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LE LINEE GUIDA

Aborto fino alla nascita, la folle richiesta dell’Oms

Nelle sue nuove linee guida, l’Organizzazione mondiale della sanità chiede ai Paesi membri di abrogare le leggi anti-aborto che fissano “limiti gestazionali” e che violerebbero i diritti di “donne, ragazze o altre persone incinte” (sic!). L’Oms attacca anche l’obiezione di coscienza. Esultano i gruppi abortisti. Ma la competenza in materia spetta sempre agli Stati.

Vita e bioetica 30_03_2022

Non c’è più alcun dubbio: l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ormai è massicciamente dedita a tentare di imporre a tutti i Paesi del mondo l’aborto illimitato.

Le nuove linee guida pubblicate dall’organizzazione dell’Onu con sede a Ginevra, ampiamente controllata e condizionata dai finanziamenti delle multinazionali del farmaco e dalle fondazioni ‘filantropiche’ dei soliti noti, chiedono ai Paesi membri di legalizzare l’aborto senza alcun limite di tempo gestazionale. Già il titolo fa rabbrividire: “Abortion care guideline”, l’aborto linguisticamente camuffato in una cura per le donne, dove l’omicidio del bambino sarebbe l’unico strumento della “cura” delle gestanti. Già l’inglese Daily Mail nei giorni scorsi ha fatto un’analisi obiettiva delle linee guida, pubblicate dall’Oms il 9 marzo. Ma anche oltreoceano si sono levate voci di profondo dissenso sia per il metodo seguito nell’elaborazione del testo, sia per l’inaccettabile e indifendibile contenuto.

Le nuove linee guida affermano che le leggi che impediscono l’aborto in qualsiasi momento della gravidanza rischiano di violare i diritti di “donne, ragazze o altre persone incinte”. Da notare il linguaggio in ossequio all’ideologia transgender e il bando della parola “mamma”. Il testo raccomanda: la “piena decriminalizzazione dell’aborto” e la rottamazione delle leggi e dei regolamenti che “proibiscono l’aborto sulla base dei limiti gestazionali” e “limitano l’aborto” per qualsiasi motivo; si afferma che una serie di 21 studi diversi avrebbe valutato i limiti legislativi alle interruzioni di gravidanza più tardive (dal 3° al 9° mese) “incompatibili con il rispetto dei diritti umani” internazionalmente riconosciuti.

Non è tutto. L’Oms vuole anche limitare al minimo i diritti all’obiezione di coscienza medica (“se si dimostra impossibile regolare l’obiezione di coscienza in un modo che rispetti, protegga e compia i diritti di chi cerca di abortire, l’obiezione di coscienza nella fornitura di aborti può diventare indifendibile”) e permettere pure l’aborto selettivo in base al sesso del nascituro. In particolare gli Stati dovrebbero: permettere l’aborto in tutte le circostanze; permettere alle donne di bypassare l’approvazione di un medico o di un infermiere per avere un’interruzione di gravidanza; permettere le “pillole abortive per posta”, anche solo dopo una telefonata; limitare il diritto dei professionisti medici di rifiutarsi di prendere parte agli aborti per motivi di coscienza.

Da nessuna parte nel documento di 210 pagine (incluse le raccomandazioni) si parla dei diritti del nascituro, né del fatto che perfino molti abortisti considerano immorale abortire dopo 22-24 settimane, quando il feto ha buone possibilità di sopravvivere se nasce prematuramente. “Essere in grado di ottenere un aborto sicuro è una parte cruciale dell’assistenza sanitaria”, ha detto alla presentazione del documento Craig Lissner, direttore ad interim per la salute sessuale riproduttiva e la ricerca all’Oms. “Quasi tutte le morti e le ferite che derivano da un aborto non sicuro sono interamente prevenibili. Ecco perché raccomandiamo che le donne e le ragazze possano accedere all’aborto e ai servizi di pianificazione familiare quando ne hanno bisogno”. Il concetto dell’Oms è tanto chiaro quanto falso: le ragazze incinte muoiono per le difficoltà che incontrano nell’abortire e dunque salviamole liberalizzando la soppressione dei loro bambini. Queste linee guida rendono chiaro che la preoccupazione qui non è per le donne, ma piuttosto per espandere le politiche anti-nataliste, eugenetiche e maltusiane, facendo ingrassare i conti delle multinazionali dell’aborto.

Tra le voci critiche c’è quella di Elyssa Koren, direttrice dell’Adf International presso l’Onu, che ha denunciato come “l’Organizzazione mondiale della sanità sta cercando di far leva sulla sua enorme influenza e sul suo potere di bilancio per intaccare le disposizioni internazionali e stabilire un nuovo regime giuridico che approvi i 'diritti' all’aborto senza limiti e senza diritto all’obiezione di coscienza”.

Una breve scorsa agli esperti esterni che hanno contribuito alla stesura del documento fa ben capire di che pasta son fatti: dei 12 esperti responsabili della redazione finale, elencati a pag. 158, ben 8 sono parte integrante delle multinazionali abortiste International Planned Parenthood Federation, Marie Stopes International o loro affiliati, altri provengono da governi o università ultrabortiste. La cosiddetta esperta sui diritti umani, Christina Zampas, è responsabile per l’Onu della multinazionale abortista Center for Reproductive Rights di Ginevra. Nessuno degli esperti ha dichiarato di avere un “conflitto di interessi”. Uno scandalo allo stato puro.

Esulta, intanto, il direttore generale dell’Ippf, Alvaro Bermejo, che ha assicurato il proprio impegno “a stretto contatto” con l’Oms perché si attuino le nuove linee guida, “sia all'interno dell’Ippf che con i governi e i partner”. La rete degli abortisti è già al lavoro e, a pochi giorni dalla pubblicazione dell’Oms, un Tribunale in Kenya ha deliberato come l’aborto sia un diritto umano e - seppur vietato dalla Costituzione - Governo e Parlamento devono liberalizzarlo. Avviso ai naviganti: l’Oms non ha alcuna autorità legale per imporre l’aborto, materia di competenza dei singoli Stati, e il nascituro è riconosciuto da convenzioni internazionali come una persona con diritti.