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L'ANALISI

Omosessuali, i salti mortali del Sinodo

La valorizzazione delle unioni omosessuali, anche escludendo che faccia riferimento al riconoscimento legale delle unioni civili, è in evidente contraddizione con il Magistero fin qui predicato. Pensare di poter coniugare questo approccio con la "dottrina fondamentale" è fuori di ogni logica.

Famiglia 16_10_2014
Unioni gay

Il Sinodo continua ad alimentare discussioni, e spesso i chiarimenti non semplificano le cose, ma le complicano. Dopo la “Relazione Erdö” (Relatio post disceptationem) ci si interroga su presunte aperture dei vescovi alle “unioni civili”.

Eppure la Relazione non parla di “unioni civili”, ma di “unioni [lato sensu] omosessuali”: “Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners” (§ 52).

Leggere in queste righe una apertura alle “unioni civili” sembra dunque una forzatura, una strumentalizzazione. Qual era l'intenzione dell'estensore di queste parole?

Da alcuni resoconti giornalistici pare che, di fronte alle critiche suscitate da questo paragrafo, il cardinale Erdö si sia rivolto a monsignor Bruno Forte dicendogli: “Il brano l’hai redatto tu, rispondi tu”; interpellato, l'arcivescovo di Chieti e Vasto avrebbe risposto con queste parole: “Non si può escludere la codificazione di diritti per le coppie omosessuali, è un discorso di civiltà!” (clicca qui).

Dunque le cose starebbero così: il Sinodo straordinario sulla famiglia apre alle unioni civili (faccio presente che la Relazione Erdö non è un gossip o un leak, ma un documento ufficiale del Sinodo).

La questione è problematica, perché la Congregazione per la Dottrina della Fede ha definito l'argomento con un documento del 2003 intitolato Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale tra persone omosessuali (clicca qui), firmato dal cardinale Joseph Ratzinger e approvato dal papa Giovanni Paolo II (che ne ha ordinato la pubblicazione).

In questo documento si legge chiaramente: “In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali [...] è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all'applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all'obiezione di coscienza” (§ 5).

Come è evidente, questa interpretazione del § 52 della Relazione (corroborata dalle parole dell'estensore) secondo la quale il Sinodo aprirebbe alle unioni omosessuali civili è assolutamente antitetica al Magistero.

Prendiamo ora in considerazione l'ipotesi alternativa. Ammettiamo che il paragrafo in questione, poiché non cita espressamente le “unioni civili” bensì le “unioni omosessuali”, non si riferisca al riconoscimento pubblico di tali unioni, ma semplicemente alle relazioni affettive informali e private tra persone dello stesso sesso. Prendiamo quindi alla lettera la Relazione Erdö, ignorando le parole di monsignor Forte.

Bisogna ammettere che, di per sé, l'affermazione in questione resta piuttosto problematica. Che significato ha prendere atto che “vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners” se comunque non si vogliono negare “le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali” (e quindi permane l'attuale giudizio negativo sulle unioni omosessuali)? Se non cambia il giudizio nei confronti delle unioni omosessuali, l'affermazione per cui le persone possono darsi reciprocamente una mano è di una banalità sconcertante: che bisogno c'era di scriverla?

È possibile però leggere questo paragrafo alla luce di un'altra affermazione contenuta nella Relazione, quella in cui non si esclude “la possibilità di riconoscere elementi positivi anche nelle forme imperfette che si trovano al di fuori [dalla] realtà nuziale” (§ 18).

Questa affermazione ricalca molto da vicino quanto affermato dal cardinale Kasper in una intervista (clicca qui) del 18 settembre scorso. In questa occasione il cardinale tedesco proponeva di estendere l'ermeneutica che la Lumen Gentium applica alle altre religioni (“Questa è l'unica Chiesa di Cristo [...] ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità”, § 8) alle unioni non matrimoniali (“In certi casi, non si potrebbero riconoscere anche in un matrimonio civile degli elementi del matrimonio sacramentale? Per esempio l'impegno definitivo, l'amore e la cura reciproca, la vita cristiana, l'impegno pubblico che non c'è nelle coppie di fatto?”).

In effetti, più volte alcuni padri sinodali hanno abbracciato questo slogan, affermando che anche le unioni omosessuali conterrebbero “elementi di santificazione”. In questo caso il Sinodo, pur non aprendo alle unioni civili omosessuali, rivaluterebbe le unioni omosessuali informali e private trovando in essi elementi positivi (“un appoggio prezioso per la vita dei partners”) se non addirittura “elementi di santificazione”.

Ma anche in questo caso ci sarebbe una fortissima contraddizione con quanto affermato dalle Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale tra persone omosessuali, nelle quali troviamo scritto: “Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale” (§ 4).

Qualche giorno fa padre Lombardi ha spiegato come al Sinodo siano presenti due linee: “C'è una linea che parla con molta decisione dell'annuncio del Vangelo del matrimonio che esige di affermare che, se c'è un legame valido esistente, non è possibile l'ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati. E c'è un'altra linea che, non negando in alcun modo l'indissolubilità del matrimonio com'è nella proposta del Signore Gesù, però vuole vedere, nella chiave della misericordia, le situazioni vissute e fare un discernimento su come affrontarle nelle varie situazioni che sono a volte molto specifiche; vedere se, senza negare la dottrina fondamentale, si può venire incontro alla misericordia, in un approccio pastorale sulle varie situazioni che si vogliono affrontare”.

Sembra sempre più difficile credere che questa seconda linea (che appare prevalente nella Relatio post disceptationem) riesca a utilizzare la chiave della misericordia “senza negare la dottrina fondamentale".