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INTERVISTA/ Yeom Soo-jung

«Pace in Corea e libertà di culto nel Nord, la Madonna ci guidi»

«Chiedo che tutti preghino insieme a noi affinché vi sia libertà religiosa in Corea del Nord e sia costruita la pace tra il Nord e il Sud». «Ho dedicato la diocesi di Pyongyang alla Madonna di Fatima, invocando la sua intercessione e cura perché guarisca le piaghe del popolo coreano». Intervista della Nuova Bussola al cardinale Andrew Yeom Soo-jung, arcivescovo di Seul e amministratore apostolico di Pyongyang, discendente diretto di due martiri coreani.

Ecclesia 10_11_2020

Sanguis martyrum, semen christianorum. La massima di Tertulliano rivive nella vitalità della Chiesa coreana germogliata dalla conquista della libertà di culto ai cristiani nel 1886 dopo un secolo di ondate persecutorie e consolidatasi, almeno al Sud, a partire dalla seconda metà del Novecento. Se oggi la Corea del Sud è il terzo Paese asiatico per numero di cattolici, con una straordinaria forza evangelizzatrice che contraddistingue sia le tante vocazioni sacerdotali che l’impegno del laicato, lo deve anche e soprattutto al sangue versato da più di diecimila martiri tra il 1791 e il 1888. Tra di loro c’erano anche Peter Yeom Seok-tae e sua moglie Kim Maria, arrestati e giustiziati nel 1850 per la loro fede cattolica e dei quali è discendente diretto Andrew Yeom Soo-jung, arcivescovo di Seul creato cardinale da papa Francesco nel 2014.

Per discendenza familiare, dunque, il cardinale Yeom Soo-jung sa bene che il rosso della porpora che indossa simboleggia la regalità del sangue dei martiri, non escluso quello dei suoi due trisavoli e quello delle migliaia di cristiani uccisi ancora ogni anno in Corea del Nord. In qualità di arcivescovo di Seul, il prelato ricopre anche l’incarico di amministratore apostolico di Pyongyang, fondata nel 1927 come prefettura e divenuta una diocesi ‘fantasma’ affidata ai vescovi del Sud dopo la divisione del Paese e la totale repressione delle attività religiose nel Nord controllato dal regime comunista. La difesa della libertà religiosa, dunque, è una delle principali preoccupazioni nell’attività pastorale del cardinale Yeom Soo-jung. La Nuova Bussola lo ha intervistato.

Eminenza, l’esperienza della pandemia ci ha reso più consapevoli dell’importanza della Messa quotidiana nella vita della comunità dei fedeli?
In tutto il mondo stiamo vivendo una situazione molto particolare, la pandemia, che provoca paura e inquietudine inesplorata. La pandemia ha cambiato non solo la nostra vita quotidiana ma anche la vita dei fedeli, cioè la vita liturgica. Nella Chiesa coreana, come in tanti altri Paesi, si sono sospese le celebrazioni eucaristiche dal Mercoledì delle Ceneri, nonostante non si fossero mai sospese neanche nei periodi di guerre e persecuzioni (la Messa con i fedeli è ricominciata dal 23 aprile e gli spazi per le Confessioni sono stati nel frattempo riorganizzati). Penso che attraverso l’esperienza vissuta nella pandemia, tuttavia, il Signore risorto abbia dato a noi deboli la speranza che supera la morte. Anche se dovevamo trascorrere un tempo di sofferenze spirituali, credo che abbiamo ricevuto la grazia che ci ha fatto fortemente riconoscere quanto siano preziosi la Messa e l’amore di Dio.

L’arcidiocesi di Seul sta trasmettendo la Messa quotidiana per i fedeli attraverso l’emittente televisiva dell’arcidiocesi, Catholic Peace Broadcasting Corporation, e le piattaforme social. La maggior parte dei partecipanti alla Messa quotidiana televisiva sono stati anziani e disabili che non possono raggiungere la parrocchia, ma durante il periodo della sospensione della Messa con i fedeli le statistiche delle persone che guardano la Messa quotidiana trasmessa dai mezzi di comunicazione sono cresciute dieci volte di più. C’erano tanti fedeli che aspettavano di fare la Comunione, ascoltando la parola di Dio con la Messa quotidiana trasmessa e offrendo la preghiera della Comunione spirituale.

Non ha paura che la pandemia possa accelerare quella cultura dello scarto spesso denunciata da papa Francesco? Come può la Chiesa contribuire fattivamente a rendere la tutela dei più deboli una questione centrale del dibattito politico?
La pandemia ha causato la sofferenza della malattia alla nostra umanità. Allo stesso tempo, sono state scoperte le grandi disuguaglianze che dominano la nostra umanità. Se l’umanità continua a perseguire solo efficienza e utilità, si potrebbe arrivare al collasso della struttura sociale e a distruggere l’umanità stessa. La chiave dell’insegnamento sociale della Chiesa per affrontare questi problemi è proteggere prima i più deboli.

La Chiesa dovrebbe impegnarsi a far sì che i politici si prendano cura dei poveri e degli emarginati. Se i responsabili politici non pensano e non agiscono in tal senso a causa dei loro interessi, la Chiesa deve prendere l’iniziativa e raggiungerli. Anche se la Chiesa non può offrire una soluzione perfetta, dare una mano è un segno che ricorda direttamente la vicinanza, la solidarietà e l’amore. Sono i poveri a soffrire di più a causa della pandemia. Penso che sia il tempo per la Chiesa di fare una scelta di priorità per i poveri e i vulnerabili.

Le persone anziane e disabili sono sempre più a rischio. Diversi Stati hanno annunciato che le cure per il Coronavirus non saranno accessibili a tutti. Il Covid-19 potrebbe aprire la porta all’eutanasia?
La pandemia ci fa riflettere su tante cose, ma abbiamo potuto soprattutto riconoscere che il diritto alla vita umana e alla dignità non sono una cosa personale, perché salute e contagio di una persona potrebbero influire sulla salute e sulle azioni di altre persone. Così l’umanità intera si è legata: la mia vita ha sempre un legame con la vita degli altri. Vivendo questo periodo della pandemia, abbiamo riconosciuto la responsabilità per noi e per gli altri, accettando di mantenere le distanze con gli altri, portando la mascherina e rispettando gli operatori sanitari e i medici, impegnati per non diffondere il virus.

La libertà personale, dunque, deve essere accompagnata dalla responsabilità. Questo significa che la responsabilità non solo contempla i risultati delle proprie azioni dopo un certo comportamento ma anche viene considerata il bene per sé stessi e per gli altri, cioè la responsabilità prevedibile. Tra queste responsabilità, in primo luogo, c’è la responsabilità sulla vita umana. Ogni forma di eutanasia non può mai essere accettata e non si può decidere sulla base del diritto personale perché la vita umana di ognuno è venuta da Dio.

Perché ha consacrato la diocesi di Pyongyang (Corea del Nord) a Nostra Signora di Fatima?
Il 15 agosto 1945, con la fine della Seconda Guerra Mondiale, la Corea è stata liberata dal dominio coloniale giapponese. Poco dopo il periodo di gioia per la liberazione, purtroppo, il popolo coreano fu coinvolto nella Guerra di Corea dal 1950 al 1953 che, alla fine, con grande sofferenza, ha portato alla separazione in due parti, Sud e Nord. In seguito a ciò, sono state perseguitate tante religioni. Nella Corea del Nord, soprattutto, le chiese sono state chiuse, i monasteri sono stati sospesi e tanti chierici, religiosi e laici sono stati crudelmente uccisi o perseguitati. Malgrado queste difficoltà, monsignor Francesco Hong Yong-ho, vescovo di Pyongyang, capitale del Nord, e i laici hanno testimoniato la fede fino alla morte. Ma la Chiesa nella Corea del Nord, così, è sparita.

Per il 70° anniversario dell’inizio della Guerra di Corea e il 75° della liberazione, ho dedicato la diocesi di Pyongyang alla Madonna di Fatima, come arcivescovo di Seul e amministratore apostolico della diocesi di Pyongyang, invocando la sua intercessione e cura perché guarisca le piaghe del popolo coreano.

Ringrazio il Santo Padre per il suo messaggio e la benedizione apostolica che sostengono e incoraggiano la mia intenzione di dedicare la diocesi di Pyongyang al Cuore Immacolato di Maria.

Grazie a quest’occasione data dall’intervista con la Nuova Bussola Quotidiana, vorrei chiedere a tutti i fratelli e le sorelle di tutto il mondo di pregare insieme a noi, affinché vi sia libertà religiosa in Corea del Nord e sia costruita la pace tra il Nord e il Sud, con la riconciliazione.

Quanto è importante la libertà religiosa per “il trionfo di una cultura della riconciliazione” menzionato da papa Francesco nel messaggio inviato in occasione della consacrazione della diocesi di Pyongyang alla Madonna di Fatima?
Il Concilio Vaticano II afferma l’importanza del diritto alla libertà religiosa con cui le persone possono esprimere una fede o una confessione con propria coscienza. Ciò che condiziona la coscienza delle persone restringe la libertà più importante delle persone. La libertà religiosa, perciò, è la chiave che può aprire tutte le altre libertà.

La libertà religiosa è l’elemento fondamentale che fa sviluppare ed essere dinamica la Chiesa coreana. Nonostante varie difficoltà e persecuzioni durate circa un secolo - fino al 1886, quando è stata garantita la libertà religiosa - i laici hanno fatto crescere la comunità cristiana in Corea, annunciando il Vangelo e testimoniando la fede.

In diversi Paesi, anche in Corea del Nord, il diritto alla libertà religiosa è ancora sotto attacco così come gli altri diritti fondamentali, nonostante siano già passati 72 anni dal momento in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione universale dei diritti umani. Ora è tempo che la Chiesa coreana, sviluppata con tanti aiuti dall’estero, dia una mano e sostenga i nostri fratelli che sono in difficoltà, in particolare le Chiese che hanno bisogno. Dobbiamo promuovere lo spirito della solidarietà e della condivisione, soprattutto in tempo di pandemia. La Chiesa coreana continuerà a sostenere le Chiese che soffrono attraverso la fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) in Corea.