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GAZA

Pizzaballa pronto a offrirsi come ostaggio: «Situazione gravissima»

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Il cardinale Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, si dice pronto a offrirsi come ostaggio al gruppo di Hamas in cambio della liberazione degli ostaggi israeliani. «Ma la mediazione è molto difficile, manca un interlocutore, con Hamas non si riesce a parlare». 

Ecclesia 17_10_2023
Pierbattista Pizzaballa

Oggi in Italia e in varie parti del mondo, in comunione con i cattolici della Terra Santa, molti aderiranno alla giornata di digiuno e preghiera per la pace tra israeliani e palestinesi, secondo le indicazioni del patriarca di Gerusalemme e dei capi delle Chiese locali. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, da parte sua, si è dichiarato disponibile ad offrirsi come ostaggio al gruppo di Hamas in cambio della liberazione dei prigionieri in mano ad Hamas dopo l'attacco ad Israele dello scorso 7 ottobre. Due proposte di Pizzaballa per favorire un possibile spiraglio di pace in quella che fu la terra di Gesù.

«Sono pronto ad offrirmi come ostaggio al gruppo Hamas se questo potrà portare alla liberazione di tutti gli ostaggi sia israeliani, che stranieri rapiti e trattenuti a Gaza». Il patriarca Pizzaballa risponde, in modo pacato e convinto, ad una domanda posta da alcuni giornalisti nel corso di una video-conferenza stampa, aggiungendo: «La mia disponibilità ad offrirmi come ostaggio riguarda tutti i bambini, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa o etnica, israeliani o palestinesi, vittime di questa insensata violenza». Il neo-cardinale fa proprie le parole del Santo Padre pronunciate all'Angelus di domenica scorsa: «Continuo a seguire con tanto dolore quanto accade in Israele e in Palestina. Ripenso ai tanti …, in particolare ai piccoli e agli anziani. Rinnovo l’appello per la liberazione degli ostaggi e chiedo con forza che i bambini, i malati, gli anziani, le donne e tutti i civili non siano vittime del conflitto. Si rispetti il diritto umanitario, soprattutto a Gaza, dov’è urgente e necessario garantire corridoi umanitari e soccorrere tutta la popolazione. Fratelli e sorelle, già sono morti moltissimi. Per favore, non si versi altro sangue innocente, né in Terra Santa, né in Ucraina o in qualsiasi altro luogo! Basta! Le guerre sono sempre una sconfitta!».

Ma la posizione del Vaticano non è piaciuta al ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, che in una nota indirizzata al Segretario per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali, l’arcivescovo Paul Gallagher, sottolinea: «È inaccettabile che si faccia una dichiarazione in cui si esprime preoccupazione soprattutto per i civili di Gaza, mentre Israele sta seppellendo 1.300 persone». È la seconda volta, da quando c'è stato l'attacco dei miliziani di Hamas, che Israele critica il Vaticano per le sue dichiarazioni. Prima, l'ambasciata israeliana presso la Santa Sede, ora direttamente il ministro degli Esteri. Il cardinale Pizzaballa ribadisce: «Noi condanniamo senza remore e in maniera inequivocabile quello che abbiamo visto, sono immagini orribili, una barbarie inaccettabile. Detto questo capiamo i forti sentimenti di sgomento da parte del Ministero. Ritengo che la nota sia eccessiva nei toni. Detto questo però, ripeto - e aggiungo che non voglio polemizzare - è un momento in cui bisogna cercare di costruire relazioni, soprattutto con le autorità con le quali da sempre cerchiamo di avere buoni rapporti». E riferendosi, in particolare, al comunicato dell'ambasciata israeliana presso la Santa Sede sottolinea: «Cercheremo di comprendere le loro ragioni, ma non sono loro a determinare quello che diciamo noi».

Sarebbero circa 200 le persone in mano ad Hamas, di cui una dozzina, secondo fonti dell'esercito israeliano, sono bambini. Milletrecento sono gli israeliani morti in seguito all'attacco dei miliziani di Hamas; mentre nella striscia di sabbia, abitata da 2,3 milioni di palestinesi, sono 2750 le persone uccise e 9700 i feriti, secondo i dati diffusi dalla Mezzaluna rossa. Tra i morti anche quattro operatori sanitari deceduti mentre prestavano soccorso.

Pizzaballa si dice favorevole alla mediazione avviata dalla Santa Sede: «Abbiamo dato la disponibilità almeno per cercare di far ritornare gli ostaggi o almeno una parte di loro. Però la mediazione è molto difficile perché mancano gli interlocutori. In questo momento con Hamas non si riesce a parlare. La situazione è molto grave - prosegue il cardinale -. Quella lanciata da Gaza è un’aggressione su larga scala ai danni di Israele. Durante tutta la mia permanenza in Terra Santa ho visto tanti conflitti tra Israele e Gaza, ma questo è il più grande attacco mai registrato da anni. Israele ha risposto con spaventosi bombardamenti e i civili sono costretti a cercare rifugio dove non c’è. La situazione è instabile e in ogni momento potrebbe portare ad una spaventosa escalation».

Il patriarca è molto preoccupato anche per quello che potrebbe accadere se il governo israeliano dovesse dare il via libera per l’attacco di terra. «Ci saranno tantissime vittime da ambo le parti e moriranno molti civili. C’è poi il grande pericolo che questo conflitto diventi uno scontro regionale, che comprenda non soltanto Gaza o eventualmente la Cisgiordania, ma anche il Libano. Il mondo musulmano si potrebbe incendiare, tutti i paesi arabi. È molto difficile prevedere gli sviluppi, ma i timori di un'espansione del conflitto sono reali, e non lo dico soltanto io».

Nel frattempo, a Gerusalemme c'è molta tensione. Tra la popolazione c'è paura. La gran parte delle attività sono sospese, le scuole sono chiuse. «È difficile prevedere gli sviluppi - sottolinea il patriarca - sono situazioni molto imprevedibili, nessuno avrebbe potuto immaginare la drammatica situazione in cui ci troviamo e l’atrocità che abbiamo visto la settimana scorsa».

Il patriarca ha già incontrato tutti i responsabili delle varie associazioni caritative presenti a Gerusalemme. È in stretto contatto con il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, e con il Dipartimento di Stato americano. «Non tanto sul dopo - ha dichiarato - ma sul presente è urgente capire che cosa si può fare, almeno dal punto di vista umanitario. Naturalmente ho parlato anche della comunità cristiana di Gaza. Anche dopo sarà molto dura, ma credo che in questo momento nessuno stia pensando, almeno non pubblicamente, a che cosa sarà dopo». Attualmente nella Striscia la comunità, di circa mille persone, è interamente radunata nei complessi delle chiese: in 500 si trovano nella chiesa latina, altri 400 hanno trovato riparo nella chiesa greco-ortodossa. Circa 300, sia cristiani che musulmani, sono accolti presso l’organizzazione cristiana ecumenica YMCA, impegnata a sostenere in particolare i giovani.

Oggi, in tutte le parrocchie del Patriarcato, in Israele, Palestina, Giordania e Cipro, si pregherà per la pace in Terra Santa. A Gerusalemme, sono previsti molti momenti di preghiera. Alle diciotto, il patriarca, nella con-cattedrale, presiederà un'adorazione eucaristica; i frati minori della Custodia di Terra Santa, nella chiesa di San Salvatore, propongono una lunga sosta di preghiera davanti al Santissimo; nell’abbazia della Dormizione, sul Monte Sion, nei pressi del Cenacolo, i monaci benedettini hanno già iniziato la scorsa notte una veglia di preghiera. In questo modo i cattolici di Terra Santa si ritroveranno riuniti, nonostante tutto, nella preghiera corale, per consegnare a Dio Padre la loro sete di pace, di giustizia e di riconciliazione.



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