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IMMIGRAZIONE

Ancora gli immigrati praticano le mutilazioni genitali femminili

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Le mutilazioni genitali femminili sono una pratica dannosa per le donne, condannata da tutti i governi, ma difficile da sradicare, anche nelle comunità di immigrati.

Vita e bioetica 21_02_2024
Protesta contro le mutilazioni genitali femminili (La Presse)

800 300 558. Di questo numero verde mass media, amministratori e governanti dovrebbero ricordare periodicamente l’esistenza. È gestito da operatori della Polizia di Stato in collaborazione con il dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio ed è dedicato alla prevenzione e al contrasto delle mutilazioni genitali femminili (Mgf). Accoglie segnalazioni e notizie di reato avvenute sul territorio italiano e fornisce informazioni sulle strutture sanitarie e sulle organizzazioni di volontariato a cui rivolgersi.  

È stato istituito dal Ministero dell’interno nel 2006, anno in cui, in considerazione del numero elevato di bambine e adolescenti residenti in Italia che rischiano di essere mutilate e dei numerosi interventi eseguiti nel nostro paese, è stato introdotto nel codice penale il delitto di mutilazioni genitali femminili ed è stata varata una legge specifica, intesa a creare un sistema più efficiente di prevenzione e a punire più severamente sia gli esecutori degli interventi sia chi – genitori e altri parenti – li commissionano.

Sulla carta è una delle legislazioni più avanzate perché prevede un monitoraggio costante, corsi di formazione per personale medico e scolastico, attività di sensibilizzazione realizzate coinvolgendo enti locali, comunità straniere e associazioni. Recepisce correttamente gli impegni presi nel corso degli anni a livello internazionale, anzi nei decenni, tra cui la risoluzione approvata nel dicembre del 2012 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha decretato la messa al bando universale delle Mgf e il documento finale del vertice internazionale Girl Summit 2014. Per un futuro libero dalle mutilazioni genitali femminili e dai matrimoni imposti e infantili organizzato dall’Unicef e dal governo britannico, al quale avevano partecipati decine di esperti e di personalità politiche da tutto il mondo.

Ma quel futuro, a distanza di dieci anni, non è ancora arrivato. Quest’anno il 6 febbraio, in occasione della Giornata mondiale della Tolleranza zero delle Mutilazioni genitali femminili, istituita nel 2003 dall’Onu, in una nota congiunta Unicef, Un Women, Oms e altre agenzie delle Nazioni Unite hanno denunciato il deplorevole persistere di questa istituzione: «più di 200 milioni di ragazze e donne oggi in vita hanno subito Mgf – si legge nella nota – quest’anno quasi 4,4 milioni di ragazze saranno a rischio di subire questa pratica dannosa. Ciò equivale a più di 12mila casi al giorno». 

Le Mgf sono tradizionalmente praticate in una ventina di Stati africani (l’80% degli interventi) e in Medio Oriente. Ma da alcuni decenni interessano paesi in cui prima erano assenti. Chi per tradizione le impone alle figlie, tende a farlo anche quando emigra. Si stima che ogni anno arrivino in Europa almeno 20mila ragazze provenienti dai paesi in cui le Mgf sono praticate. Nell’Unione Europea sono almeno 600mila le donne mutilate e si calcola che ci siano circa 190mila bambine e adolescenti che rischiano di esserlo perché sono originarie di paesi come l’Egitto, la Nigeria e la Somalia nei quali la percentuale di donne mutilate è molto elevata. In Italia l’indagine più recente, condotta nel 2019, indicava la presenza di 87.600 donne mutilate, 7.600 delle quali minorenni, e si ritiene che siano a rischio dal 15 al 24% delle oltre 76mila ragazze di età compresa tra 0 e 18 anni.

«Le mutilazioni genitali femminili – ha dichiarato il 6 febbraio il Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella – sono una pratica aberrante, disumana e gravemente lesiva dei diritti fondamentali delle donne, che pregiudica la loro possibilità di sviluppo, di realizzazione personale e di piena consapevolezza del proprio corpo. Il Governo è impegnato per l’eliminazione di tale pratica dannosa, così come di ogni altra forma di violenza fisica e psicologica contro le bambine e le donne. Per questo motivo, e con le finalità di prevenzione e contrasto alle mutilazioni genitali femminili, il Dipartimento per le pari opportunità procederà ad una ricognizione e un’analisi del fenomeno in Italia e, quindi, a realizzare un piano di comunicazione integrato per accrescere la consapevolezza tra la popolazione generale, le comunità direttamente interessate e gli operatori sociosanitari che entrano in contatto con le vittime o potenziali vittime di Mgf, al fine di garantire, tra gli altri, il rispetto degli obblighi previsti dalla Convenzione di Istanbul e delle priorità del "Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023"».

Se, con questi interventi, la legge del 2006 avrà piena attuazione potrà dare risultati, ma in tutto il mondo lo sradicamento delle Mgf incontra ostacoli enormi. Quasi tutti i paesi in cui sono tradizione radicata le hanno proibite, ma i loro governi le tollerano, esitanti a far rispettare i divieti sapendo di andare contro gran parte della popolazione desiderosa di continuare a praticarle anche perché le Mgf sono correlate a due altre istituzioni, il matrimonio combinato e, dove è presente, al prezzo della sposa. Tuttora in contesti tradizionali una donna non mutilata non ha futuro, nessuno è disposto a sposarla e tanto meno a pagare per averla. Nei paesi in cui sono state importate, oltre alla resistenza a collaborare delle comunità interessate, pesa la reticenza in certi ambienti a denunciare delle istituzioni che mettono per così dire in cattiva luce chi le segue. Ancora, per effetto delle ideologie relativiste, è viva in molti la convinzione che non si abbia diritto e che sia atto riprovevole di arroganza giudicare le tradizioni e le istituzioni altrui. Il risultato è l’enorme difficoltà a prevenire, salvando persone a rischio, a individuare i responsabili e punirli.

In Gran Bretagna una donna di origine somala, Amina Noor, è appena stata condannata a sette anni di carcere perché ha portato in Kenya una bambina di tre anni, cittadina britannica, e l’ha fatta mutilare. Era il 2006. Solo nel 2018, ormai adolescente, la piccola ha avuto il coraggio di confidare a un'insegnante che cosa le era successo. Un esame medico ha attestato che era stata escissa ed è scattata la denuncia che ha portato infine alla condanna, 18 anni dopo il fatto.