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SIRIA

Assad, l'attività diplomatica indica una vittoria vicina

Il presidente siriano conferma che stanno arrivando a Damasco delegazioni diplomatiche di paesi arabi e occidentali in vista della riapertura delle ambasciate. E intanto la Russia rinforza le difese aeree della Siria.

Esteri 06_10_2018

Negoziati tra Assad e le monarchie del Golfo e missili russi in grado di complicare la vita ai raid israeliani: questi gli elementi più evidenti del nuovo corso del conflitto siriano.

Il presidente siriano Bashar Assad ha concesso la prima intervista a un giornale del Golfo dall’inizio della guerra e pur senza menzionare i singoli Stati ha confermato l’arrivo di delegazioni arabe e occidentali a Damasco con l’obiettivo di riaprire le rappresentanze diplomatiche.
Il messaggio è chiaro: la Siria è pronta a siglare una “grande intesa” con alcuni Stati del Golfo, dopo sette anni di conflitto in cui dagli emirati e dall’Arabia Saudita sono giunti denari e armi ai ribelli.
Al quotidiano kuwaitiano al-Shahed, Assad ha detto che da qualche tempo delegazioni di nazioni arabe e occidentali hanno iniziato a visitare la Siria. Presto la guerra finirà e il Paese tornerà a ricoprire “un ruolo di primo piano” nella regione.

La presenza della Siria all’interno dei 22 membri della Lega araba si è interrotta fin dai primi tempi della guerra e nei mesi successivi diverse nazioni della regione hanno imposto sanzioni economiche e commerciali a Damasco.
In questi anni Arabia Saudita, Qatar e altri membri del Consiglio di cooperazione del Golfo hanno sostenuto in modo aperto l’opposizione anti-Assad e i gruppi ribelli jihadisti.

L’intervista ad Assad giunge a pochi giorni di distanza dal sorprendente incontro fra il ministro siriano degli Esteri e l’omologo del Bahrain a margine dell’Assemblea generale Onu che si è tenuta al Palazzo di Vetro a New York. I due diplomatici si sono scambiati strette di mano e abbracci a favore di telecamera, mostrando un clima di grande cordialità. Un segno ulteriore di un possibile cambiamento di orientamento, almeno di alcuni Paesi del Golfo, nei confronti di Assad.

Un esercizio di puro pragmatismo che riconosce la vittoria di Damasco (e di Mosca) nella guerra siriana e che punta forse oggi ad attrarre Assad verso Stati in grado di investire denaro in Siria per allentarne gli strettissimi legami con l’Iran, rafforzatisi in questi anni grazie anche al rilevante contributo in truppe e mezzi forniti dagli iraniani alle forze siriane.

Sul campo di battaglia a Idlib stenta a consolidarsi l’accordo raggiunto da Russia e Turchia, che ha di fatto bloccato l’offensiva programmata dall’esercito governativo per la riconquista dell’ultimo bastione ancora in mano ai gruppi di opposizione.
I ribelli devono rimuovere le armi pesanti dalla zona demilitarizzata entro il 10 ottobre e i movimenti jihadisti lasciare l’area entro il 15 ma con l’approssimarsi delle scadenze, poco o nulla sembra essere cambiato sul terreno dove si registrano scontri tra milizie filo-turche del Fronte di Liberazione Nazionale e i qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra.

La Russia intanto ha completato nei giorni scorsi la consegna alla Siria dei sistemi missilistici di difesa aerea S-300 che migliorerà le capacità di Damasco di ingaggiare bersagli aerei e missilistici.
Secondo il ministero della Difesa sono state consegnate alla Siria 49 unità (componenti) del sistema S-300, inclusi 4 veicoli lanciatori che verranno integrati nel sistema di difesa aerea siriano ma anche in quello russo in Siria che già schiera sistemi a lungo raggio S-400 a Hmeimin e S-300 nella versione più avanzata V-4 presso la base navale di Tartus dotata di missili con oltre 300 chilometri di raggio d’azione.
La versione fornita ai siriani sembrerebbe essere invece la meno avanzata S-300PMU2 Favorit, risalente alla fine degli anni ’90 ma in grado di intercettare bersagli aerei fino a 200 chilometri di distanza e 30 chilometri di altitudine.

Il trasferimento dei mezzi e dei missili in Siria coincide con la fornitura  a Damasco anche di sistemi moderni di difesa aerea a corto e medio raggio Buk e Pantsyr oltre a contromisure e sistemi elettronici in grado di migliorare le prestazioni della difesa aerea in termini di contrasto alle incursioni e di riconoscimento e ingaggio dei bersagli per evitare casi come quello che portò all’abbattimento dell’aereo-spia russo Il-20, il 17 settembre scorso

Mosca aveva bloccato già nel 2013 la fornitura degli S-300 a Damasco proprio per non irritare Israele ma l’abbattimento dell’IL-20 e la morte dei 15 uomini d’equipaggio ha convinto la Russia a rompere ogni indugio. L’aereo è stato colpito da un missile siriano ma Mosca ha mostrato prove di come si sia trattato di un’esca messa a punto dalle forze aeree israeliane.
Con i mezzi schierati in Siria i russi sono ora in grado di impedire addirittura il sorvolo dello spazio aereo ad aerei ostili quali i jet israeliani.

Secondo gli osservatori israeliani le operazioni militari nei cieli siriani subiranno ora un salto di qualità. Un commentatore della radio militare israeliana ritiene prevedibile che in futuro Israele ricorrerà più spesso ai cacciabombardieri F-35 a bassa osservabilità e dotati di una potenziata capacità dei sensori di bordo. Gli F-35 sono già stati impiegati in almeno una occasione nelle operazioni sulla Siria pur mantenendo il velivolo stealth lontano dallo spazio aereo da Damasco.

In ogni caso da oggi colpire dal cielo il territorio siriano sarà più arduo per chiunque. Il rafforzamento delle difese aeree di Assad e soprattutto la loro ormai completa integrazione con il dispositivo aereo e antiaereo russo in Siria non piace a Washington. Il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha parlato di una “escalation seria” con l’arrivo degli S-300 mentre il presidente Vladimir Putin ha preferito ricordare la presenza illegale del contingente americano di 2mila militari schierati in Siria,