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MEDIO ORIENTE

Si svela il vero volto dell'Iran. E non è piacevole

Gli incidenti nel Golfo dell'Oman sono parte di una strategia offensiva guidata dal regime degli ayatollah volta a destabilizzare i paesi arabi. La politica muscolare di Trump semplicemente impedisce a Teheran di nascondere le sue vere intenzioni, come era al tempo di Obama e come è con la Ue. 

Editoriali 16_06_2019
Il presidente iraniano Rouhani riceve a Teheran il premier giapponese Shinzo Abe

L’escalation militare guidata dall’Iran nella regione del Golfo ha raggiunto nuove vette. Il missile proveniente dallo Yemen che mercoledì 12 giugno si è abbattuto sul terminal degli arrivi dell’Abha International Airport, nord-ovest dell’Arabia Saudita, porta la firma delle milizie sciite Houthi armate da Teheran. I 26 civili feriti sono chiaramente indice della volontà di portare morte e distruzione all’interno del mondo arabo dopo che questo, ad eccezione del Qatar, nei vertici che si sono svolti recentemente alla Mecca ha ribadito la sua ferma volontà di opporsi alle politiche aggressive e alle ambizioni espansionistiche del regime khomeinista e dei suoi satelliti regionali. Il non aver provocato morti all’aeroporto deve aver spinto gli Houthi a fare un ulteriore tentativo venerdì 14 giugno, lanciando 5 droni pronti a bombardare lo stesso obiettivo, che sono però stati intercettati e distrutti dalla contraerea saudita.

L’offensiva nei cieli è coordinata con quella nelle acque. Giovedì 13 giugno, due petroliere nel Golfo dell’Oman sono state vittima di un attacco effettuato molto probabilmente con siluri e mine. A Washington non hanno dubbi: si tratta sempre dell’Iran, ha affermato il Segretario di Stato Mike Pompeo, mostrando alla comunità internazionale un’immagine che confermerebbe il ritorno sul luogo del delitto di un’imbarcazione dei cosiddetti Pasdaran, i Guardiani della rivoluzione islamista, per eliminare ogni traccia della paternità iraniana del siluro che avrebbe colpito una delle due navi.

L’Iran sembra così aver dato un seguito al suo precedente assalto di quattro navi al largo delle coste degli Emirati Arabi Uniti. Da Teheran arrivano immancabilmente delle smentite e viene ribadita la volontà di risolvere ogni disputa attraverso il dialogo. Tuttavia, il ministro degli Esteri Javad Zarif, il volto diplomatico dell’idra khomeinista manovrata dalla Guida Suprema Ali Khamenei, “perde credibilità di giorno in giorno”, fa notare il ministro di Stato per gli Affari Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Anwar Gargash: “Una de-escalation nella situazione attuale richiede azioni sensate e non parole vuote”. L’impressione è quindi che, come già accaduto in passato, la linea più morbida di Zarif e del presidente Hassan Rouhani sia stata messa in discussione con i fatti dai falchi della Repubblica islamista, che trovano nei suddetti Pasdaran gli esecutori delle direttive di Khamenei.

La tempistica e gli obiettivi dell’attacco nel Golfo dell’Oman s’intrecciano in maniera evidente alla visita a Teheran del Primo ministro giapponese, Shinzo Abe, accompagnato da Rouhani al cospetto di Khamenei il giorno stesso dell’accaduto. Nel corso dell’incontro, Abe ha richiesto la liberazione di almeno cinque cittadini americani detenuti in Iran e che sono in attesa di processo, senza ricevere risposta. Ma la sua missione s’inserisce verosimilmente nel quadro più ampio di abboccamenti negoziali in corso dietro le quinte e volti alla creazione di nuovi presupposti per una tregua armata nella regione.

Il Presidente Donald Trump, pur avendo rilanciato una politica muscolare nei confronti dell’Iran ritirando gli Stati Uniti dall’accordo nucleare, ha più volte affermato di essere disposto a incontrare Khamenei per intavolare trattative in stile nord-coreano. Eventualità però esclusa dalla Guida Suprema, che ai suoi media di regime ha fatto sapere di non voler ripetere “l’amara esperienza” di trattare con il Grande Satana americano. Una posizione, questa, condivisa dai Pasdaran a cui le “prospettive di sicurezza, pace e stabilità in questa ragione” invocate da Abe sono sgradite. Infatti, le due petroliere attaccate nel Golfo dell’Oman sono entrambi riconducibili al Giappone.

Il ramoscello d’ulivo portato da Abe a Khamenei meritava sicuramente una migliore accoglienza, al di là della cortesia istituzionale mostrata da Khamenei nel ricevere il premier giapponese, dovuta esclusivamente a ragioni di mera convenienza, essendo Tokyo uno dei principali importatori di gas iraniano. Le accuse a Trump di aver provocato con la sua linea dura l’escalation militare nel Golfo sono comunque mal mirate.

L’appeasement obamiano e dell’Alta rappresentante Ue uscente, Federica Mogherini, aveva consentito al regime khomeinista di nascondere i propri intenti dietro i sorrisi di Zarif, che rendevano più accettabili le politiche di destabilizzazione condotte da Teheran nella regione, così come l’incessante sviluppo del suo programma missilistico, mentre quello nucleare restava felicemente sospeso in un limbo d’incertezza che non dispiaceva neppure a Khamenei.

La chiarezza di Trump nel rilanciare la contrapposizione ha invece costretto l’Iran a giocare nuovamente a carte scoperte, mostrando il suo vero volto da affrontare: quello bellicoso dei Pasdaran, pronti alla guerra contro tutti i nemici della rivoluzione islamista di cui si dicono i Guardiani.