Il frutto della sofferenza
Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore (Gv 15,1)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». (Gv 15,1-8)
I discepoli che desiderano restare fedeli a Gesù, a volte, sembrano essere più provati dalle difficoltà della vita. Ma in verità, la sofferenza tocca ogni esistenza, in un modo o nell’altro. Ciò che cambia è il modo in cui viene vissuta. Spesso ciò che ci fa paura non è affatto un male, ma una tappa necessaria per crescere. Come una pianta potata soffre al momento, ma poi produce frutti più abbondanti, così anche le nostre ferite possono diventare sorgenti di vita nuova. Lo stesso vale per la nascita: inizia con il dolore della madre e il pianto del neonato, ma si trasforma presto in una profonda gioia fatta di sguardi, riconoscimento e amore reciproco. Questo legame madre-figlio diventa immagine viva della relazione tra Dio e ciascuno di noi. Se restiamo uniti a Lui con la fiducia di un bambino tra le braccia della madre, non abbiamo nulla da temere. Ti senti davvero legato a Dio come un figlio alla madre, oppure cerchi di camminare da solo?