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MORTE "DOLCE"

Pezzi di ricambio cercansi tra le vittime di eutanasia

Poche vittime di eutanasia donano gli organi e, per alcuni dottori belgi e olandesi, questa realtà va cambiata, incrementando le donazioni. In questo modo viene stravolto il concetto di donazione di organi, che è un atto "nobile e meritorio" dopo morte certa. Ma che in questo contesto resta una mera ricerca di pezzi di ricambio. E chi non chiedesse l’eutanasia oppure la chiedesse senza donare gli organi? Rischierebbe di essere additato come egoista.

Vita e bioetica 18_04_2017
Eutanasia

Poche vittime di eutanasia donano gli organi e, per alcuni dottori belgi e olandesi, questa realtà va cambiata, incrementando le donazioni. È il succo di un articolo pubblicato sul Journal of the American medical association (Jama), che si sofferma sulla situazione del Belgio, unico Paese, assieme all’Olanda, dove è consentita la donazione di organi dopo interventi eutanasici.

Secondo quanto riportato nell’articolo, in Belgio 2023 persone sono morte di eutanasia nel 2015 e, nello stesso anno, 1288 erano nella lista d'attesa per il trapianto di organi. Escludendo dal novero dei donatori una serie di soggetti (anziani con più di 75 anni o persone con HIV, malattie al fegato, ai polmoni e ai reni), sulla base delle schede mediche i ricercatori hanno individuato 204 potenziali donatori, cioè circa il 10% del totale, da cui si sarebbero potuti estrarre 684 organi sani. Cosa che non è avvenuta, perché fino ad agosto 2016 solo 43 dei “pazienti” sottoposti a eutanasia hanno donato i loro organi (in quest’ultima cifra sono inclusi sia belgi che olandesi).

Fin qui i dati, come presentati su Jama e che già di per sé sono rivelatori di quella mentalità efficientista che, lungi dal considerare la persona come portatrice di una dignità intrinseca, la tratta in base alla sua funzionalità, quale un insieme di pezzi di ricambio di una qualsiasi macchina da rottamare e non più “utile” altrimenti. Posto che la donazione di organi dopo la morte certa è, come spiega il Catechismo, “un atto nobile e meritorio” (CCC 2296), ciò che in questo caso sta a monte – l’eutanasia – è invece un atto sempre malvagio, in quanto contrario al quinto comandamento (cfr. anche l’Evangelium Vitae, n° 64-67). Sempre il Catechismo, allo stesso punto, ci ricorda che “è moralmente inammissibile provocare la mutilazione invalidante o la morte di un essere umano, sia pure per ritardare il decesso di altre persone”, il che corrisponde esattamente a un altro fondamentale insegnamento della Chiesa: non è mai consentito fare il male perché ne derivi un bene. Ma negli autori dell’articolo su Jama, che partono dall’assunto che l’eutanasia sia di fatto normale, tutto questo manca.

Dello svilimento della vita che deriva da questa cultura mortifera siamo ormai quotidianamente testimoni. Dal Belgio all’Olanda, dal Canada alla Francia e al Regno Unito, dove esistono leggi sul fine vita simili a quella in discussione nel nostro parlamento, ci giungono notizie di eutanasia praticata sui soggetti più deboli, spesso senza nemmeno il loro consenso, come avviene per malati psichiatrici, disabili, persone in coma e bambini. Come, da ultimo, dimostra il caso del piccolo Charlie, che medici e giudici vogliono far morire di fame e di sete, perfino contro la volontà dei suoi genitori. Già questi fatti sono più che sufficienti a svelare l’inganno dell’autodeterminazione e del relativo “diritto a morire”, sostenuti dai promotori dell’eutanasia, accecati dall’illusione diabolica che ci fa dimenticare il nostro essere creature.

Se gli abusi sui più indifesi sono enormi già oggi, per via della cultura dominante che li rappresenta come non degni di vivere, parlando arbitrariamente di “qualità” della vita (o, più sottilmente, definendo i malati cronici “un peso” per il Servizio Sanitario, come ha titolato la Repubblica nei giorni scorsi, salvo modificare il titolo dopo le proteste), figuriamoci quali pressioni sociali ed economiche subirebbero qualora dovesse passare l’idea che associa l’eutanasia alla donazione di organi: uccidere essere umani per salvarne altri verrebbe promossa dal potere come cosa buona. E chi non chiedesse l’eutanasia oppure la chiedesse senza donare gli organi, rischierebbe di essere additato come egoista.

Questa deriva culturale, del resto, è già in atto. Subito dopo l’articolo pubblicato su Jama, è intervenuto il noto bioeticista Julian Savulescu, il quale ha prima dovuto ammettere che le persone sono preoccupate dal piano inclinato che potrebbe portare dall’eutanasia all’uccisione di persone come fonte di organi per i più giovani e i più ricchi, ma poi ha aggiunto che una “soluzione etica” potrebbe essere la separazione tra l’intervento eutanasico e la donazione, facendo svolgere le rispettive procedure a medici diversi. Chiaro che Savulescu non consideri un male l’eutanasia e, con parole astute, spinge per incrementare la donazione di organi, che definisce “un’opzione molto importante da dare alle persone che hanno richiesto l’eutanasia. È una realtà che una persona può salvare 7-8 vite a costo zero se ha deciso di morire”. Meglio del 3x2 al supermercato. Ma qui si tratta di vita umana, non di cose. Se non fosse chiaro, Savulescu conclude: “Dovrebbero avere l’opzione di salvare le vite di altre persone dopo la morte”. Dall’opzione, originata da un male (l'eutanasia, appunto) e solo apparentemente frutto di una scelta libera, alle pressioni e abusi di cui sopra, il passo è brevissimo.

Altre idee di Savulescu? Pochi mesi fa ha scritto che bisognerebbe eliminare il diritto dei medici all’obiezione di coscienza e selezionare solo gli aspiranti medici privi di scrupoli di coscienza. Nel 2012, Savulescu ospitò sul suo giornale il contributo dei bioeticisti Giubilini e Minerva, secondo i quali in tutte le circostanze in cui è consentito l’aborto dovrebbe essere permesso anche l’infanticidio. Molti, allora, si scandalizzarono giustamente (pochi, tuttavia, ricordarono che l’aborto stesso è un delitto), ma pochissimi nel nostro Paese si sono scandalizzati quando Pisapia e la Repubblica, nell’autunno 2016, hanno iniziato a far passare come “atto d’amore” l’eutanasia sui bambini: e che differenza c’è con l’infanticidio? In un’applicazione esemplare della finestra di Overton, sono bastati quattro anni per addormentare le coscienze di tanti. Grazie anche a parole belle in superficie, che - gratta gratta - svelano la vera cultura di chi promuove l’eutanasia.