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L'INVASIONE

Siria, l'invasione turca sta risvegliando l'Isis

L'invasione turca del Nord della Siria investe l'area in cui erano imprigionati i jihadisti dell'Isis. Una volta sconfitti i curdi, gli jihadisti tornano a piede libero. Altre formazioni islamiste dichiarate combattono dalla parte dei turchi. Una di queste ha assassinato Havrin Khalaf, la leader del partito Futuro della Siria

TUNISIA, IL NUOVO PRESIDENTE ISLAMICO di Souad Sbai

Esteri 15_10_2019
Siria, miliziani filo-turchi in preghiera

Come ampiamente preannunciato, l'invasione turca della Siria sarà a brevissimo un boomerang per l'inettitudine europea: risveglio definitivo dell'Isis e jihadisti a piede libero. E' l'autostrada più lunga del mondo quella che porta al cuore dell'Occidente, aperta dal ritiro degli Stati Uniti, inaugurata dalle bombe turche e non lascia ben sperare. Non solo per il sangue dei curdi. 

Il problema nasce dal fatto che i combattenti citati, fino a pochi giorni fa, erano sorvegliati dai ribelli curdi, gli stessi che Erdoğan intende spazzare via. E adesso il pericolo è che i terroristi possano in qualche modo liberarsi e tornare a casa, e così lo spauracchio dell’Isis nel cuore del continente europeo ed asiatico, non è più remoto. Centinaia di donne e bambini stranieri legati allo Stato islamico sono fuggiti da un campo nella Siria nord-orientale quando i combattenti sostenuti dai turchi l'hanno attaccato domenica. L'incidente è avvenuto nel campo di Ain Eissa, situato lungo un'autostrada che la Turchia aveva identificato come strategica nell'offensiva lanciata la scorsa settimana per allontanare le forze curde siriane dal suo confine. E l'amministrazione a guida curda, che gestisce la Siria nord-orientale, ha affermato che gli affiliati dello Stato Islamico all'interno del campo hanno approfittato dell'attacco turco per sopraffare le guardie e forzare l'apertura delle carceri, permettendo a circa 900 persone di scappare - secondo gli ultimissimi dati. 

Con l'intensificarsi dei bombardamenti, il controllo dei curdi sui centri di detenzione pieni di membri dello Stato islamico ha subito un repentino indebolimento e sono state soprattutto le donne ad essere utilizzate come complici: hanno seguito le notizie della fuga da Ain Eissa e, adesso che non ci sono più raid notturni nelle loro tende, giocano un eterno ruolo da tramiti. In obbedienza anche all'ultimo messaggio audio di al-Baghdadi che ha esortato i suoi seguaci a far uscire i terroristi dalle carceri e dai campi in cui sono detenuti. Nel frattempo il generale Tahsin al-Khafaji - portavoce del ministero della difesa iracheno - aveva dichiarato che l'Iraq è impegnato con Turchia, Siria e SDF - le forze democratiche siriane - per essere in grado di rispondere rapidamente in caso di apertura delle carceri. L'Iraq sta infatti schierando più truppe al confine, perché "una delle preoccupazioni che abbiamo", ha dichiarato Khafaji alla televisione di Stato irachena, "è che terroristi che potrebbero entrare in Iraq siano in grado di coordinarsi con le loro celle dormienti in Iraq".

Succede, però, che venerdì, cinque combattenti dell'Isis sono scappati da una prigione nel nord-est della Siria favoriti dai bombardamenti turchi e il gruppo islamista ha persino rivendicato l'esplosione di una bomba nella capitale della regione. Mentre pare che sull'applicazione preferita dai terroristi islamici, Telegram, i fuggitivi siano stati esortati a mettersi in contatto con loro per ottenere consigli e supporto. "Nella zona sotto il nostro controllo" nel nord della Siria "non c'è neanche una prigione dell'Isis", è stata l'immediata reazione del ministro della difesa turco, Hulusi Akar, nel negare le accuse curde secondo cui Ankara avrebbe favorito la fuga di miliziani jihadisti. Mentre il presidente statunitense, Donald Trump, ha ipotizzato che i curdi, nel Nordest della Siria, potrebbero rilasciare alcuni jihadisti per forzare Washington a rimanere coinvolta militarmente, difendendo la scelta del ritiro dei militari Usa -  perché gli Stati Uniti "non entreranno in un'altra guerra tra persone che si combattono da oltre 200 anni" - per poi puntare il dito contro l'Europa: "l'Europa ha avuto la possibilità di prendere i suoi prigionieri dell'Isis, ma non ne voleva sostenere i costi. 'Lasciate che paghino gli Usa', dicevano". 

Ma i jihadisti di ritorno terrorizzano anche l'Asia. Sono tanti i terroristi islamici, provenienti da Malesia e Indonesia - due paesi asiatici tra i maggiori esportatori di jihadisti - legati all'Isis e arrestati quasi alla fine della guerra civile. "Esiste la possibilità che i terroristi fuggano e vadano in un Paese terzo, o addirittura tornino in Malesia. Se torneranno qui è probabile che possano reclutare nuovi membri per lanciare nuovi attentati", ecco i rischi espressi dal capo della divisione antiterrorismo della polizia della Malesia, Ayob Khan Mydin Pitchay. Perché parliamo di due tra gli stati con le più alte percentuali di musulmani al mondo. Jakarta fa i conti con una popolazione di circa 270 milioni di persone ed è il più popoloso Paese al mondo a maggioranza musulmana, con quasi 200 milioni di fedeli (circa l’87,2% degli abitanti complessivi), mentre la Malesia ha una trentina di milioni di abitanti e ben oltre la metà dei quali musulmani: il rischio di radicalizzare, insomma, non è per niente remoto.

E se, intanto, Trump, piaccia o meno, la sua posizione l'ha presa, con tutta le dosi di responsabilità del caso, resta da capire ancora cosa intende fare il resto della comunità internazionale. Il braccio di ferro con la Turchia è solo nelle dichiarazioni di governi e agenzie non governative, e neanche una reale denuncia dello stato delle cose trova concretezza. Come il fatto che le truppe del "sultano" sono state affiancate da jihadisti, cosa peraltro già accaduta sia ad Afrin che a Manbij. Eppure non si tratta di una novità: i terroristi islamici, spesso persino quelli legati alla fratellanza musulmana, sono sempre stati schierati da Erdoğan. Era il 2013 quando la Turchia si trovava a fare i conti con la prima infiltrazione di miliziani e armi che il sultano" aveva favorito fin dal principio della rivolta siriana consentendo il passaggio dei volontari del jihad - da Medio Oriente, Nord Africa, Europa e Asia - diretti a rimpolpare quei ribelli, i famosi "moderati", contro Assad. Ed eccoli oggi, i "moderati" che sono jihadisti a pieno titolo. 

Cosa che ribadisce al Giornale anche Paolo Andolina volontario italiano che ha combattuto al fianco dei curdi dal 2016 allo scorso anno: "I terroristi sono i miliziani dello Stato islamico nostri prigionieri e Al Nusra, costola di Al Qaeda, che ha cambiato nome, ma molti suoi reparti si sono uniti all'Esercito libero siriano, che combatte al fianco dei turchi, oppure operano autonomamente. Il leader dell'ex Al Nusra ha dichiarato che appoggia l'attacco turco". Per tutto il fine settimana su Twitter - che lunedì mattina ha censurato alcuni account in questione - sono stati diffusi video che mostravano i miliziani al grido di "Allah Akbar" senza soluzione di continuità e di "Dawlat al-Islam Baqyia", che significa, "lo Stato islamico resta". Ma sono state diffuse pure le riprese  - anch'esse in parte censurate - della barbarie contro Havrin Khalaf. L'attivista per i diritti delle donne e segretaria del Partito per il Futuro della Siria è stata presa a forza dalla sua auto, violentata e lapidata. Il suo corpo è stato trovato sul ciglio dell’autostrada M4, quella che collega Manbij e Qamishli, vicino all'auto crivellata dai colpi esplosi, secondo le indiscrezioni, da Ahrar al-Sharqiya, gruppo jihadista legato alla Turchia. Qualcuno, mostrano le immagini, prende a calci il corpo morto della donna mentre ripete, "questo è il cadavere dei maiali": ecco l'icona dell'orrore della guerra che Erdoğan e i suoi alleati jihadisti stanno combattendo per sterminare i curdi. Quell'Erdoğan coccolato dall'Europa dal 2003 e che negli ultimi sedici anni ha fatto di tutto per reislamizzare al meglio la Turchia, che ha riempito di moschee e imam formati nei confini nazionali le nostre metropoli, con cui l'Occidente è sceso a patti più e più volte, e che oggi non dice e non fa niente in contraddizione con l'ultimo decennio. 

E in nome di Allah e della shari'a la rivoluzione islamica sta perseguitando anche quel che resta dei cristiani in Siria. E pensare che il commissario Onu sui diritti umani, Michelle Bachelet, voleva mandare ispettori in Italia per indagare sul razzismo innescato, diceva, dall'ex ministro degli Interni.