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ELEZIONI IN CAMERUN

Aggrappati alla poltrona: i presidenti più longevi sono in Africa

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Elezioni in Camerun: si ricandida ancora il vecchio capo di Stato, Paul Biya, alla testa del paese da 43 anni. Può diventare il più longevo del mondo, come i presidenti di Guinea Equatoriale, Uganda, Eritrea, Rwanda. 

Esteri 14_10_2025
Il presidente del Camerun Paul Biya (al centro) con la first lady Chantal (La Presse)

Il Camerun è andato alle urne il 12 ottobre per eleggere il capo dello Stato. La stampa internazionale sta dedicando assai scarsa attenzione all’evento e d’altra parte si occupa di rado del paese nonostante la sua posizione strategica nell’Africa Occidentale e la peculiarità della sua storia e della sua situazione politica.

Del Camerun si dice spesso che, “rispetto ad altri Stati africani, gode di stabilità politica”. Non lo si può negare, in effetti, dal momento che dal 1982, cioè da 43 anni, è governato dallo stesso leader, Paul Biya che, con i suoi 92 anni, è il presidente più vecchio del mondo e intende continuare a esserlo: ha infatti deciso di ricandidarsi.

Non che questa “stabilità” abbia giovato al paese. Ricco di materie prime, tra cui il petrolio, il Camerun è un classico esempio di economia in crescita pressoché costante che tuttavia non si traduce in sviluppo umano, in benessere diffuso. Un dato per tutti illustra la gravità della sua situazione economica e sociale: il 40% dei camerunesi di età compresa tra 15 è 35 anni, che costituiscono il 35% della popolazione, sono disoccupati.

Come per altri paesi africani, malgoverno e corruzione sono all’origine delle difficoltà enormi, crescenti che la popolazione deve affrontare. «Ognuno di noi sembra obbligato a corrompere o a essere corrotto. È come se fossimo costretti a convivere con la corruzione e ad accettarla come parte della nostra esistenza quotidiana, rafforzandola». A esprimersi in questi termini sono i vescovi cattolici: «il Camerun è straordinariamente benedetto per la ricchezza delle sue foreste, delle sue acque, del suo suolo e del suo sottosuolo, ma stiamo assistendo al saccheggio sistematico e organizzato di questo patrimonio. Come si spiega il fatto che 65 anni dopo l’indipendenza il nostro sviluppo non possa garantire diritti umani fondamentali come il diritto al cibo, all’istruzione, a una assistenza sanitaria di qualità, il diritto alla giustizia, in breve, il diritto alla vita?».

Lo scorso gennaio, quando il presidente ha annunciato la sua candidatura, la Conferenza episcopale del Camerun è stata tra le voci che con più urgenza gli hanno chiesto di fare un passo indietro e lasciare a nuove leve la guida del paese, posto che nelle condizioni di degrado morale, di disgregazione sociale denunciate dai vescovi stessi, sia possibile l’affermarsi di una leadership responsabile e capace.

Ce ne sarebbe bisogno per far fronte con maggiore determinazione ed efficacia anche ai problemi di sicurezza che affliggono una parte della popolazione. Il Camerun condivide a ovest migliaia di chilometri di frontiera con la Nigeria. In particolare i territori dell’estremo nord confinano con lo stato nigeriano del Borno, culla e roccaforte di Boko Haram, gruppo jihadista affiliato ad al Qaeda, e dell’Iswap, formatosi nel 2016 per secessione, affiliato all’Isis, lo Stato Islamico. Le incursioni jihadiste in territorio camerunese hanno provocato più di 3mila vittime e oltre 350mila sfollati. La risposta governativa del tutto inadeguata ha indotto la popolazione minacciata a formare delle unità di autodifesa che a loro volta approfittano del potere conferito dalle armi e accrescono insicurezza e tensioni.

Più a sud inoltre, sempre al confine con la Nigeria, dal 2017 sono insorte le regioni anglofone. Il Camerun, divenuto colonia tedesca nel 1884, dopo la fine della prima guerra mondiale che vide la Germania sconfitta fu affidato in parte alla Francia e in parte alla Gran Bretagna su mandato della Lega delle Nazioni. I territori che erano diventati colonia francese ottennero l’indipendenza nel 1960 e l’anno successivo quelli amministrati dalla Gran Bretagna scelsero con un referendum di unirsi al nuovo Stato. Le comunità anglofone da allora hanno subito discriminazioni e ingiustizie patite con crescente disagio. Le loro rivendicazioni inascoltate sono confluite nel 2017 in un movimento separatista, represso duramente dal governo. Il conflitto civile ha causato una crisi umanitaria ancora più grave di quella dell’estremo nord: più di 6mila morti, 650mila sfollati, quasi due milioni di persone bisognose di aiuto.

Proprio nelle regioni di lingua inglese, dopo la chiusura dei seggi, si sono verificati i primi disordini in seguito a sospetti e denuncie di brogli. In tutto il paese i sostenitori dei nove candidati che hanno sfidato il presidente seguono il conteggio dei voti in un clima teso. Il governo ha proibito di annunciare risultati e vincitori prima della fine dello spoglio. La proclamazione ufficiale del vincitore per legge deve essere fatta entro 15 giorni.

Il presidente Biya ha promesso ai suoi elettori: «il meglio deve ancora arrivare». Se venisse riconfermato, svolgerebbe il suo ottavo mandato e potrebbe diventare il capo di Stato non solo più longevo del mondo in termini di età, ma anche di anni in carica. Attualmente il primato mondiale, con mezzo secolo, spetta a un altro leader africano, Teodoro Nguema, 83 anni, presidente della Guinea Equatoriale dal 1975. Seguono, distanziati: Yoweri Museveni, 81anni, in carica in Uganda dal 1986, Isaias Afewerki, 79 anni, in carica in Eritrea dal 1993. Paul Kagame è decisamente più giovane, 67 anni, ed è presidente “solo” dal 2000, ma di fatto è alla guida del Rwanda dal 1994.