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FRANCIA

Banlieue: il terrorismo è la causa, la rivolta è l'effetto

Francia, dopo un 2016 caratterizzato dal terrorismo islamico, adesso la repubblica d’Oltralpe, a due mesi dalle elezioni presidenziali, si appresta ad affrontare un nuovo tentativo di attacco (sventato) e contemporaneamente una rivolta nelle Banlieue parigine che ricorda quella più grave della storia recente, quella del 2005. 

Esteri 12_02_2017
Guerriglia urbana a Aulnay

Francia, dopo un 2016 caratterizzato dal terrorismo islamico, adesso la repubblica d’Oltralpe, a due mesi dalle elezioni presidenziali, si appresta ad affrontare un nuovo tentativo di attacco (sventato) e contemporaneamente una rivolta nelle Banlieue parigine che ricorda quella più grave della storia recente, quella del 2005. 

Il terrorismo, prima di tutto. E’ questo il pensiero fisso dei francesi e non a torto. Non si può considerare la notizia del probabile attacco sventato dalla polizia due giorni fa come un fatto in sé. Lo si deve leggere come l’ultimo di una lunghissima serie di eventi, che stanno diventando sempre più frequenti col passare del tempo. La polizia era sulle tracce di una ragazza musulmana di 16 anni, radicalizzatasi negli ultimi tempi. Postava video sui social network in cui dichiarava fedeltà all’Isis, si diceva pronta a partire per la Siria, o in alternativa a compiere atti di terrorismo in patria. La polizia l’ha arrestata il 10 febbraio, assieme ad altri tre uomini, in un appartamento a Montpellier (nel Sud della Francia), con materiali adatti per costruire una bomba artigianale. Avevano acquistato acetone, la base degli esplosivi usati dagli jihadisti negli attentati dell’anno scorso a Parigi. Anche questa presunta cellula, di cui si sa ancora poco, avrebbe avuto l’intenzione di colpire nella capitale. Attacco sventato, buona notizia. Sì, ma non va letta come un fatto isolato, appunto. Va letta in prospettiva.

La storia degli ultimi quattro anni vede la Francia praticamente in guerra. Gli attacchi terroristici sono ben 16 attacchi (senza contare quelli pianificati, ma sventati da azioni preventive della polizia), dalla singola azione del “lupo solitario” al grande attacco multiplo coordinato. Si va dal massacro degli scolari della scuola ebraica di Tolosa del 19 marzo 2012 (preceduto dall’uccisione di tre soldati, la settimana prima), all’ultima aggressione di fronte al museo Louvre di Parigi, il 6 febbraio, in cui l’attentatore, Abdullah Hamamy, è rimasto gravemente ferito senza riuscire a compiere il suo attentato suicida. In mezzo ci sono gli eventi più gravi e mediatici, come la strage della redazione del Charlie Hebdo, seguita subito dopo dal sequestro del supermercato ebraico Hypercasher, a Parigi. Una vera e propria battaglia durata due giorni, dal 7 al 9 gennaio 2015, conclusasi con l’uccisione dei tre attentatori, in due assedi separati ma contemporanei. Azioni di guerriglia urbana, come l’attacco coordinato a Parigi nella notte fra il 13 e il 14 novembre 2015, con il massacro nel teatro Bataclan e in diversi bistrot del centro della capitale, oltre che il tentativo di attacco suicida allo Stadio di Francia, dove era presente lo stesso presidente Hollande. Stragi improvvise quanto sanguinose, come quella di Nizza del 14 luglio scorso: un unico terrorista, un camion lanciato sulla folla, 84 morti nella festa nazionale francese.

A questi macro-attacchi si aggiungono quelli compiuti da lupi solitari o piccole cellule, come l’assassinio di padre Jacques Hamel, durante la messa mattutina del 26 luglio 2016, nella chiesa normanna di St. Etienne de Rouvray. E poi c’è lo stillicidio di attacchi di lupi solitari, di cui non ci si ricorda neppure più, ma che hanno terrorizzato il paese e creato un clima di insicurezza continua. Furgoni lanciati sui mercatini natalizi a Digione e poi a Nantes, il 21 e il 22 dicembre 2014 (alla vigilia del massacro di Charlie Hebdo). L’aggressione a poliziotti, a Parigi (23 maggio 2013), Joue les Tours (20 dicembre 2014, sempre alla vigilia del massacro di Charlie Hebdo), a Nizza (3 febbraio 2015), a Valenza (1 gennaio 2016) e Magnaville (13 giugno, il giorno prima della strage di Nizza).

In tutto, sono 230 le persone uccise in attacchi terroristici negli ultimi due anni, da quando si registra la maggior concentrazione di attentati. La Francia vive, in questo periodo, in un clima simile ad uno stato di guerra, con polizia ed esercito che pattugliano le strade, metal detector nei punti chiave e luoghi turistici blindati: l’ultima novità è la costruzione di una barriera di vetro attorno alla Torre Eiffel. E’ soprattutto questo stato di assedio, con tutte le sue conseguenze, che ha fatto scoppiare l’ultima crisi delle Banlieue parigine. La causa immediata è un atto di immane brutalità della polizia ai danni del giovane Theo, sospettato di spacciare droga a Aulnay-sous-Bois (nell’hinterland parigino), picchiato e sodomizzato con un manganello mentre era in arresto. Nonostante la solidarietà mostrata da tutte le istituzioni alla vittima dell’abuso, nonostante la visita del giovane in ospedale da parte dello stesso presidente Hollande, le Banlieue sono esplose: auto e locali pubblici bruciati, sabotaggio alla rete elettrica, scontri con la polizia.

Al di là del singolo episodio, la causa di questa nuova ondata di violenza va ricercata nel clima che si respira negli ultimi due anni: senza considerare il terrore che lo jihadismo ha creato, non si potrebbe comprendere. Non si capirebbe come mai la gente di Parigi è diventata ancor più diffidente nei confronti dei concittadini dell’hinterland. Non si capirebbe neppure perché la comunità magrebina delle Banlieue registra il più alto tasso di disoccupazione di sempre (perché nessuno si fida a dar loro impiego).

La Francia si sta dividendo, oggi più che mai. Ed è in queste condizioni che si appresta ad andare al voto il prossimo maggio.