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CHIESA

Cardinali contro, quanti equivoci sulla famiglia

L'attacco del cardinale Maradiaga al neo-cardinale Gehrard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sulla comunione ai divorziati risposati è l'occasione per porre domande e fare chiarezza.

Ecclesia 23_01_2014
I cardinali Maradiaga e Muller

Non è bastata la concessione della porpora, segno di una fiducia che Papa Francesco nutre nei suoi confronti: il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gehrard Müller, continua a essere bersaglio di attacchi da parte dei suoi confratelli per aver ricordato che non c’è problema pastorale da risolvere che possa mettere in discussione l’indissolubilità del matrimonio.

L’ultimo a prendersela con Müller è stato il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras) e coordinatore del gruppo di 8 cardinali (C8) voluto dal Papa per un aiuto nel progetto di riforma della Curia. In una lunga intervista al giornale tedesco  Koelner Stadt-Anzeiger si rivolge al neo-cardinale Müller anche in tono un po’ sarcastico: «Penso di capirlo – dice Maradiaga -. È un tedesco, si deve dirlo, è anzitutto un professore di teologia tedesco, nella sua mentalità c'è solo il vero e il falso. Però io dico: fratello mio, il mondo non è così, tu dovresti essere un po' flessibile, quando ascolti altre voci. E quindi non solo ascoltare e dire no». 

Il tema, come sempre da un po’ di tempo a questa parte, è quello della comunione ai divorziati risposati ma anche di tutte le situazioni familiari irregolari che oggi pongono alla Chiesa una sfida, come dice ancora Maradiaga. Ma è bene ricordare che Müller non ha mai negato la necessità di rispondere alle sfide pastorali, ha semplicemente chiarito che – essendo di Dio la Chiesa – non possono essere gli uomini a cambiare ciò che è stato rivelato. E lo ha fatto per la necessità di contrastare la fuga in avanti dei vescovi tedeschi, decisi a cambiare la dottrina in materia prevedendo la possibilità di comunione ai divorziati risposati.

Stando all’intervista, Maradiaga si colloca a metà tra Müller e l’episcopato tedesco (cardinale Reinhard Marx in testa, un altro dei C8). Dice infatti Maradiaga parlando della comunione ai divorziati risposati: «La Chiesa è tenuta ai comandamenti di Dio» e a ciò che Gesù «dice sul matrimonio: ciò che Dio ha unito, l'uomo non deve separarlo. Però ci sono diversi approcci per chiarire questo. Dopo il fallimento di un matrimonio ci possiamo per esempio chiedere: gli sposi erano veramente uniti in Dio? Lì c'è ancora molto spazio per un esame più approfondito. Però non si va nella direzione per cui domani è bianco ciò che oggi è nero».

E ancora, riferendosi alle tante situazioni “irregolari” (separazioni, famiglie allargate, matrimoni senza figli, uteri in affitto), afferma: «Tutto questo richiede risposte per il mondo di oggi e non basta dire: per questo abbiamo la dottrina tradizionale. Ovviamente la dottrina tradizionale verrà mantenuta», ma ci sono «sfide pastorali» adatte ai tempi alle quali non si può rispondere «con l'autoritarismo e il moralismo» perché questa «non è nuova evangelizzazione».

Le affermazioni del cardinale Maradiaga offrono però spunto per alcune riflessioni su questo tema visto che è di estrema attualità.

Anzitutto la riproposizione di frasi  e concetti che suonano bene ma che alla fine non si sa esattamente cosa vogliano dire. Ad esempio: da una parte Maradiaga afferma chiaramente che la dottrina non si cambia ma allo stesso tempo invita Müller – che aveva detto appunto la stessa cosa – a essere più flessibile. Cosa vuol dire? Visto che si parla di comunione ai divorziati risposati ci sono solo due possibilità: o si dà o non si dà. “Si dà a certe condizioni” – come dicono i vescovi tedeschi - non è una terza opzione, è ancora la prima. Il coordinatore del C8 da che parte vuole andare?

Altro esempio: dice Maradiaga che dopo il fallimento di un matrimonio dobbiamo chiederci se gli sposi erano veramente uniti in Dio. Giusto, ma non è esattamente ciò che fa già la Rota Romana? Allora forse è il caso di spiegarsi meglio su dove si vuole arrivare.

Ed è qui che il problema va affrontato alla radice: di matrimoni celebrati con scarsa o nulla consapevolezza del valore del sacramento, infatti, ce ne sono tanti, troppi. Era questa consapevolezza che aveva spinto già Benedetto XVI a chiedere un approfondimento della questione. In altre parole, il caso dei divorziati risposati non si affronta partendo dalla “comunione sì, comunione no”, ma dalla verifica delle condizioni che rendono valido un matrimonio. Si tratta ovviamente di una questione tutta da approfondire, anche per evitare che diventi una facile scappatoia che si trasformi in un “divorzio mascherato”.

Però quello che più è curioso è che anche coloro che si pongono il problema della validità di tanti matrimoni celebrati in chiesa, non pensino neanche a domandarsi come mai tante coppie sono così incoscienti del sacramento che celebrano. Quei vescovi e cardinali che tanto ironizzano sulla presunta rigidità della Congregazione per la Dottrina della Fede, dovrebbero chiedersi cosa fanno nelle loro diocesi per evitare che ci siano tanti matrimoni potenzialmente nulli. Pensiamo all’Italia: per sposare in chiesa è obbligatorio frequentare un corso di preparazione per fidanzati. Se sono così tanti coloro che, pur frequentando questi corsi, arrivano incoscienti all’altare non sarà che c’è qualcosa che non va in chi è chiamato a spiegare e testimoniare il fascino di un matrimonio cristianamente vissuto? Ci sono corsi per fidanzati dove venga almeno fatto intuire che il sacramento è una cosa seria e che non si riduce a un generico “volersi bene e sopportare con pazienza”? In questo senso, lottare per dare la comunione ai divorziati risposati, diventa un modo non già di offrire misericordia ma di scaricare le proprie responsabilità spostando l’oggetto della discussione.  

C’è poi un altro aspetto fastidioso di questo dibattito: in vista del Sinodo sulla famiglia in realtà si discute solo di comunione ai divorziati risposati, come se la crisi della famiglia e gli attacchi a cui è sottoposta si riducessero a questo aspetto. In questo modo peraltro si amplifica a dismisura un fenomeno e un problema che – tenendo conto di chi frequenta le chiese – è tutto sommato marginale dal punto di vista quantitativo (quanti sono effettivamente i divorziati risposati che chiedono la comunione?). E soprattutto riguarda le Chiese dei paesi occidentali e di lunga tradizione. Ben altri problemi si trovano le Chiese africane e asiatiche e più in generale le Chiese giovani riguardo alla famiglia: il ruolo della donna, le usanze tribali, i matrimoni combinati, la promiscuità sessuale, tanto per fare qualche esempio. Di fronte a un mondo pagano, come era del resto al tempo degli apostoli, la Chiesa ha sempre seguito la legge di Dio convertendo pian piano il mondo attorno a sé. Se passasse il criterio che bisogna “accomodarsi” con il mondo, e si spacciasse questo per misericordia, le conseguenze sarebbero devastanti, anche nei confronti delle Chiese giovani: perché allora, per fare uno solo dei mille esempi possibili, non avere “misericordia” di chi pratica l’iniziazione sessuale delle fanciulle, visto che in certi posti quella è la regola generale?

Un’ultima questione il cardinale Maradiaga fa emergere: sempre riferendosi alle tante situazioni familiari irregolari, afferma che ci vuole «più pastorale che dottrina», riproponendo così un dualismo incomprensibile. In realtà questo è diventato il ritornello da quando è stato eletto papa Francesco: «Adesso basta dottrina, pensiamo alla pastorale», dando per scontato che i papi precedenti se ne siano infischiati della pastorale e non abbiano fatto altro che picchiare a colpi di dottrina. Il che è assolutamente falso, e soprattutto è falsa questa contrapposizione.

A parte il fatto che anche la Misericordia fa parte della dottrina, non può esistere una pastorale che non abbia dei contenuti dottrinali, qualsiasi essi siano. Per tornare ad un esempio precedente, se in parrocchia si organizza un corso per fidanzati bisogna anche aver chiaro il percorso che si vuole fare. Certo, le persone vanno colte nella situazione in cui sono, c’è un cammino da fare e bisogna rispettare i tempi e il cammino di ognuno; ma l’obiettivo verso cui camminare deve essere chiaro per chi guida, e non può non essere la Verità tutta intera, altrimenti succede ciò che è sotto i nostri occhi e che è all’origine di tanti problemi: coppie che si sposano in chiesa senza avere la minima idea di cosa significhi. Ma più in generale la conseguenza è quel triste spettacolo che mosse a compassione anche Gesù, «perché erano come pecore senza pastore».