Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico

SETTIMANA SANTA / VENERDI'

Perchè credo nel valore della sofferenza

Come si spiega il male con il mistero di un Dio infinitamente buono e onnipotente? Ecco come la Buona Novella ha superato ogni filosofia.

Attualità 06_04_2012
Masaccio - Crocifissione
Proseguiamo con le riflessioni tratte dall'ultimo libro di mons. Girolamo Grillo
"Perchè credo. I miei interrogativi sulla fede" (Marietti, pp. 300 euro 28), con prefazione di mons. Luigi Negri.

È difficile certamente sostenere che la sofferenza, come il dolore, le delusioni, gli affanni, gli acciacchi della vita siano un bene. Si è di fronte al mistero del male, cioè di fronte al mistero di un Dio infinitamente buono e onnipotente che permette tanti peccati, tante ribellioni, tante lotte e soprattutto tante guerre fratricide nel nostro mondo. L’interrogativo è veramente terribile: perché mai Dio ha creato il mondo, sapendo che in esso tante creature anche innocenti avrebbero sofferto? Si parte, quindi, da un dato di fatto: è difficile negare l’esistenza del male nel mondo in cui viviamo.

Sia il cosiddetto male cosmico che il male interiore o morale sono sotto gli occhi di tutti noi. Non è difficile comprendere cosa si intenda per male cosmico: tifoni, uragani, maremoti, eruzioni vulcaniche, terremoti, incendi catastrofici ecc. Così pure per quanto concerne il male interiore, cioè il male che esce dal cuore dell’uomo: amarezze, miseria, insicurezza, solitudine, durezze, ipocrisie, conflitti interiori insolubili, delusioni, fratture interiori insanabili e profonde. Come ha reagito l’uomo nel corso dei secoli di fronte a questo stato di cose? È ovvio che l’uomo, a prescindere a quanto si trova scritto nella Bibbia, abbia cercato di risolvere questo enigma, dando purtroppo risposte poco convincenti.

Si è avuto così il tentativo della filosofia occidentale, fin dai tempi di Eraclito (VI secolo a.C.). Questi affermava che la vita dell’uomo va avanti tra mille contrasti che, in qualche modo si compensano a vicenda, nel senso, ad esempio, che il male cosmico viene compensato dalle successive riparazioni migliori del passato; che ogni guerra prepara la pace, facendo rifiorire il desiderio di quest’ultima. Tutti gli altri filosofi greci, comunque, non danno una spiegazione razionale del problema del male e del dolore. Successivamente verranno i manichei, i quali daranno delle motivazioni alquanto ingenue, con la loro dottrina dei due principi: quello buono sarebbe responsabile del bene esistente nel mondo e quello cattivo responsabile del male e quindi anche del dolore. Abbiamo poi lo stoicismo sia in Occidente che in Oriente. Secondo gli stoici tutto ciò che accade nel mondo è comandato da una ragione trascendente, la quale consente all’uomo di cogliere sempre l’armonia suprema del cosmo. La chiave della felicità, secondo questi filosofi, andrebbe trovata nel reprimere questi desideri.

Qualcosa del genere diceva anche Buddha, secondo il quale l’origine della sofferenza e del dolore è la sete di esistenza individuale che si trova nel cuore dell’uomo. Secondo Buddha tutto nella vita è dolore; esso trae origine dal nostro attaccamento alla vita; per cui, se si vuole eliminare il dolore bisogna eliminare la vita. Come si può notare, tutte queste motivazioni non riescono a convincere minimamente l’uomo veramente religioso, soprattutto perché ci riportano a una specie di nichilismo metafisico che può condurre anche alla disperazione. Ciò significa che, dal punto di vista razionale, non si riesce a dare risposte convincenti al problema dell’esistenza del male e, quindi, della sofferenza e del dolore nel mondo.

Essendo partiti dalla convinzione che Dio, essendo infinitamente buono, non può aver creato il male, né può volere il male, non resta altro che pensare a un castigo di Dio, per una eventuale colpa, della quale l’uomo si sarebbe macchiato. Un’idea del genere, prima di far ricorso alla storia del peccato originale, di cui si parla nella Bibbia, è ben conosciuta dagli studiosi di etnologia religiosa, che quasi sempre parlano di un Essere Supremo, il quale, se gli uomini disprezzano i suoi comandi, diventa punitore tremendo, mandando sulla terra i suoi castighi con tempeste, inondazioni, turbolenze e altre catastrofi, pandemie di ogni genere. Tanto sostengono gli indigeni del continente australiano, quelli della Terra del Fuoco e in genere quelli delle religioni più diffuse nei vari continenti. Anche presso gli antichi romani era molto diffusa l’idea che la mancata osservanza dei doveri religiosi avrebbe suscitato l’ira degli dèi, che si vendicavano provocando carestie e altri mali.

Si perviene così all’idea del peccato originale, di cui si parla nella Bibbia, che per noi cristiani è di fondamentale importanza. La questione, però, come subito possiamo vedere, non è certamente di facile soluzione, anche perché ad essa sono intimamente connesse quella del peccato originale e quella della libertà dell’uomo.

Una delle domande fondamentali dalla quale non si può prescindere è la seguente: se Dio è onnisciente, sapendo che l’uomo avrebbe peccato, perché mai lo avrebbe creato? In altri termini, perché mai Dio avrebbe creato l’uomo, pur sapendo che questi si sarebbe ribellato e, quindi avrebbe provocato tutto lo sconvolgimento della natura, che noi ben conosciamo, oltre che la conseguente ira di Dio?

La Chiesa ha sempre insegnato l’esistenza storica di una coppia originale: Adamo ed Eva, nostri progenitori che, avendo trasgredito un divieto divino, furono all’origine della sventura di tutta la loro discendenza, fino alla venuta di Cristo, Salvatore dell’uomo e liberatore dalla colpa originale. Questa dottrina ha occupato un posto importante fin dai tempi di Ireneo, Tertulliano, Origene, fino a Pelagio, che contestò questa interpretazione, asserendo che la caduta dei nostri progenitori aveva avuto conseguenze soltanto su di essi, ma non sui loro discendenti. Per costoro, secondo lui, era stato solo un cattivo esempio. Contro Pelagio scese in campo sant’Agostino, il quale difese l’esistenza del peccato originale con tre argomenti: l’insegnamento della Scrittura (Genesi e san Paolo in particolare), la prassi liturgica del battesimo dei bambini, basata sulla convinzione che essi vengono al mondo con il peccato originale, l’esistenza universale della sofferenza, del dolore e del male, la qualcosa suppone una colpa comune, di cui l’uomo è corresponsabile. Sant’Agostino, però, non ha dato una spiegazione di tutto questo, limitandosi a sottolineare il lato oscuro di tutta la vicenda e affermando che ci si troverebbe di fronte a un mistero difficile da comprendere. Ma la dottrina di Agostino divenne uno dei cardini fondamentali della teologia cattolica e fu accolta sostanzialmente anche dallo stesso san Tommaso, il quale si limitò soltanto a qualche ritocco.

Il problema, dal quale siamo partiti, è però di altro genere e cioè ci siamo domandati se il male esistente nel mondo sia o meno un castigo di Dio. Ed è proprio a questo quesito fondamentale che siamo chiamati a dare una risposta. Per impostare bene il problema, occorre partire, come già precedentemente accennato, dalla libertà dell’uomo. A tale riguardo Giovanni Paolo II, nell’enciclica Veritatis splendor, al n. 35, afferma quanto segue: «La rivelazione insegna che il potere di decidere del bene e del male non appartiene all’uomo, ma a Dio solo. L’uomo è certamente libero, dal momento che può comprendere e accogliere i comandi di Dio. Ed è in possesso di una libertà quanto mai ampia, poiché “può mangiare di tutti gli alberi del giardino”. Ma questa libertà non è illimitata: deve arrestarsi di fronte “all’albero della conoscenza del bene e del male”, essendo chiamata ad accettare la legge morale che Dio dà all’uomo. In realtà proprio in questa accettazione, la libertà dell’uomo trova la sua vera e piena realizzazione. Dio, che solo è buono, conosce perfettamente ciò che è buono per l’uomo, e in forza del suo stesso amore, glielo propone con i comandamenti».

L’uomo, però, non sempre fa un uso corretto della libertà e molte sciagure non esisterebbero, se ne facesse veramente un uso corretto. Ad esempio, se ci impegnassimo seriamente a sconfiggere certe malattie e anche ad evitare le guerre. È anche vero, peraltro, che tante sciagure si abbattono sull’umanità a causa del peccato dell’uomo, cioè del suo egoismo. Il fatto è questo: la Bibbia è piena di minacce di castighi divini, ma allo stesso tempo la Bibbia ci dice che Dio, conoscendo l’umana fragilità, dopo il peccato, invita continuamente l’uomo alla conversione, cioè a pentirsi e a far ritorno a lui. I castighi ci sono, ma rappresentano soltanto un aspetto dell’amore di Dio, che vuole sempre il vero bene dell’uomo. Tutti i profeti denunciano le ingiustizie causate dal male, ma, allo stesso tempo, essi invitano alla conversione.

I primi libri della Bibbia presentano un Dio che punisce, ma che salva e ricompensa coloro che osservano la sua legge; la qualcosa sta a dimostrare che Dio è più disposto a perdonare che a punire. Gli stessi Ebrei, ben presto si rendono conto che la giustizia di Dio è qualcosa di misterioso, anche perché, nella loro storia, si verificheranno delle catastrofi in epoche certamente non peggiori di quelle precedenti. Si pensi, ad esempio, la morte prematura in battaglia del buon re Giosia, alla deportazione in Babilonia ecc. Il libro di Giobbe è emblematico di tutto questo; egli grida ad alta voce la sua innocenza, ma alla fine riconosce di trovarsi di fronte a un mistero incomprensibile, che adora in silenzio.

La Buona Novella, se la si osserva con estrema attenzione, dà una risposta globale al problema del male nelle sue molteplici manifestazioni: una risposta che, come sappiamo, si conclude con l’assunzione in prima persona, come estrema testimonianza, della passione e della morte in croce dello stesso Gesù, che concentra in se stessa non solo il male umano, ma anche quello cosmico. Come si comporta Gesù di fronte al male? Non vanno enucleate nello stesso concetto di male tutte le malattie, dalle quali egli libera operando tante guarigioni? E che cosa dire dei peccati? Egli non condanna mai il peccatore, ma libera il peccatore dal peccato che costituisce il più grave male morale e cioè come una consapevole violazione della volontà di Dio e come fonte di mali ulteriori. Ma che Cristo, abbia voluto dare una risposta adeguata ai molteplici aspetti del male (fisico, morale, cosmico), lo si vede quando egli si lascia liberamente inchiodare sulla croce, dimostrando così il valore immenso della sofferenza. Da quel momento, il cristiano, messo di fronte allo scandalo del male non può limitarsi più ad adorare in silenzio il mistero che gli sta davanti, ma comincia a guardare a lungo l’immagine del crocifisso.

Il cristiano lascia che quell’immagine cambi a poco a poco l’idea che egli si era fatta di un Dio infinitamente buono, ma che permette il male. Dio non è un assoluto di potenza che desidera lasciare imperturbata la sua tranquillità. No! Dio è l’Amore. «Guarda in faccia Gesù», scriveva Teresa di Lisieux a sua sorella Céline, «e vedrai quanto ci ama!». Da quel momento, il cristiano, prima di cercare di capire il male, cerca di capire Dio, come si è rivelato sulla collina del Calvario.