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LA VITA DI GESù NELL'ARTE/11

Perugino, ascesa e caduta di un genio passato di moda

La parabola artistica del Perugino non è sufficiente per oscurare il suo genio e la magnificenza delle sue opere, che ci incantano ancora oggi, dopo mezzo millennio e continueranno a farlo per le generazioni future. Come il Battesimo, inizio della vita pubblica di Gesù affrescato in Vaticano. 
- LA RICETTA: CIARAMICOLA

Cultura 21_02_2022 English Español

Dopo avere analizzato qualcuna delle poche opere d’arte che rappresentano l’infanzia e l’adolescenza di Gesù, passiamo ad un capitolo tanto ricco da avere l’imbarazzo della scelta: la vita pubblica di Gesù. Benché questo periodo copra solo meno di tre anni della vita del Redentore (dal battesimo alla crocifissione), essa è fonte di ispirazione per una miriade di artisti, attraverso i secoli.

Essendo tanta la materia, sceglieremo solo opere e artisti che sono speciali per qualche ragione.

Oggi viaggeremo nel tempo, per arrivare ad una mattina del 1480: ci troviamo in San Pietro, nella Cappella della Concezione. Un uomo dalla corporatura robusta si trova al centro. Con la testa alzata guarda gli affreschi dell’abside, meravigliato da tanta bellezza. I suoi occhi brillano e un sorriso gli illumina il viso: è il papa della Rovere, Sisto IV (1414-1484). Ad un passo da lui c’è l’autore di quella meraviglia: Pietro Vannucci, detto il Perugino.

Nato intorno al 1448 a Città della Pieve, presso Perugia (nello Stato Pontificio) era figlio di Cristoforo Vannucci, che, rendendosi conto del talento del ragazzo, lo fece studiare le tecniche dell’affresco e del disegno presso un artista della città.

Il Perugino si formò studiando le opere di Piero della Francesca e del Verrocchio, di cui fu allievo a Firenze tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta del Quattrocento: lì scoprì il paesaggio fiammingo e il ritratto naturalista. Finito l’apprendistato, l’artista si mise in proprio e cominciò a ricevere degli ordini, il primo fu quello delle monache del Convento di San Martino, per le quali fece San Girolamo. Ebbe allievi che sarebbero diventati pittori illustri, come Raffaello. Lavorava senza sosta, in varie città (Perugia, Firenze, Roma, Cremona, Venezia, Mantova) sfornando dei capolavori, con somma soddisfazione dei suoi clienti, mentre la sua fama aumentava, insieme all’importanza dei suoi committenti.

E così torniamo al nostro racconto, a quella mattinata di maggio, che avrebbe marcato l’inizio di una collaborazione il cui frutto è arrivato fino a noi e ci sopravvivrà. In quel momento il Papa - benché conoscesse la fama del pittore, che era la ragione per la quale gli aveva affidato la Cappella della Concezione - si rese conto di avere di fronte un genio, non solo per il talento, ma anche per le capacità organizzative: era riuscito a fare il lavoro in un tempo record. E prese una decisione repentina: gli avrebbe affidato la direzione dei lavori della cappella papale - detta poi Sistina, in onore del Papa -, progetto per il quale il Pontefice aveva già contattato e assunto tre dei più grandi artisti del tempo: Sandro Botticelli (1445-1510), Cosimo Rosselli (1439-1507) e Domenico Ghirlandaio (1449-1494).

Avevano ricevuto il prestigioso incarico di decorare con dieci narrazioni, tratte dai Testamenti, le pareti dell’importante nuovo locale in Vaticano. Perugino, visto il suo nuovo incarico, nella serie di Storie di Mosé e Cristo, poté così riservarsi le scene principali: la Consegna delle chiavi a San Pietro e la Assunzione della Vergine (quest’ultima poi distrutta perché sostituita dal Giudizio Universale di Michelangelo).

I quattro principali esecutori delle opere decorative erano affiancati dal Signorelli – conosciuto anche come Luca da Cortona (1445 – 16 ottobre 1523) – e da collaboratori, tra i quali il Pinturicchio (Perugia, 1454 – Siena, 1513), Rocco Zoppo (1496 – 1508) e Piero di Cosimo (1462-1521). Dalla documentazione consultata risulta che le narrazioni furono portate a termine alla fine del 1482.

Perugino, insieme ai suoi aiuti (considerata la vastità di un'opera del genere), dipinse almeno sei scene, di cui ne sono oggi conservate tre. Una di queste è Il Battesimo di Cristo, che è la prima della parete a destra dell'altare, guardando verso di esso, ed è in parallelo con la Partenza di Mosè per l'Egitto e circoncisione di suo figlio Eliezer sul lato opposto.

Il dipinto immortala l’inizio della vita pubblica di Gesù: il battesimo.

Leggiamo nel Vangelo di Matteo 3, 1-2 e successivamente 13-17: In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!»….  In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». Ma Gesù gli disse: «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia». Allora Giovanni acconsentì. Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto».

Ed è proprio quel momento che il Perugino ”fotografa” nella sua opera. La scena è impostata secondo uno schema simmetrico, tipico dell’artista. Al centro il fiume Giordano scorre dritto verso lo spettatore, fino ai piedi di Gesù e di Giovanni Battista che lo sta battezzando, in primo piano. Dal cielo scende la colomba dello Spirito Santo, inviata da Dio in alto, rappresentato entro un nimbo di luce con serafini e cherubini e affiancato da due angeli in volo.

Il paesaggio converge verso questo asse simmetrico, con una visione simbolica della città di Roma (si riconoscono tra le mura un arco di trionfo, il Colosseo e il Pantheon). Alle due estremità si svolgono due episodi secondari, pure improntati a una simmetria che ne sottolinea le analogie dottrinali: la predica alle folle del Battista (sinistra) e di Gesù (a destra). Tipico dell'artista è anche il paesaggio che sfuma dolcemente in lontananza, punteggiato da alberi esili: questo divenne uno degli elementi più riconoscibili della scuola umbra.

Nel cielo è raffigurata la voce di Dio che si indirizza a Gesù: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1, 10-11).

Sul fregio superiore compare la firma dell’artista: "OPVS PETRI PERVSINI CASTRO PLEBIS”: è l’unico riquadro firmato della Cappella Sistina.

Dopo il completamento dei lavori affidatogli dal Papa, l’artista rientrò a Perugia, continuando a lavorare per clienti illustri. Nel 1505 dipinse La lotta tra Amore e Castità (ora al Louvre) per lo studiolo di Isabella d’Este. Purtroppo la marchesa non fu pienamente soddisfatta, marcando con la sua critica un declino che diventò inesorabile per Perugino. Culminò con il licenziamento in tronco operato ai suoi danni dal papa Giulio II, mentre affrescava la volta della sala dei palazzi Vaticani detta poi dell’Incendio di Borgo. Tali dipinti furono poi sostituiti dagli affreschi del suo allievo Raffaello.

La verità è che Perugino era semplicemente ”passato di moda”: il suo stile, un tempo tanto ammirato, con il passaggio nel nuovo secolo diventò obsoleto, stanco e ripetitivo. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nella provincia umbra, nella sua bottega, che era ancora molto attiva.

Nel 1524 morì di peste nel Castello di Fontignano, mentre affrescava il Presepe nella chiesa parrocchiale.

La sua parabola artistica non è sufficiente per oscurare il suo genio e la magnificenza delle sue opere, che ci incantano ancora oggi, dopo mezzo millennio e continueranno a farlo per le generazioni future.