Del carteggio Bux-Ratzinger si parla anche oltreoceano
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Un apologeta americano analizza l'autenticità della lettera di Benedetto XVI del 2014 sulla piena validità della sua rinuncia. E confuta la tesi di un "papato collegiale" che secondo alcuni sarebbe stata condivisa decenni prima da Karl Rahner e dallo stesso Ratzinger.

Anche negli Stati Uniti si è fatta sentire l’eco del carteggio del 2014 tra mons. Nicola Bux e Benedetto XVI, pubblicato in appendice del volume Realtà e utopia nella Chiesa, edito da La Bussola (acquistabile qui). Rispondendo a una articolata e schietta lettera di Bux (consegnata in occasione di un incontro personale avvenuto presso il monastero Mater Ecclesiae) Benedetto XVI afferma che «dire che nella mia rinuncia avrei lasciato “solo l’esercizio del ministero e non anche il munus” è contrario alla chiara dottrina dogmatica-canonica». Una risposta che, sgombrando l’equivoco munus-ministerium, viene definita «un colpo al cuore del benepapismo» (The Stake through the Heart of Benepapism) dall’apologeta americano Steven O’Reilly, che nel suo blog Roma locuta est dedica diversi articoli alla questione.
Per «benepapismo» si intendono le tesi per cui Benedetto XVI non avrebbe rinunciato pienamente al pontificato ma solo al ministerium continuando a detenere il munus petrino, e invalidando di conseguenza almeno il conclave del 2013 (il discorso si complica ulteriormente per il conclave del 2025, convocato dopo la morte di Ratzinger ma composto in maggioranza da cardinali nominati da Francesco). Definizione solo in parte sovrapponibile e solo a partire dal 31 dicembre 2022 è quella di «benevacantismo», per quanti reputano la sede vacante con la morte di Benedetto e non accettano l’elezione di Leone.
Tra gli aspetti esaminati da O’Reilly ve ne sono due di particolare rilievo: l’autenticità della lettera e l’eventualità che il papato emerito di Benedetto XVI, regnante Francesco, fosse la realizzazione di un “papato collegiale”, tesi che secondo alcuni sarebbe stata condivisa decenni prima da Karl Rahner e dallo stesso Ratzinger.
O’Reilly replica ai dubbi sull’autenticità avanzati, tra gli altri, da Ann Barnhardt, Mark Docherty ed Edmund Mazza e in modo particolare a quest’ultimo. Per l’intera querelle rimandiamo direttamente a Roma locuta est, riportando qui tre ragioni addotte da O’Reilly a conferma dell’autenticità. In primo luogo, osserva che «un teologo stimato» come Bux «Non ha nulla da guadagnare a far circolare una lettera fraudolenta e contraffatta di Benedetto». Più che guadagnarci avrebbe semmai rischiato il discredito. In secondo luogo, non ne trarrebbero vantaggio nemmeno altri: «cui bono?», si chiede: «alcuni benepapisti hanno accettato che Leone XIV fosse il vero Papa, mentre altri benepapisti irriducibili sono ora di fatto sedevacantisti».
Infine, se proprio si voleva realizzare un falso, lo si sarebbe potuto fare meglio, magari più ampio e persuasivo. Invece, il breve testo di Ratzinger «non è sufficiente a mettere a tacere tutti i benepapisti», perché «sebbene la lettera ponga fine alla questione munus/ministerium, avrebbe potuto fornire una difesa molto più incisiva del Papa emerito, ma non lo ha fatto». Insomma, se davvero fosse un falso, sarebbe un’occasione persa: «un falsario avrebbe prestato maggiore attenzione a massimizzare l'impatto del suo/loro documento fraudolento sul dibattito, ovvero smentire non solo il dibattito ministerium/munus, ma anche il dibattito sul Papa emerito e su un presunto "papato condiviso"».
La questione del papato condiviso o collegiale merita ancora un cenno, perché si legherebbe alla presunta conservazione (parziale?) del papato di Benedetto. A sostegno di questa tesi si citano, per esempio, le parole pronunciate nell’ultima udienza generale del 27 febbraio 2013: «da quel momento in poi», ovvero dall’elezione avvenuta otto anni prima, «ero impegnato sempre e per sempre dal Signore», disse il Papa, aggiungendo: «Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo». Le parole dell’ultima udienza sono un appiglio fragile: «Sta parlando di un reciproco legame d'amore, un legame di carità , non di un marchio indelebile di un presunto "papato sacramentale"», dice O’ Reilly, confutando padre David Nix (che dubita dell’autenticità della lettera del 2014), secondo il quale con queste parole Benedetto XVI avrebbe quantomeno alimentato l’ipotesi di un papato attivo e uno contemplativo: la “diarchia” attribuita al duo Rahner-Ratzinger.
Padre Nix cita mons. Carlo Maria Viganò che a sua volta cita il cardinale Walter Brandmüller: «Non sorprenderà apprendere [a parlare è Viganò] – come mi confidò il cardinale Walter Brandmüller nel gennaio 2020, rispondendo a una mia domanda specifica – che il professor Joseph Ratzinger sviluppò la teoria del papato emerito e collegiale con il collega Karl Rahner negli anni Settanta, quando entrambi erano “giovani teologi”». E li cita anche quale “prova” (a suo dire) della falsità della lettera a Bux: «Viganó insiste di nuovo sul fatto che Ratzinger avesse in mente per tutta la sua vita clericale che un futuro Papa (lui stesso o qualcun altro) potesse un giorno diventare un "Papa emerito" con pieni poteri condivisi in un "papato collegiale"». E quindi: «se Benedetto ha davvero detto a Bux che non aveva mai avuto intenzione di raddoppiare il papato in "due Papi", allora perché ha promosso questa idea fallace dagli anni '80 in poi?».
Un falso dilemma, osserva O’Reilly, sia perché di questa collaborazione giovanile sull’argomento tra i due teologi non c'è traccia – né, di conseguenza, sappiamo se l’uno condividesse le idee dell’altro in proposito –, sia perché ignoriamo pure quale fosse «la domanda specifica» posta da Viganò a Brandmüller. Ma, prosegue, «anche accettando la verità della rivelazione di Viganó, né Viganó, né padre Nix, né il dottor Mazza hanno prodotto alcun documento frutto di questa presunta collaborazione Rahner-Ratzinger su un "papato collegiale"». E non ce n’è nella pur prolifica produzione del teologo e cardinale Ratzinger. Se traccia vi è, essa è del solo Rahner, citato da Mazza, che però «non ha fornito alcuna citazione, nessuna nota a piè di pagina, nulla che dimostri che Ratzinger abbia contribuito con un singolo pensiero a un documento o articolo sul pensiero o sulla teoria di Rahner. Questa osservazione – se mai avessero collaborato su questo argomento – suggerisce certamente che Ratzinger abbia respinto le opinioni di Rahner fin dall'inizio, o che sia arrivato a respingerle».
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