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IL CONFRONTO

Ortodossi e Comunione, la fede che è mancata alla Cei

Le chiese ortodosse in Italia e nel mondo hanno difeso i propri riti liturgici, come l’amministrazione della Santa Eucaristia tramite un cucchiaio d’oro, senza che ciò causasse chissà quali nuovi focolai. Pur senza una linea univoca, si è affermata la fede nella Comunione quale Farmaco di immortalità e segno dell’abbandono di sé a Dio, e si è ricordata l’esperienza delle pandemie passate. Una prospettiva di fede che ci saremmo aspettati dai nostri Vescovi.
L'EUCARISTIA, GESÙ SANA OGNI SITUAZIONE, di Maria Bigazzi

Ecclesia 09_07_2020

Di fronte ai protocolli del Governo per regolare il culto in questi tempi di pandemia, la Chiesa cattolica italiana ha avuto un atteggiamento piuttosto arrendevole. Lo si è già visto e non si vuole infierire ulteriormente. È però importante capire che qualcun altro non ha seguito la stessa strada - o almeno ci ha provato - senza per questo essere all’origine di chissà quali nuovi focolai. Stiamo parlando delle chiese ortodosse, presenti in Italia e in generale in Europa e nel mondo. Non c’è stata una linea univoca, ma quello che certamente colpisce, almeno per contrasto con la nostra situazione di cattolici italiani, è stata la volontà di difendere la propria identità e i propri riti liturgici.

Gli ortodossi amministrano la Santa Eucaristia ai fedeli tramiti un cucchiaio d’oro, che raccoglie il Pane consacrato immerso nel Sangue di Cristo e lo mette direttamente nella bocca del fedele, senza che vi sia contatto. Una prassi decisamente più pericolosa della Comunione direttamente in bocca in uso nel mondo cattolico, almeno fino a qualche mese fa.

Questa è la modalità secolare delle chiese ortodosse e questa è stata difesa. Non sempre con successo. Come a Reggio Emilia, dove padre Evangelos Yfantidis, vicario generale archimandrita, di fronte al divieto di usare il cucchiaio, aveva dichiarato: «Per voi è rischioso, secondo noi no. La nostra Fede è questa e continueremo a usare il cucchiaino». Dopo qualche giorno, però, è intervenuto il prefetto e si è giunti alla “concordata” conclusione: Messa sì, Comunioni no. Impensabile per loro dare la Comunione in mano o in modo diverso.

La reazione più dura la si registra nella Chiesa greco-ortodossa (vedi qui), che ritiene impensabile che l’Eucaristia possa essere veicolo di trasmissione di virus: «Per quanto riguarda la questione che viene di volta in volta ingiustificatamente sollevata sui presunti pericoli, che in queste visioni blasfeme si dice si annidino nel Mistero vivificante della Santa Comunione, il Santo Sinodo della Chiesa di Grecia esprime la sua amarezza, il suo profondo dolore e la sua dura opposizione», dichiarando «a tutti coloro che, per ignoranza o per consapevole infedeltà, insultano brutalmente tutto ciò che è santo e sacro, i dogmi e le sacre regole della nostra fede, che la Santa Comunione è la medicina dell’immortalità, antidoto non per morire, ma per vivere secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo per sempre».

Sulla stessa linea la decisione della chiesa ortodossa di Cechia e Slovacchia: «La Comunione non è mai stata e non sarà mai causa di malattia e di morte, ma, al contrario, sorgente di una nuova vita in Cristo, della remissione dei peccati e della guarigione dell’anima e del corpo». In sintesi, il Farmaco dell’immortalità non può divenire veicolo di malattia e di morte. E la Chiesa ortodossa, non a torto, avanza l’esperienza di secoli di epidemie e pandemie.

Uno stimolo coraggioso e interessante, ma non inappellabile, almeno per come la teologia cattolica ha spiegato il mistero della transustanziazione, in quanto è la sostanza del pane e del vino a cedere il posto alla sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo, mentre invece gli accidenti permangono, insieme alle loro proprietà. Quindi, strettamente parlando, questi accidenti potrebbero trasmettere microbi, polveri, etc. Il punto è che il comitato scientifico dovrebbe dimostrare che delle particole chiuse in una pisside e deposte direttamente e senza contatto sulla lingua del fedele dalle mani deterse del sacerdote, siano in grado di contagiare... Così come dovrebbe fornire, prima di sparare raccomandazioni, uno studio scientifico nel quale si dimostri che la Comunione sulla mano è più sicura di quella in bocca.

E magari la Cei, da parte sua, dovrebbe prendere atto che non esiste solo il comitato tecnico-scientifico del Governo in grado di dare pareri sulla questione e che pur sempre di pareri si tratta e non di evidenze (vedi qui e qui). Prima di calpestare il diritto dei fedeli, riconosciuto dal Diritto canonico e dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (vedi qui), di ricevere la Comunione direttamente in bocca, forse si sarebbe dovuto esigere dal Governo le prove scientifiche in base alle quali il comitato si permette di dare indicazioni a destra e a manca.

Al di là di queste considerazioni, è da lodare quanto il 10 marzo scorso il Sinodo della Chiesa greco-ortodossa emanava: «Per i fedeli della Chiesa, la partecipazione alla divina Eucaristia e alla comunione del calice della vita non possono diventare causa di trasmissione di malattia, perché i fedeli di tutti i tempi sanno che la partecipazione alla divina comunione, anche durante le pandemie, costituisce un’affermazione chiara dell’abbandono di sé al Dio vivente e, dall’altra parte, una manifestazione chiara dell’amore che vince tutte le paure umane anche giustificate».

Questo è un paragrafo da leggere e meditare. E non una sola volta. Dai nostri Vescovi ci saremmo aspettati una prospettiva di fede di questo tipo, anziché una reazione di evidente isteria igienista. L’esortazione calma e decisa ad abbandonarsi al Dio vivente, vincendo così tutte le paure che in questi tempi vengono alimentate giorno dopo giorno, e che stanno devastando il cuore degli uomini, sarebbe stata di certo di più grande aiuto, che non i centimetri di distanziamento sociale. Perché sempre le pandemie, anche quelle molto, molto più gravi del coronavirus, sono state superate grazie alla forza che viene dalla fede, capace di esorcizzare la paura che paralizza.

Quello che purtroppo viviamo nel mondo cattolico è l’esito di una pastorale malata da decenni: abbiamo smesso di avere la giusta paura del peccato e dell’Inferno e siamo piombati dentro la paura di un virus. E questa paura - spiace dirlo - è stata l’anima delle disposizioni della Chiesa italiana in materia liturgica. Molte persone se ne sono accorte, da tempo; alcune si sono arrabbiate, altre sono rimaste scandalizzate e deluse. Dai vescovi ci si aspettava un supplemento di fede, ci si attendeva di essere trascinati verso l’abbandono in Dio, proprio nei Sacramenti da Lui istituiti per la nostra salvezza. Ci si attendeva, insomma, qualcosa di simile a quanto fatto dai loro fratelli ortodossi. «I fedeli di tutti i tempi sanno che la partecipazione alla divina comunione, anche durante le pandemie, costituisce un’affermazione chiara dell’abbandono di sé al Dio vivente»: molti fedeli lo sanno. Ma dove sono i Pastori?

Per questo continuiamo a chiedere ai nostri lettori di scrivere ai propri vescovi, al cardinal Bassetti e soprattutto alla Congregazione per il Culto Divino, perché venga ristabilito il diritto di ricevere la Comunione in bocca e vengano rimosse tutte quelle invenzioni odiose che rendono le nostre Messe invivibili e danno ai fedeli il segno di una fede in Dio sbiadita, per non dire scomparsa. Una “fede” figlia della paura.