Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Luigi Maria Grignion di Montfort a cura di Ermes Dovico
IL LIBRO/ CARL RHODES

Capitalismo woke: autodistruttivo e dannoso per la democrazia

Il capitalismo diventa "etico" e segue le mode della rivoluzione woke. Quindi il capitalismo rinnega se stesso e sabota la democrazia. Capitalismo Woke (Fazi editore) è il libro di Carl Rhodes che analizza il fenomeno. Buona la pars destruens, bocciata la pars costruens. 

Cultura 27_09_2023
Banche arcobaleno

Due parole infestano come spettri quella che sembra cultura e invece è sempre più spesso industria. Una è «capitalismo», l’altra «woke». Spettri perché sfuggono alla presa e terrorizzano. Sfuggono perché non hanno sostanza, sacchi vuoti riempiti da chiunque con cose qualunque. E proprio per questo terrorizzano: feriscono, talvolta mortalmente, l’intelligenza dei portatori sani (di intelligenza) e sono passe-partout. Come li usi, stanno, e non spiegando nulla, fingono di spiegare tutto.

«Capitalismo», nato nella Sinistra utopista ottocentesca, è un termine di cui il Karl Marx che disprezzava i socialisti utopisti fece un’arma. Indossandolo vantandosene, i suoi avversari hanno fatto il gioco di Marx e dei marxisti: si sono concentrati sul capitale economico invece che sul genio imprenditoriale, sul patto morale che lo fonda e sul diritto, sul benessere e sul bene che sa portare.

«Woke» è invece una buzz word, cioè una parola modaiola. Significa «sveglio». Nei dizionari è stata registrata nel 2017 e racconta la bugia del risveglio non richiesto dell’umanità dal presunto letargo nei confronti della presunta ingiustizia contro tutto e tutti, onde imporre la categoria e il cliché della riparazione globale. È il lasciapassare per tutte quelle che “in francese” si chiamano coglionerie e abilita all’abbattere statue, al correggere letterature, all’inginocchiarsi negli stadi di tipi che non sanno nemmeno cosa significhi inginocchiarsi. Riempie la bocca di un buon sapore e recentemente pare avere più fortuna di espressioni, che in centro si portano benissimo, come «combinato disposto», anche se meno di «il tema è» di chi si dà un tono e «quello che è» tipico di chi non ha nulla da dire.

Carl Rhodes, docente di Teorie dell’organizzazione e preside della UTS Business School nella University of Technology di Sydney, in Australia, assiste al matrimonio combinato e riparatore fra «capitalismo» e «woke» per trarne un libro, appunto Capitalismo woke, edito da Fazi con prefazione di Carlo Galli. Il senso sta nel sottotitolo: Come la moralità aziendale minaccia la democrazia. L’originale inglese sferza di più: usa «sabotare» invece che «minacciare». Rhodes sbertuccia i tic della «cultura del piagnisteo» ‒ per dirla con un titolo eccellente (tradotto da Adelphi) di Robert Hughes, pioniere del genere frequentato qui in forma aziendalistica da Rhodes ‒, permettendo di concludere che si tratti solo di una grande pagliacciata. Per lucrare un quarto d’ora di gloria mediatica i martellatori di monumenti e i censori di Dante, William Shakespeare, Daniel Defoe, Jonathan Swift, James Joyce, George Orwell, J.K. Rowling, Roald Dahl o Paperon de’ Paperoni. Per lucrarci dividendi le nuove verginelle in gessato eco-friendly, gay-friendly, pet-friendly, no-to-racism e bla bla bla.

Spiega infatti Rhodes che questa coscienza nuova dei capitani di azienda è la deriva furba della responsabilità aziendale. La quale è sempre esistita, ma da una certa data è stata “inventata” come bisogno non richiesto e foglia di fico. Occorre infatti intendersi. Il capitalismo (cioè quell’insieme di ricchezze della civiltà materiale che il termine nasconde) è sempre stato responsabile verso la società. Non fosse che per interesse; nessuno sega il ramo su cui siede. In realtà, in positivo, il capitalismo ha sempre innovato, migliorato, perfezionato. Lo si potrebbe definire la cifra stessa dell’intelligenza umana. Basta studiare la storia della libertà di mercato dai monaci benedettini (come insegna lo storico belga Léo Moulin) ai teorici francescani e gesuiti, la storia dell’imprenditoria dalla scoperta della ruota in qua e persino la storia dei «lestofanti»: già classico è The Myth of the Robber Barons: A New Look at the Rise of Big Business in America, pubblicato nel 1993 dallo storico statunitense Burton W. Folsom per raccontare l’altro volto dei Vanderbilt, dei Rockefeller, dei Mellon, degli Schwab, e così via. Il giorno però in cui furono inventate le scuse non richieste su tutto e il contrario di tutto, persino il chiedere scusa di esistere, quel legno storto del capitalismo che vive di consociativismi sfruttando le amministrazioni pubbliche ha abbracciato la caricatura sinistrese che lo dipinge come un orco feroce fiutandone un lauto guadagno. Gli inginocchiamenti filantropici iniziarono allora e per Rhodes culminano nella gabbia woke che minaccia lo sviluppo.

Oggi le ditte e le company fanno la predica nelle pubblicità e ammorbano con una morale d’accatto per sostituire lo stucchevole Stato etico con un’ancora più stucchevole imprenditoria etica. Rhodes è formidabile, imperdibile nel centrare tutte e ognuna le piaggerie della moda woke applicata al fare e le insopportabilità degli avvoltoi trans che s’improvvisano agnelli. Ma poi ricade nello stesso errore. Per lui il baco non sta nel conformismo imposto dalle mode LGBT+, Black Lives Matter e «Non c’è un pianeta B», bensì nelle tasse eluse dalle aziende del politicamente corretto all’ennesima potenza. Vero (in parte), ma così Rhodes sbaglia obiettivo. Rhodes (giovane ma del tutto simile a un matusa della vecchia Sinistra che non vuole sfigurare di fronte alle nuove generazioni facinorose) si fa politicamente corretto nel giudicare sano il politicamente corretto stesso se solo non fosse per l’abuso che ne fanno certi capitalisti. Buona la pars destruens, insomma, bocciata la pars costruens.

Perché sì, il capitalismo woke sta sabotando la democrazia ma questo per il fatto che l’incultura woke del nichilismo contemporaneo divora dall’interno, come ne L’invasione degli ultracorpi, il capitalismo, il quale non è una parolaccia, bensì il termometro della crescita dell’umanità dall’alba della storia. Quella capacità nobilmente umana di affrontare i problemi, cercare soluzioni e inventare, modernizzare, riformare, realizzare, produrre, costruire, edificare, fondare. Quando il vampirismo woke ne avrà succhiato l’ultima goccia di sangue, della civiltà genuinamente umana non resterà infatti più nulla, non solo la democrazia.