Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni I a cura di Ermes Dovico

VITA

Claudia piange e torna a vivere E il bimbo nascerà

«Sa da quanto tempo non riuscivo a piangere?  Ora sento che vorrei buttare fuori, con le lacrime, tutto il male che mi sono ritrovata a dover vivere». Claudia, ragazza senza più un marito e una famiglia ha deciso di tenersi il bambino che voleva abortire. Le è bastato che qualcuno la stesse a sentire e le offrisse un aiuto a continuare.

Editoriali 13_09_2014
Dai Cav un aiuto alla vita

In questo periodo mi ritrovo a fare i conti con tutto il mio lavoro, sempre più impegnativo e quasi fagocitante. Ho provato a pensare che, forse, l’impegno dovesse essere più rivolto alle pubbliche relazioni, alla scrittura e all’organizzazione al nostro interno. Partendo, quindi, dal dato inconfutabile che “tutto non si può fare” mi ero quasi convinta di lasciare le mie prestazioni come operatore. Ed ecco la risposta:

Lunedì mattina, nella stanza storica dei colloqui, arriva Claudia. Una giovane donna di ventotto anni dall’aria molto decisa. «Sono appena stata a ritirare il certificato per interrompere la mia gravidanza di otto settimane. Mi hanno messo in mano il documento, ma non mi hanno né parlato né tanto mento ascoltato. Io so, però, che la legge 194 prevede un colloquio di riflessione e sono venuta a cercarvi». «Brava!», esclamo spontaneamente, «Il nostro Centro di Aiuto alla Vita si trova da trent’anni all’interno della Mangiagalli esattamente per questo. Sono pronta ad ascoltarla». Inizia così il racconto di una storia dolorosa:

«Sono sola al mondo.  Mio padre è morto e mia madre si è formata un’altra famiglia venendo via da Casablanca quando avevo undici anni. Mi ha, poi, chiamato in Italia l’anno dopo, ma mi costava tanta fatica fare ogni cosa. Tutto era nuovo e la famiglia formata con l’altro marito mi andava molto stretta. Appena ho potuto, mi sono messa a cercare soluzioni alternative come la comunità. Da questi posti, comunque, si deve uscire e, così, a diciotto anni, con un diploma di parrucchiera, ho cominciato a cercare lavoro». Si ferma un attimo come incerta.  Si starà forse domandando se tutto ciò c’entra con il nostro colloquio. Vedo, allora, di rassicurarla: «Deve essere stato molto difficile!  Ci sarà voluto un bel coraggio e una grande forza di volontà!».

Mi guarda come illuminandosi. «Mi fa piacere che lei mi ascolti.  Delle mie fatiche non parlo mai con nessuno e potermi sciogliere e togliermi la maschera della persona forte, che tutto affronta e sopporta, mi dà un senso quasi di leggerezza». Come se tirasse un bel respiro, mi guarda, soppesandomi.  Poi decide di poter continuare a parlare di sé e delle sue fatiche: «A quel tempo, però, non ero da sola.  C’era un fidanzato con il quale abbiamo portato avanti una storia per sette anni. Lui forse mi voleva anche bene ma non sapeva prendere decisioni al di fuori della sua famiglia d’origine.  Questo suo modo, non mi faceva sentire per nulla sicura e ho interrotto la relazione. Mi sono ritrovata, così, senza casa ma il mio lavoro andava bene e sono riuscita a sistemarmi alla bell’e meglio».

Certo Claudia è una donna intraprendente ma la fatica di vivere le ha lasciato dei bei segni! «Che cosa succede dopo?». «Dopo qualche tempo ho incontrato un altro ragazzo che non viveva a Milano. Ero pronta, dopo un anno, per raggiungerlo ma, sulla banchina del treno, gli ho telefonato che stavo arrivando da lui. La sua reazione è stata tale che l’ho salutato, ho preso le mie valige e sono tornata a casa». Il mio sguardo un po’ stralunato, le fa dire: «Si starà chiedendo di chi è questo bambino». In effetti mi domandavo quale fosse il pezzo mancante.  È Claudia che continua: «Il padre di questo bambino è una persona che non voglio nemmeno più vedere.  Si è trattato di incontri occasionali dove mancava qualunque forma di sentimento e di emozione. Non gli ho voluto nemmeno parlare della gravidanza. Vivo in un alloggio occupato abusivamente e mi arrangio con lavori in nero di tutti i tipi. Che avvenire potrò dare a questo figlio?  Meglio non pensarci più!».

So per certo che sarà impossibile non pensarci più. I figli vengono tolti dall’utero materno ma restano nel cuore della madre in modo indelebile. Perciò mi spingo un po’ più in là: «Claudia, lei è venuta per riflettere.  Le offro una diversa opportunità.  Vogliamo prendere in considerazione la possibilità di percorrere un’altra strada? Si potrebbe mettere in atto un’accoglienza e fornire il necessario per il bambino e per lei». Spiego minuziosamente quale potrebbe essere il nostro progetto e lei scoppia in lacrime. Un po’ spaventata mi assicuro di non essere stata sgarbata e lei mi risponde con il pianto nella voce: «Sa da quanto tempo non riuscivo a piangere?  Ora sento che vorrei buttare fuori, con le lacrime, tutto il male che mi sono ritrovata a dover vivere. Forse prima non me ne accorgevo nemmeno ma, le sue parole mi hanno tolto quel blocco duro che sentivo e mi sembra quasi di non potermi fermare».

Ci siamo entrambe liberate di un peso veramente schiacciante. Scrivo il progetto per Claudia che porterà avanti la gravidanza e, alla voce colloqui di sostegno psicologico, le chiedo: «Le piacerebbe frequentare un gruppo di donne al suo stesso tempo di gravidanza?». Mi risponde che sì, le farà piacere comunicare con altre persone con situazioni analoghe. Poi: «Ho un altro favore da chiederle: potrò continu«are a incontrarla? Almeno una volta ogni tanto!». Ecco mi dico, forse Claudia è stata la risposta al mio interrogativo per il prossimo futuro. Ora sono io con i lucciconi, e suggelliamo l’accordo con un grande abbraccio.