Riforma Isee, pochi vantaggi: «Serve un cambio radicale»
Ascolta la versione audio dell'articolo
È uno degli interventi cardine della manovra finanziaria, ma dalle prime proiezioni la riforma dell’Isee rischia di essere una riforma azzoppata da una mancanza di coraggio strutturale: «Necessario introdurre il reddito corrente». Intervista all'economista Perali.

È uno degli interventi cardine della manovra finanziaria e tra quelli del comparto politiche famigliari è quello su cui l’esecutivo di Giorgia Meloni punta maggiormente per mostrare di invertire la rotta sul drammatico calo demografico del Paese. Ma la riforma dell’Isee rischia di essere una riforma azzoppata da una mancanza di coraggio strutturale che potrebbe anestetizzare ogni tipo di cambiamento.
La riforma dell’Isee in chiave natalista è da sempre uno dei cavalli di battaglia delle associazioni famigliari che si battono da tempo per la revisione completa di questo indicatore ormai troppo vecchio per fotografare con giustizia lo stato di ricchezza e di povertà di una famiglia. E quando il Governo ha annunciato nel corso della conferenza stampa di presentazione della Finanziaria la sua parziale revisione, le speranze del laicato, soprattutto cattolico, impegnato nella promozione della famiglia e nell’eliminazione delle storture economiche di cui è vittima, erano grandi. Complice anche il fatto che il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e della famiglia Eugenia Roccella, avevano dato spazio e ascolto al Forumfamiglie, che ha proposto molti correttivi.
Ma a giudicare dalle due misure introdotte e dalle prime simulazioni prodotte, il gioco rischia di non valere la candela. Per lo meno per quanto riguarda l’abolizione dal calcolo dell’Isee della prima casa di proprietà, mentre per quanto riguarda le scale di equivalenza, ossia il coefficiente con cui dividere ogni figlio componente il nucleo famigliare, le cose non sono ancora chiare del tutto, anche se l’annuncio del Governo fa ben sperare.
Ieri il Sole 24 Ore ha pubblicato una prima proiezione a cura dei Caf Acli che dice sostanzialmente che solo il 15% delle famiglie beneficerà del nuovo regime che verrà introdotto, il quale innalza la soglia della franchigia per considerare la prima casa esente dal calcolo, da 52mila euro a 100mila. Questo perché oggi in Italia solo il 49,5% delle famiglie ha una casa principale di proprietà e di queste solo il 29% raggiunge una soglia che si ferma ai 100mila euro di valore catastale.
Anche Federico Perali, professore di politica economica all’Università di Verona e profondo conoscitore delle storture dell’Isee in questo colloquio con la Bussola conferma che, sostanzialmente, il provvedimento rischia di essere pressoché inutile. E per un motivo molto semplice: «La questione della prima casa è un nodo da affrontare, ma bisogna farlo alla radice».
Tradotto? «La proiezione pubblicata sul Sole 24 Ore – spiega - sull’eliminazione della prima casa dal calcolo dell’ISEE avrebbe un impatto limitato. È dunque lecito chiedersi se il costo istituzionale e amministrativo di tale revisione sia giustificato da un reale ritorno sociale».
Ma per Perali il problema non è di mero calcolo tecnicistico, bensì di tipo «concettuale». Il professore chiarisce che «oggi il valore della prima casa incide in modo significativo sull’ISEE a causa del coefficiente patrimoniale pari a 0,2. Questo peso non risponde a un principio economico riconosciuto: genera un indicatore della situazione economica, che non ha corrispondenza in alcuna classificazione dei redditi».
Un passo indietro. Il coefficiente dello 0,2 fu introdotto originariamente per compensare l’alta probabilità di sotto-dichiarazione del patrimonio «ma questo presupposto, grazie ai progressi nei controlli e nella capacità dello Stato di conoscere il patrimonio immobiliare e mobiliare, è ormai superato».
Dunque, che cosa servirebbe? chiediamo. «Un approccio più coerente con la logica economica sarebbe l’adozione del reddito corrente, studiato da Brandolini, Magri e Smeeding (Journal of Policy Analysis and Management, 2010), che sostituisce il coefficiente fisso del 0,2 con il tasso d’interesse reale. In pratica, la ricchezza viene trasformata in un flusso di reddito potenziale (metodo della rendita/annualizzazione), riflettendo la possibilità – almeno teorica – di rendere liquido il patrimonio». Secondo Perali «questo riconosce che una famiglia proprietaria di casa dispone di una maggiore capacità di resilienza rispetto a una famiglia senza beni».
Se la riforma dell’Isee deve essere un mezzo pasticcio che beneficia pochi, allora converebbe avere il coraggio di fare scelte maggiormente strutturali e l’introduzione del reddito corrente potrebbe avere due effetti positivi principali in questo senso. Quali?
Il primo sarebbe una «maggiore equità nella classificazione delle famiglie, mentre il secondo sarebbe un allineamento dell’Isee alla logica del reddito equivalente e alla soglia di povertà».
Per quanto riguarda il primo punto, Perali snocciola un esempio alla mano: «Due famiglie con uguale reddito da lavoro, mettiamo 40.000 euro, ma solo una proprietaria di un immobile del valore di 200.000 euro avrebbero ISEE diversi. In questo caso 10.000 euro contro 14.000 euro». Vero è che «entrambe potrebbero accedere al servizio sotto una soglia di 20.000 euro, ma la famiglia con patrimonio avrebbe una priorità correttamente differenziata, riflettendo il minor grado di vulnerabilità patrimoniale».
Circa l’allineamento dell’Isee alla logica del reddito equivalente e alla soglia di povertà, sarebbe bene rimarcare che «ciò consentirebbe a Stato e Comuni di fissare le soglie ISEE come multipli della linea di povertà, rendendo più trasparente e uniforme il sistema, oggi caratterizzato da soglie arbitrarie che variano tra servizi e territori, generando diseguaglianze e incomprensioni».
In definitiva, conclude Perali, «affrontare il nodo della prima casa non richiede semplicemente esenzioni, ma una riforma strutturale dell’ISEE fondata su criteri economici e non su coefficienti storici. Sarebbe un passo decisivo verso la semplificazione amministrativa, la trasparenza e una vera equità nell’accesso al welfare» perché «il tema non è “escludere la prima casa”, ma ridefinire alla radice il rapporto tra patrimonio e bisogno sociale. Solo così l’ISEE può tornare a essere uno strumento di equità e non una semplificazione contabile basata su parametri storici».