sfida delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina, ormai imminenti. Questa assenza non è solo simbolica: è il segnale di una precisa scelta politica, di una visione centrata su Roma e sul mantenimento del consenso nelle aree meridionali del Paese, piuttosto che su una reale strategia di sviluppo nazionale. Mentre si parla di autonomia differenziata, nei fatti ogni istanza che proviene dal Nord viene accolta con diffidenza o addirittura ostacolata. La richiesta di maggiore autonomia amministrativa, gestionale e fiscale da parte delle Regioni del Nord viene sistematicamente diluita, rimandata o svuotata, quasi fosse un capriccio egoista anziché una leva per rendere più efficiente la macchina dello Stato.

Intanto il governo continua a investire risorse in sussidi improduttivi, ricalcando in parte le vecchie politiche assistenzialiste del Movimento 5 Stelle, pur usando denominazioni diverse. Fratelli d’Italia, lungi dal rompere con quel passato, sta in realtà ereditando e consolidando molte delle reti clientelari e parassitarie costruite dai grillini in Sicilia, Calabria, Sardegna, Basilicata e in altre aree del centro e del sud. Il risultato è un governo che appare sempre più sbilanciato, non tanto geograficamente quanto culturalmente: nemico della produttività, indifferente alla competitività, preoccupato più di consolidare il consenso che di far ripartire l’industria e ossessionato dai sondaggi. I dati parlano chiaro: la produzione industriale italiana è in calo costante da due anni, segno di un malessere profondo che non può essere ignorato.

In questo scenario, Milano appare sempre più sola. Il sindaco Giuseppe Sala, oggi in difficoltà e in evidente calo di popolarità, non riesce più a interpretare quello slancio propulsivo che lo aveva caratterizzato nella stagione post-Expo. Tuttavia, l’alternativa che si sta profilando non appare all’altezza della sfida. Il centrodestra, che sogna di riconquistare Palazzo Marino, sembra più interessato a sfruttare le debolezze dell’attuale amministrazione che a proporre una visione credibile per il futuro della città. Qual è il progetto di sviluppo? Quali gli obiettivi strategici?

Ci sono nuovi eventi internazionali in cantiere, un’idea di città digitale, una politica per l’innovazione, la cultura, la sostenibilità? Oppure ci si limita ad alimentare il malcontento sperando che basti per tornare al potere? La verità è che senza Milano l’Italia non può crescere. E senza un governo che collabori con le città motore del Paese, ogni politica industriale, ogni piano di rilancio, ogni ambizione internazionale rischia di rimanere sulla carta.

Il decennale di Expo dovrebbe spingerci a riflettere proprio su questo: su come l’Italia sia capace di grandi cose solo quando mette da parte le divisioni, i calcoli elettorali e le rivalità tra istituzioni, e sceglie di lavorare insieme per un obiettivo comune. Dieci anni fa, Expo dimostrò che era possibile. Oggi, purtroppo, sembra un’eccezione irripetibile. Ma non deve essere così: può essere un modello da riscoprire, una lezione da riprendere, una spinta per tornare a pensare in grande, evitando gli errori che pure ci sono stati durante Expo 2015, e rilanciando l’autonomia differenziata come leva imprescindibile per esaltare le specificità territoriali e le eccellenze produttive e manageriali di Milano e del nord Italia. Nell’interesse dell’intero Paese.