Francia, TikTok sta diventando un veicolo di islamizzazione
In Francia sono sempre più diffusi gli account su TikTok di estremisti islamici (anche donne). Non solo mirano a diffondere usi e costumi coranici a "fare comunità", ma sono un vero veicolo di radicalizzazione per milioni di giovani.

Più opportunista che mai, l’imam di internet si sta adattando alle ultime tendenze dei social media per influenzare profondamente le menti dei più giovani.
A turbare i sonni di Place Beauvau non sono più soltanto gli imam delle moschee sorvegliate dai servizi segreti, ma anche gli influencer dell’islam radicale 2.0 che ne raccolgono l’eredità comunicativa sui social. Pare addirittura che il ministro dell’Interno Retailleau, nella sua lotta all’islamizzazione di Francia, abbia commissionato una dettagliata relazione sui contenuti islamisti che circolano su TikTok, ormai ritenuti una minaccia interna a pieno titolo.
La cronaca francese lo conferma con chiarezza: le 2.600 moschee e sale di preghiera della République rappresentano solo la punta dell’iceberg. Basta connettersi a internet per accedere ad una propaganda islamica feroce. Ed è qui che la Francia combatte attualmente l’ultima frontiera della lotta contro l’entrismo islamista. Improvvisati “imam di Google” proliferano ovunque per diventare pericolosi mentori di giovani in cerca di qualcosa in cui credere.
La piattaforma cinese TikTok è ormai il proscenio preferito dalla galassia islamista. Là, i contenuti diffusi da “influencer islamisti” perfettamente padroni dei codici del marketing digitale sono incontrollabili e hanno una straordinaria capacità di diffusione non appena vengono lanciati. A moltiplicare la portata contribuiscono pagine apertamente ostili ai valori repubblicani francesi, insieme a una miriade di account anonimi che ne rilanciano il messaggio nell’ecosistema digitale.
In Francia, la legge antiterrorismo del 13 novembre 2014 consente alle autorità, tramite l’OCLCTIC (Office central de lutte contre la criminalité liée aux TIC), di bloccare senza passare per un giudice l’accesso a siti web che incitano al terrorismo o ne fanno apologia. Ma di fatto non è applicata. E soprattuto, per quel che concerne l’islam, il confine è talmente labile per determinati argomenti che è impossibile bloccare i predicatori: libertà religiosa o terrorismo? È questo il dilemma delle autorità.
Se il campionato classico degli imam digitali si gioca su YouTube come principale viatico di distribuzione del messaggio di Allah, ora le nuove leve puntano su TikTok. Esistono account — che evitiamo di nominare per non amplificare la visibilità, ma facilmente reperibili — con follower che vanno dai 600mila ai 2 milioni. E si può sfogliare il campionario della migliore propaganda islamista per i giovani: dall’obbligo di velo, passando per sport “ammessi” e palestre islam-friendly, fino al rifiuto della musica e dove evitare contenuti haram. La loro forza sta nella capacità di creare comunità: lo dimostra l’enorme volume di commenti, che sfociano spesso in espliciti messaggi di odio e incitamento alla violenza. Troviamo, così, un convertito franco-italiano che si mette in scena in un atteggiamento vittimistico per difendere l’uso del niqab o un’intera famiglia di Marsiglia che, sotto l’evocativo pseudonimo ‘famiglia musulmana’ illustra la dottrina islamica mentre critica la società francese e mette in primo piano le figlie completamente velate.
La vera novità è la crescente femminilizzazione della predicazione online. Esclusivo appannaggio degli uomini, adesso trova nelle donne una nuova generazione di influencer. Sono donne adulte, neofite, che, — sotto le sembianze di una modernità disinvolta — promuovono l’imposizione del velo negli spazi pubblici (Oltralpe è vietato). Una narrazione in piena sintonia con la strategia dell’entrisme islamico e con quanto denunciato dal rapporto sui Fratelli Musulmani pubblicato dal governo di Attal. Costruiscono una forma di “sorellanza islamista”, che diffonde un’immagine apparentemente dolce e pacifica dell’islam, ma che in realtà serve a normalizzare il velo, incoraggiarne l’uso e alimentare una retorica vittimistica. «Sorella mia, per essere bella non devi soffrire, devi solo coprirti», è il motto più in voga.
Da gennaio 2024, impazza un cosiddetto trend di TikTok noto come “sono velata quindi…”: le giovani donne elencano i commenti che sarebbero stati fatti loro per il fatto di indossare il velo. Un video in particolare, pubblicato da una donna con oltre 750mila follower, intitolato “Sono una convertita, quindi…”, ha raggiunto circa 400mila visualizzazioni. Il proselitismo digitale trova quindi numerosi contatti tra i convertiti che cercano, attraverso l’uso virale di alcuni hashtag (#convertieislam, #convertie, #soeurmuslim, #voilee), di amplificare il loro pubblico e di consolidare una comunità di credenti online. L’uso di codici culturali contemporanei serve a dare l’illusione di un progresso sociale mentre s’impone la normalizzazione della visione dell’islam che non vede nella donna alcuna dignità in quanto persona. Ma serve anche come cassa di risonanza per le giovani donne musulmane velate per sottolineare la presunta islamofobia sistemica in Francia.
Ci si chiede allora quale sia il reale grado di influenza — se non di controllo — che il movimento islamista riesce a esercitare su queste giovani donne.
Non dimentichiamo che TikTok è un’applicazione che monitora due parametri chiave: la fidelizzazione (ovvero la capacità di farci tornare su TikTok) e il tempo trascorso. L’obiettivo, ovviamente, è mantenere gli utenti attivi il più a lungo possibile. Il sistema cerca di rendere le persone dipendenti piuttosto che dare loro ciò che desiderano veramente. L’algoritmo di TikTok promuove i video con il punteggio più alto, calcolato in base a visualizzazioni, like, commenti e tempo di visione. Questo meccanismo favorisce la diffusione capillare dei contenuti islamisti più accattivanti. Fa riflettere, quindi, la capacità che hanno i personaggi dietro i profili islamisti così in voga di rendere capillare la diffusione di contenuti che riguardano una religione che è anche un progetto politico in un’aperta ostilità con l’Occidente e che rima con la guerra.
E nessuno meglio dei francesi sa quanto la diffusione di sermoni islamici on line può risultare drammatica. L ’omicidio del professore Samuel Paty nel 2020 ebbe origine da un video polemico diffuso dal padre di una studentessa che deplorava il fatto che l’insegnante avesse mostrato caricature del profeta in classe. Bastò quel contenuto perché Abdoullakh Anzorov, alias “Al Ansar tchéchene 270”, decidesse di decapitare l’insegnante e lasciarne la testa in strada.
Il terrorista che uccise Dominique Bernard, il professore di lettere del liceo Gambetta di Arras, si affidò ai social per condividere con la sua comunità il gesto anche in difesa dei«fratelli palestinesi».
Su TikTok, Abdesalem L., il terrorista di Bruxelles che nel 2023 uccise due persone e ne ferì gravemente un’altra al grido di “Allah Akhbar” , seguiva 166 account. Molti di questi erano predicatori dediti alla lettura del Corano con in bella mostra scudi e spade macchiati di sangue.
Con l’occupazione sistematica dello spazio online da parte degli islamisti, la vera sfida diventa ora capire come controllarne l’operato e limitarne la diffusione.