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RADICALIZZAZIONE

Poliziotti pugnalati in una Francia malata di jihadismo

Cinque morti a Parigi: 4 poliziotti pugnalati da un collega, a sua volta ucciso. L'aggressore si era convertito all'islam. Il suo non è un caso unico, perché, in Francia, il processo di radicalizzazione riguarda tutte le forze di sicurezza. Dai servizi segreti alla polizia, tutti sono infliltrati da musulmani radicalizzati, così come nelle carceri.

Esteri 05_10_2019
Parigi, dopo l'aggressione

Una storia inquietante, ma non uno squallido thriller quello che è andato in scena giovedì a Parigi. Ancora una volta la Francia è stata colpita al cuore e mentre sanguina piange altri cinque morti con l'aggressore. Tre uomini e una donna massacrati con un coltello da cucina con lama in ceramica (capace di sfuggire ai controlli) da un loro collega. La scena del crimine la centralissima sede della Préfecture de Police, di fronte alla cattedrale di Notre-Dame. L'omicida, un poliziotto, neutralizzato con un colpo alla testa da un altro collega. Un attacco senza precedenti. 

La trama in queste ore s'è arricchita di vari dettagli puntualmente poi risistemati. Si è parlato di una delusione d'amore, poi di un conflitto con i superiori, poi di una fresca conversione all'islam, la disabilità della sordità dell'uomo è stata trasformata presto una "fragilità psicologica", poi la "follia" e ancora le voci che l'uomo avrebbe sentito la notte prima quando all'alba avrebbe poi gridato "Allah Akbar" più volte: diverse testimonianze raccontano che intorno alle 4 del mattino del giorno dell'attentato, l'assassino avrebbe glorificato la grandezza di Allah gridando. 
L'uomo, Mickaël Harpon, era noto per essere un "ufficiale modello", con venti anni di servizio alle spalle e al di sopra di ogni sospetto. La conversione all'islam era arrivata solo diciotto mesi fa, ma Sibeth Ndiaye, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e portavoce del governo francese, ci ha tenuto a sottolineare che non si può e non si deve, per questo, parlare di radicalizzazione.  

La sua una conversione recente, eppure appassionata: frequentava la moschea di Fauconnière, Gonesse. Un vicino, ex poliziotto del quartier generale della polizia di Parigi, Jean-Paul Mazoyer, ha raccontato, secondo quanto riportato, di aver visto Mickaël Harpon, spesso, al mattino presto in djellaba recarsi in moschea per pregare in compagnia di altre due persone. La folle spedizione di morte si è consumata all'ora di pranzo di giovedì, proprio mentre i colleghi uscivano per la pausa, in due uffici al primo piano della Direction du renseignement de la préfecture de police. E la moglie dell'attentatore, anch'essa musulmana, è in stato di fermo.

L'indagine, gestita finora dalla procura di Parigi, è stata affidata ieri sera alla procura nazionale antiterrorismo Pnat come "omicidio e tentato omicidio di persone depositarie dell'autorità pubblica in relazione a un atto terroristico" nonché come "associazione a delinquere terroristica criminale".

Solo una mese fa a Lione l'ultimo caso di attentato con coltello al grido di "Allah Akbar". E anche in quell'occasione, il 33 enne afgano aveva dichiarato, prima di seminare il terrore alla metropolitana di Laurent-Bonnevay de Villeurbanne, di aver sentito delle voci. Insomma, Parigi sempre di più come Londra che negli States ormai hanno battezzato "Stub-City", ovvero la città delle pugnalate. E se il Far West londinese registra i numeri di un massacro - 100 accoltellamenti finiti all'obitorio, più tutti i feriti, solo da gennaio a settembre - ed è cosa abbastanza nota, della Francia si sa meno. Un Paese, quello di Macron, sempre meno sicuro. E basterebbe fermarsi a spulciare anche solo l'ultimo rapporto Interstat, preparato dal Ministero dell'Interno, che conferma una tendenza drammatica: il numero di omicidi è persino aumentato del 16% nell'ultimo trimestre. 

Eppure questa volta non si parla soltanto di stupri, aggressioni e omicidi. Ma il problema della sicurezza è sconfinato in infiltrazioni islamiche finanche negli uffici pubblici. E da queste pagine, per primi e praticamente da soli, vi avevamo già raccontato proprio del fenomeno della radicalizzazione e infiltrazione islamica praticamente ovunque in Francia. Dal servizio sanitario allo sport, dalle carceri agli ufficiali di polizia salafiti. 

Il rapporto presentato a giugno dai parlamentari Éric Diard e Éric Pouillat sulla missione conoscitiva relativa ai servizi pubblici per denunciare e far fronte alla radicalizzazione islamica nel Paese è stato, così, piuttosto precognitivo. Nonostante più che di chiaroveggenza è di fatti che si deve parlare. I due hanno organizzato una serie di audizioni a porte chiuse iniziate lo scorso novembre, con alti funzionari delle istituzioni come prefetti, dirigenti dell’intelligence, ufficiali di polizia e dell’esercito, allo scopo di far presente una situazione che appare estremamente preoccupante. Sempre di più. 

E nel rapporto, con anticipazioni pubblicate da Le point, si può leggere che "per quanto riguarda solo la Prefettura di polizia di Parigi, Michel Delpuech - prefetto della polizia di Parigi - ha affermato che i suoi servizi di intelligence hanno identificato quindici rapporti a rischio: una dozzina per comportamenti sospetti di radicalizzazione e quattro o cinque casi di funzionari in contatto diretto con circoli radicalizzati". Nel dicembre 2015, invece, una nota del dipartimento di sicurezza dell'area metropolitana di Parigi dichiarava di aver identificato diciassette casi di agenti di polizia radicalizzati tra il 2012 e il 2015. Molti di loro "si sono uniti alla polizia a metà del 2000".

Ma, come vi abbiamo già raccontato, la radicalizzazione islamica è ovunque: è persino il mondo dello sport a mettere in pericolo i francesi essendo ormai largamente islamizzato ferocemente. Médéric Chapitaux, ex gendarme e istruttore di sport di combattimento, da circa tre anni, s'è messo a denunciare le falle del sistema di sicurezza di Parigi, e gira il Paese per mettere in guardia dai legami pericolosi tra club sportivi e islam. Tanti i segnali - dai leggings sotto i pantaloncini corti per nascondere la pelle ai tappeti di preghiera nascosti negli armadietti - fino alla più rigorosa applicazione delle norme di vita raccomandate dall'islam. Dal calcio alla boxe, dal karate e alla lotta libera, nessuno sport in Francia è stato risparmiato dalla diffusione del virus jihadista, a causa dell’assenza di controlli ma anche per la paura di subire il marchio dell'islamofobia. Chapitaux racconta sempre, per fare due esempi, che Merah, il terrorista di Tolosa e i fratelli Kouachi, quelli di Charlie Hebdo, giocavano tutti a calcio in squadre di provincia dove hanno incontrato i cosiddetti "schedati S", i radicalizzati che li hanno convertiti al jihad. 

Anche le carceri sono ormai da tempo terreno per la radicalizzazione islamica. E non si contano più i rapporti che denunciano come, da non credenti, i criminali francesi escano devoti di Allah e gli islamici ancora più convinti. Il 2018 è stato l'anno più drammatico, quando i detenuti al grido di "Allahu Akbar" solevano minacciare muniti di coltelli gli altri reclusi e aggredire di continuo gli agenti stessi. Nel 2015 un rapporto ufficiale sulle carceri del senatore francese Jean-René Lecerf citava uno studio secondo il quale in quattro dei più grandi penitenziari francesi, oltre il 50 per cento dei detenuti fosse musulmano.

Ancora da queste pagine, ad inizio agosto, vi raccontavamo dei furti di identità nella Francia dei clandestini che tanto inficiano la sicurezza dei francesi. Un problema non certo nuovo. Era il 2011 quando un allora recente rapporto annunciava il numero vertiginoso dei casi di frode circa i documenti in Francia. Ci si domandava all'epoca perché il Paese fosse così vulnerabile e Christian Jacquier, presidente del Réso-Club, l'organizzazione che aveva pubblicato il rapporto, raccontava che "il sistema sociale qui è fondato sulla solidarietà e sulla fiducia, quindi non è molto adattabile alle misure di sicurezza. Per motivi culturali, tecnici e giuridici, numerosi uffici non effettuano ancora controlli incrociati dei propri file".

La Francia ha metastasi ovunque e i referti vengono ignorati.