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GIUSTIZIALISMO USA

Nuove accuse per Trump. La campagna elettorale è già inquinata

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Un’altra accusa di cui dovrà rispondere Donald Trump, per ostruzione e detenzione illegale di documenti segreti. Lo attendono processi a Miami e New York e forse anche altri due. Ma è in cima alle preferenze. 

- FBI CONTRO I CATTOLICI di Luca Volontè

Attualità 29_07_2023
Atto d'imputazione

Un’altra accusa di cui dovrà rispondere Donald Trump, ormai si stanno accumulando a decine per l’ex presidente. L’ultima è nell’ambito del processo che lo attende a Miami, che inizierà nel maggio 2024, sulla sua conservazione illegale di numerosi documenti segreti, mai restituiti all'Archivio Nazionale e trattenuti nella sua villa di Mar-a-Lago in Florida. Con ieri, si aggiunge un capo d'imputazione per detenzione intenzionale di informazioni della difesa e due per ostruzione, per un totale di 40 capi d'imputazione.

Trump si è dichiarato non colpevole per questa come per le accuse precedenti, insieme al suo assistente personale Walt Nauta, che giovedì ha ricevuto altre due accuse di ostruzione. Stavolta è stata coinvolta anche una terza persona: l’amministratore della tenuta di Mar-a-Lago dell'ex presidente degli Stati Uniti, Carlos de Oliveira.

Secondo il documento del tribunale, Trump avrebbe ordinato di cancellare i video di sorveglianza dal suo server, dopo che il Dipartimento di Giustizia aveva chiesto le riprese dell'area in cui, a suo dire, erano custoditi documenti riservati. Secondo l’accusa, il signor de Oliveira avrebbe ordinato, per ben due volte, al direttore tecnico di Mar-a-Lago che "il capo" voleva che il server fosse cancellato, in una conversazione strettamente confidenziale.

Il prossimo processo a Miami è uno dei due che attendono Trump. L’altro è quello che si terrà a New York, dove è accusato di aver pagato segretamente la pornostar Stormy Daniels, per comprare il suo silenzio: avrebbe avuto una relazione con lei e non voleva che trapelasse la notizia nelle elezioni del 2016. Trump non è accusato per l’atto in sé, quanto per aver truccato i libri contabili. Cosa che in sé, non è reato, bensì un illecito. Ma essendo stati truccati per un’azione elettorale, diventa un reato.

Nei prossimi mesi, l’ex presidente potrebbe essere incriminato anche per la rivolta del 6 gennaio 2021, quando manifestanti estremisti, usciti dalla manifestazione da lui indetta, penetrarono nel Campidoglio. In questo caso, Trump potrebbe essere accusato di istigazione all’insurrezione, come ritiene la Commissione del Congresso che era stata costituita ad hoc nel 2022, per indagare su quei fatti. Il reato di “insurrezione” implica, in caso di condanna, anche il divieto di ricoprire nuove cariche pubbliche.

Infine, in Georgia, Trump potrebbe essere incriminato per aver fatto pressioni sullo Stato per ottenere nuovi riconteggi e ribaltare l’esito di un voto finito a suo sfavore al fotofinish, per poche migliaia di schede. In particolare è sotto scrutinio la telefonata, ormai famosa, in cui un presidente iracondo intimava al segretario di Stato locale di “trovare quei maledetti 11mila voti”. È interpretato dall’accusa come un tentativo di broglio elettorale.

Ognuna di queste cause ha dei punti di debolezza notevoli. Caso Stormy Daniels: bisogna dimostrare che quel pagamento fosse finalizzato alla frode elettorale, altrimenti non è reato. Caso documenti a Mar-a-Lago: bisogna dimostrare quanti di essi fossero ancora coperti da segreto (prima di concludere il mandato, Trump li aveva declassificati in massa) e, finora, nessun presidente è stato incriminato per aver trattenuto documenti. Biden ha fatto praticamente la stessa cosa, trattenendo documenti dalla fine del suo ultimo mandato di vicepresidente. Sarà incriminato anche lui? Assalto di Capitol Hill: la manifestazione indetta da Trump è stata, in sé, pacifica. Non è stato dimostrato alcun legame diretto fra l’ex presidente e i facinorosi, né tantomeno l’esistenza di un suo ordine. Occorre un processo alle intenzioni (come è stato fatto alla Commissione 6 gennaio) per dimostrare un’istigazione alla violenza della piazza. Infine, quanto al possibile processo sul voto presidenziale in Georgia, è legittimo chiedere nuovi riconteggi quando le elezioni si concludono con una sconfitta per poche migliaia di schede, in uno Stato che conta milioni di aventi diritto al voto.

Insomma, non è fuori luogo la difesa dell’ex presidente da parte dei Repubblicani che parlano di accanimento giudiziario. Sembra veramente di avere a che fare con una serie di processi che mirano a rovinare la sua seconda candidatura presidenziale, per le elezioni del 2024. Fa impressione anche solo pensare che, ad accusare il candidato di punta repubblicano, sia il governo federale, quando è in carica un presidente democratico, a sua volta pronto a ricandidarsi. Vivek Ramaswamy, uno degli aspiranti presidenti del Grand Old Party, denuncia una deriva da “repubblica delle banane”.

Banane o no, il clima delle prossime presidenziali è già inquinato a più di un anno di distanza dal loro inizio. Gli americani, sia nelle primarie che nel voto nazionale, saranno chiamati a compiere una scelta fra un presidente uscente, Biden, molto impopolare (tasso di gradimento fermo al 42,7%) e con molti scheletri nell’armadio (anche il figlio Hunter Biden è nei guai giudiziari) ed un ex presidente sotto processo, magari già condannato per uno delle decine dei capi di accusa.

Le incriminazioni hanno spinto gli elettori della destra a compattarsi. Attualmente, stando alla media dei sondaggi di Real Clear Politics, Trump non ha rivali nelle primarie: ha il 52,4% delle preferenze. Il più amato, dopo di lui, è il governatore della Florida, Ron DeSantis che, si votasse oggi, prenderebbe un magro 18%. Trump, a meno di colpi di scena, è destinato a diventare lui il candidato repubblicano per la Casa Bianca. Dovrebbe condurre la campagna fra un processo e l’altro. Il rischio è quello di una delegittimazione bipartisan delle istituzioni americane.