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cinema

Red Snake, la vita impossibile sotto il giogo del Profeta

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L'attacco dell'Isis in un villaggio yazida, gli uomini uccisi e le donne vendute e stuprate, i mille divieti imposti dal Corano. C’è anche l’happy end, ma solo sullo schermo: per ora in Medio Oriente il lieto fine è di là da venire.

Cinema e tv 22_07_2025

L’altra sera, 18 luglio u.s., il canale televisivo Iris ha mandato in onda un appropriato film, Red Snake (trad. “Serpente Rosso”). È un film singolare, perché ambientato in Medio Oriente in una delle guerre contemporanee. Di solito le pellicole sull’argomento trattano dell’eroismo dei Marines yankee o di quelli inglesi. Rarissime le eccezioni, anzi una per parte: un film britannico con Keyra Knightley (di cui ho già parlato qui), che denuncia le fake news prodotte dal governo Blair per attaccare l’Iraq, e uno americano con Matt Damon nel quale il protagonista cerca invano le famose “armi di distruzione di massa” di Saddam denunciate da Powell e si accorge che non sono  mai esistite. I restanti, tutti, sono patriottismi americani a cui neanche il conservatore Clint Eastwood ha saputo sottrarsi, col suo American sniper non a caso elogiato e premiato (l’altra sua opera da Oscar è, sempre non a caso, Million dollar baby, che giustifica l’eutanasia).

Torniamo a Red Snake, del 2019, di produzione francese e diretto da una donna. Infatti parla di donne, ma di donne yazide al confine tra Iraq e Siria nella zona al tempo controllata dai curdi. La trama è semplice, visto che si tratta di un film d’azione (e tratto da una storia vera). Premessa: curdi e yazidi sono considerati eretici dagli altri musulmani, sia sunniti che sciiti. Così, in un pacifico villaggio yazida piomba l’Isis con le sue bandiere nere e, con esso, l’incubo. I maschi sono passati subito per le armi e le donne pure, tranne quelle giovani e piacenti che vengono messe all’asta come schiave sessuali. La protagonista è una di queste, “comprata” da un eroico combattente di Allah, biondo perché è un inglese convertito al verbo jihadista. La ragazza, fin lì illibata, viene dunque stuprata e segregata, mentre il suo fratellino è indottrinato a colpi di Corano affinché diventi un “martire” kamikaze. Lei riesce a fuggire e si unisce ai guerriglieri curdi, che schierano anche una brigata femminile formata da donne che hanno conti da regolare con le bandiere nere.
Il resto è azione, e c’è anche l’happy end. Però, la realtà, come sempre, quasi mai finisce bene, e sappiamo che gli yazidi sono praticamente spariti.

Il film ha anche il merito di mostrare come diventa la vita quando arrivano i guerrieri del Profeta: le donne che si adeguano vanno in giro completamente coperte di nero dalla testa ai piedi, guanti compresi, e diventano, kalashnikov alla mano, più realiste del re, competendo in ferocia coi nuovi padroni. I quali, su una jeep, girano instancabilmente per le strade conquistate elencando col megafono i comportamenti proibiti. Che sono quasi tutti, dalle sigarette alla musica.

Tornando al film, c’è da dire che oggi uno Stato del Kurdistan indipendente rimane ancora un miraggio, anche perché c’è l’intoppo Erdogan, che i curdi li odia. Boh, staremo a vedere come va a finire (se saremo ancora in questo mondo, perché il problema mediorientale è una neverending story). Intanto guardiamoci Red Snake, film unico nel suo genere e, per giunta, ben fatto.