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C'è chi lavora per un Sinodo gay-friendly

Alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, una conferenza internazionale porterà a Roma vescovi e teologi che chiedono piena accoglienza dell'omosessualità nella Chiesa e nella vita religiosa, come forma di vita che facilita una esistenza cristiana.

Ecclesia 30_09_2014
Invito a Le strade dell amore

Venerdì 3 ottobre a Roma, in vista del prossimo Sinodo per la famiglia, avrà luogo la conferenza internazionale “Le strade dell’Amore, per una pastorale con le persone omosessuali e transessuali". L’obiettivo che persegue questo meeting è quello di elaborare «un documento di contributi e proposte al Sinodo per la nuova pastorale che sarà elaborata a partire dal Sinodo». Un pressing psicologico sui padri sinodali dunque. 

Nell’Appello che spiega il contenuto e le finalità di questa conferenza possiamo leggere: «I cristiani omosessuali italiani stanno effettuando una rivoluzione copernicana: passare dalla condizione di attesa, quella in cui si rimane ai margini, nascosti, sperando che qualcosa accada, che qualcuno faccia qualcosa per cambiare la tua condizione di sofferenza, a quella di abbracciare una visione della speranza che si fa azione, che ti porta a non volerti nascondere più, ad assumere consapevolezza che la propria esistenza è bella, degna e piena come quelle di ogni altra persona e che, quindi, può diventare spunto, materia per interrogare le comunità tutte perché dal Sinodo stesso esca una nuova pastorale, elaborata anche ‘con’ le persone omosessuali e transessuali».  

L’Appello poi prosegue citando ovviamente la famigerata frase del Papa di ritorno dal Brasile: «La domanda che si è rivolto spontaneamente papa Francesco ‘chi sono io per giudicare un gay?’ è stata un balsamo per molte persone, ed ha in sé la forza progettuale per poter diventare ora un cambiamento concreto, perché la sospensione di giudizio di per sé non è sufficiente. Deve evolvere in crescita delle comunità cristiane nella loro capacità concreta di accogliere, incoraggiare, rispettare le persone omosessuali e transessuali nel loro desiderio di una vita piena, come tutte le persone che ancora oggi si trovano emarginate ed escluse». 

Questi due stralci hanno un contenuto obliquo perché dicono e non dicono. Da una parte è proprio della pastorale insegnata dal Magistero l’atteggiamento del cristiano, richiamato anche in questo documento, volto ad accogliere le persone omosessuali e a rispettarne la dignità. Su altro fronte però pare che «la sospensione del giudizio» non debba riguardare unicamente la responsabilità soggettiva – che in ultima istanza riguarda solo Dio (ma in parte anche gli uomini: vedi confessione) – bensì proprio le condotte e la condizione omosessuale sulle quali invece il Magistero ha già da tempo espresso un giudizio e un giudizio di condanna. Pare quindi che il documento di questa conferenza inviti il Sinodo ad accogliere non solo la persona omosessuale, ma anche la sua omosessualità.

I relatori della conferenza saranno: Geoffrey Robinson, vescovo emerito dell’arcidiocesi cattolica di Sidney - Australia; James Alison, teologo e sacerdote cattolico inglese; Antonietta Potente, teologa e suora domenicana; Letizia Tommasone, pastora e teologa Valdese e Joseanne Peregrin, Presidente della Christian Life Community di Malta. 

Invece tra i partecipanti segnaliamo la presenza della delegazione de la Pastorale de la Diversidad sessuale CVX de Chile (PADIS+), una iniziativa nata all'interno della Comunità ignaziana di Vita Cristiana (CVX) di Santiago del Cile. In un comunicato rivolto ai padri sinodali questa delegazione ci informa che «in accordo col Magistero e la dottrina cattolica, la Chiesa ci propone di vivere la nostra sessualità nella castità, e di riconoscere e accettare che tutti e tutte ci sentiamo chiamati a scegliere una vita celibe, a causa di una condizione innata che avvertiamo come immutabile, ma che per noi non è una scelta. Le nostre vocazioni e chiamate sono molteplici e varie. Non tutti siamo chiamati alla stessa meta. La castità necessita del nostro consenso e della nostra libertà. Così come è formulato, l’insegnamento della Chiesa riguardo a questi temi non offre nessuna alternativa oltre a questa, escludendo altri percorsi e strade di possibile vocazione personale e comunitaria».  In breve: la castità va bene solo se accettata, altrimenti è una forzatura e dunque non sarebbe una scelta ma una imposizione. L’ultima parola sulla condizione omosessuale non tocca a Santa Romana Chiesa, depositaria non della Verità ma unicamente di meri consigli pratici, bensì solo alla persona omosessuale. 

Castità no dunque ed invece sì alla “famiglia” omo: «La famiglia sembra un orizzonte possibile, che molti e molte già vivono nelle loro relazioni di coppia o insieme a quelli che considerano essere la loro famiglia». Tradotto: se una realtà è già esistente significa che è buona. Se molti omosessuali vivono assieme ed hanno figli questa è già famiglia e le alte sfere della gerarchia cattolica non possono che registrare e benedire questo fenomeno.

In merito poi all’incompatibilità tra vita religiosa e condizione omosessuale il comunicato così si esprime: «Abbiamo l’impressione che l’invisibilità della sessualità nella vita religiosa, la segretezza di fronte all’omosessualità presente in essa e la lassitudine che abbiamo visto e sentito, ci sfida a voler ancora collaborare affinché molte persone non debbano sperimentare l’incompatibilità della propria omosessualità con la vita religiosa». L’omosessualità non sarebbe un inciampo ad una vita votata completamente a Cristo ma anzi una condizione che facilita un’esistenza incardinata sulla povertà, sull’obbedienza e soprattutto sulla castità.

Tra le molte riflessioni che si potrebbero fare, forse la più immediata è la seguente: appare molto curiosa l’espressione “cristiani omosessuali” usata in questi documenti. Come se i cristiani fossero eterosessuali e omosessuali. Se accettiamo questo distinguo allora dovremmo accettare un’infinità di altre categorie: i cristiani adulteri e quelli fedeli, quelli ladri e gli onesti, etc. Ed invece omosessualità, infedeltà e furto sono incompatibili con l’aggettivo “cristiano”. L’idea che soggiace in questi elaborati è infine quella solita: l’omosessualità è una condizione o caratteristica naturale della persona, dunque di segno positivo, come essere intelligenti o coraggiosi. Se quindi l’omosessualità è una qualità buona del credente deve essere favorita ed incoraggiata perché utile nel cammino di fede.

Il salto è evidente: si chiede al Sinodo non più di tollerare l’omosessualità – perché si tollera solo ciò che è male – ma di promuoverla perché uno dei volti eticamente accettabili dell’uomo. E se l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, tra poco ci sarà qualche teologo che si spingerà a dire che anche Dio è omosessuale. Fanta-teologia? Vedremo.