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GENDER

Test di medicina "omofobo"? Il ministro non l'ha capito

«Quali delle seguenti percentuali rappresenta la migliore stima del verificarsi dell’omosessualità nell’uomo?» Nel progress test per la valutazione della preparazione degli studenti di Medicina appare questa domanda. E il ministro Valeria Fedeli grida allo scandalo omofobia. Ma chi lo ha redatto reagisce: il quesito è clinicamente corretto

Educazione 18_11_2017
La domanda incriminata

Si chiama progress test ed è utile per valutare lo stato di avanzamento di preparazione degli studenti di Medicina. Il 15 novembre scorso tra le molte domande è stata posta anche la seguente a tutti gli studenti di medicina d’Italia: «Quali delle seguenti percentuali rappresenta la migliore stima del verificarsi dell’omosessualità nell’uomo?».

Il ministro dell’istruzione Valeria Fedeli, insieme a molte sigle dell’associazionismo gay, ha gridato allo scandalo: «Il quesito è di una gravità inaudita, sia eliminato e sia sanzionato adeguatamente il responsabile». Dopo che in perfetto stile gaystapo la Fedeli ha fatto sapere che vuole punire il nemico del popolo gay, ecco che aggiunge: «È francamente incredibile e a dir poco inaccettabile che l’omosessualità sia stata inserita nella categoria delle malattie. Mi auguro che la Conferenza dei corsi di laurea in Medicina provveda a eliminare dall’elenco delle domande del test quella vergognosa domanda, che le risposte date non siano tenute in considerazione ai fini della valutazione del progresso nell’apprendimento di studentesse e studenti». Infine così conclude il ministro senza laurea: «Discriminazioni, totale mancanza di rispetto, simili livelli di ignoranza sono elementi con cui mai vorremmo venire a contatto, tanto meno nelle università italiane, che sono luoghi deputati non solo alla conoscenza, ma all’alta formazione, con tutto quel che questo significa. In termini culturali e di civiltà». Anche i test di medicina possono essere “omofobi”, questa parrebbe la conclusione del ministro.

Le risponde Andrea Lenzi, luminare di Endocrinologia e di Andrologia e presidente della Conferenza dei medici della facoltà di Medicina la quale ha redatto il test: «Sono sbalordito per la polemica. La domanda è clinicamente corretta e posta in modo corretto. Non stiamo dicendo quanti malati ci sono, ma sul piano clinico è giusto sapere quanti omosessuali ci sono in Italia, così come quante donne. Sono dati Istat. In Sociologia, in Psicologia, in Statistica esistono queste stime. Uno studente di Medicina deve possedere questi elementi di Statistica e Demografia. Le domande del test sono trecento e quella successiva era ancora di carattere demografico. C’è già stata una polemica simile su una domanda di carattere lesbico, negli anni scorsi. La reazione delle ministra Fedeli? È stata informata male». Più chiaro di così.

La miccia che ha fatto scoppiare la bomba mediatica sulle principali testate giornalistiche ed anche sui social sta nel fatto che la domanda del test era riportata nella sezione dedicata a “Diagnosi, genetica, malattie e comportamenti da tenere dinanzi a certe malattie”. Ora la domanda può riferirsi sia alla categoria concettuale “diagnosi” che a quella denominata “malattia”. Questo non significa – per glossare meramente il pensiero del dott. Lenzi – che l’omosessualità è una malattia (semmai è un sintomo di un disturbo), bensì che alcune malattie, soprattutto virali, sono statisticamente più frequenti nella popolazione dei pazienti omosessuali. Dunque è assai importante conoscere la percentuale di persone omosessuali, soprattutto per le ricadute in termini epidemiologici. Parimenti alcune patologie ricorrono più frequentemente nelle donne e dunque è utile avere anche su di loro alcuni dati statistici, ma ciò non comporta che essere donna significa essere malati.

In questa prospettiva eliminare dai test di medicina e, a maggior ragione, dalla formazione clinica dei futuri medici informazioni specifiche sulle persone omosessuali, potrà solo andare a danno di queste ultime. Infatti è innegabile che particolari stili di vita possono incidere sulla salute di una persona, nel bene e nel male. Si fa tanto parlare oggi di “medicina di genere”, cioè di medicina attenta al sesso del paziente, e non vogliamo invece di parlare di medicina attenta all’orientamento sessuale dei pazienti? Ci pare una contraddizione in termini e una rischiosa discriminazione che lede il diritto alle cure delle persone omosessuali.

Da parte nostra ci confortiamo, e nello stesso tempo, ci sconfortiamo nell’apprendere che la fantasiosa “omofobia” non colpisce solo i cattolici radicalizzati, ma anche uomini di scienza e l’intero comparto medico. L’ “omofobia” sarà poco scientifica, ma è davvero democratica.