Cosa resta dei cristiani dell'Iraq, minoranza dimenticata
Che fine hanno fatto i cristiani iracheni? Da quando l'Isis è stato sconfitto, non se ne parla più. Ma anche se la persecuzione più intensa è finita, i cristiani sono ancora oggetto di discriminazione e conversioni forzate sotto il governo iracheno.

I cristiani sono una componente antichissima della società irachena e costituiscono un elemento vitale della Mesopotamia fin dalle origini. Di origine assira, caldea, siriaca, le antichissime comunità cristiane di questi luoghi si attestano storicamente sia a nord del Paese, nell'odierno Kurdistan iraqeno e nei governatorati di Diyala, Salah al-Din e Ninive, sia al centro-sud, nelle aree di Baghdad, Ramadi, Habbaniyah, Bassora, Amara. Vittime di genocidi, migrazioni forzate, demolizioni di chiese e monasteri, confische di beni, il numero di cristiani nel paese è passato da un milione e mezzo nel 1982 ai duecentocinquanta-trecentomila di oggi. Parliamo del fenomeno con lo studioso e attivista Yohanna Posa, cristiano siriaco-cattolico di Karakosh, fondatore dell'organizzazione umanitaria “Niniveh Relief”, nata nel 2014 per aiutare i cristiani vittime di Daesh durante l'invasione del Nord Iraq. Lo incontriamo all'Università di Mosul in occasione di Ninawa Forum, convegno sul dialogo interreligioso promosso dall'associazione italiana Religion and Security Council.
Signor Posa, quali sono le cause della sparizione delle comunità cristiane dall'Iraq? Si possono individuare delle tappe di questo fenomeno?
Sotto i differenti regimi che si sono avvicendati in Iraq sin dalla sua fondazione, noi cristiani abbiamo periodicamente subito massacri e politiche discriminatorie. Con l'invasione dell'Iraq da parte della coalizione occidentale a guida Usa e la caduta di Saddam Hussein del 2003, speravamo infine di vivere in pace e giustizia sociale, al riparo dell'oppressione e della sofferenza, nel pieno riconoscimento della nostra cittadinanza. Tuttavia, il caos e l'anarchia che che si sono verificati subito dopo e l'escalation senza precedenti di violenza, di conflitti armati e di attacchi mirati verso i cristiani hanno reso la nostra vita impossibile, senza che nessuno Stato ci proteggesse. I cristiani che vivevano a Baghdad e in tutto il centro-sud del Paese, a Ramadi, Bassora, Amarah si sono diretti verso la piana di Ninive, verso il Kurdistan e i paesi vicini, da dove molti di loro hanno scelto di prendere la via dell'emigrazione. Il nuovo governo iracheno, insediato a fine 2011 grazie all'esercito americano, non ha perseguito gli autori dei crimini di quegli anni, che sono sfuggiti a qualunque conseguenza penale. Il peggio però doveva ancora venire, stavolta per mano dei fondamentalisti del cosiddetto Stato Islamico che nel 2014 hanno occupato il nord dell'Iraq e causato la morte e l'emigrazione forzata di migliaia di innocenti, oltre alla confisca dei loro beni. Quando nel 2017 lo Stato Islamico è stato scacciato da Mosul, dalla piana di Ninive, dalla regione di Erbil ha lasciato solo morte e distruzione. Il governo iracheno con l'aiuto di vari Paesi stranieri è riuscito infine a riconquistare la regione, ma il prezzo pagato dalla popolazione in quei tre terribili anni è stato altissimo.
Da allora quanti cristiani sono ritornati nelle loro città e villaggi?
I cristiani, sia originari del posto che sfollati interni, sono stati costretti a causa dell'avanzata di Daesh (Isis in arabo, ndr) a lasciare Mosul e le località della piana di Ninive, il cuore della presenza cristiana in Iraq, senza che fosse loro permesso di portare con sé nemmeno gli effetti personali. Dopo la liberazione di città e villaggi cristiani solo una minima parte degli abitanti è tornata, trovando le case bruciate e distrutte; molti sfollati hanno deciso di prendere la via dell'emigrazione definitiva nei Paesi della diaspora. La ricostruzione e il ritorno alla vita di chi ha deciso di rientrare è stato possibile solo grazie alle Chiese, alle organizzazioni internazionali e ai cittadini, senza nessun aiuto da parte dello Stato.
E oggi, a distanza di quasi dieci anni da quei fatti, qual è la situazione dei cristiani in Iraq?
Ciò che preoccupa oggi i cristiani, malgrado la stabilità relativa che vive l'Iraq, è la proliferazione delle milizie che controllano il Paese. La presenza di forze di sicurezza afferenti al governo centrale, a diversi tipi di milizie curde quali i Peshmerga, ai gruppi sciiti come Shabak è una delle ragioni per cui molti cristiani non sono tornati. Inoltre, il fatto che molte città e villaggi cristiani del nord rientrino nelle zone disputate tra il governo iracheno centrale e il Kurdistan autonomo ha un impatto diretto sul mancato rientro dei cristiani sfollati; la divisione delle zone cristiane tra il Kurdistan autonomo e Baghdad mantiene i cristiani in un'inquietudine permanente riguardo al loro avvenire, perché un conflitto aperto tra i due campi potrebbe scoppiare da un momento all'altro e loro sarebbero le prime vittime. In conseguenza delle devastazioni degli ultimi anni, i cristiani hanno inoltre perso il loro potere economico; il tasso di disoccupazione elevato e la mancanza di opportunità d'impiego sono sfide di primo piano per la comunità cristiana. Questi problemi sono legati alle politiche discriminatorie del governo, che favoriscono l'ingiustizia e la disuguaglianza nell'accesso agli impieghi pubblici. Ciò è strettamente connesso a un altro grave problema che affligge i cristiani iracheni del post Daesh, il cambiamento demografico.
Cioè?
Da parte del governo è in atto una politica di islamizzazione della società. Durante l'occupazione dello Stato Islamico i cristiani che si sono rifiutati di lasciare la propria casa sono stati rapiti, stuprati, ridotti in schiavitù e costretti a convertirsi all'islam. Per una legge riportata nella “Carta nazionale unificata” del 2016, che confligge con i diritti dell'uomo e con il principio di libertà religiosa, i figli di coloro che sono stati costretti a convertirsi con la forza all'islam sono automaticamente di religione islamica. Ebbene, lo Stato Islamico non c'è più ma quella legge è ancora lì; ci stiamo battendo per farla modificare perché costituisce una grossa ingiustizia ed è anche uno dei motivi per cui il cristianesimo rischia di scomparire dall'Iraq.
Cosa chiedete come comunità cristiane al governo iracheno?
I cristiani sono la comunità più vulnerabile del Paese. Se il governo desidera che restino in Iraq e rientrino dall'estero deve mettere in atto misure concrete per preservare la loro presenza. In primis, il governo deve indennizzare le famiglie che hanno subito danni economici nell'ultima guerra. Poi occorre modificare la legge del 2016 ed anche le leggi elettorali, per garantire una rappresentanza politica reale e non simbolica dei cristiani nel parlamento iracheno. Infine, è necessario rivedere i programmi scolastici per promuovere le diverse identità culturali e religiose dell'Iraq: il calo significativo dei cristiani costituisce un segnale d'allarme per l'avvenire del Paese. Un Iraq senza cristiani, senza minoranze religiose, non è un vero Iraq.