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INTERVISTA

Non c'è prova dell'utilità delle mascherine, anzi

Le mascherine sono efficaci nel ridurre la trasmissione del Covid all'aperto? "Gli studi dicono che non ci sono prove al riguardo, che a volte hanno effetti dannosi (soprattutto per gli infetti) e che sono sconsigliabili all'aperto". A spiegarlo alla Nuova Bussola è Alberto Donzelli, medico esperto di Sanità pubblica, già responsabile del Servizio Igiene di una USSL, Direttore Sanitario, già membro del Consiglio Superiore di Sanità.

Attualità 08_12_2020

Le recenti disposizioni nazionali, relative all’uso delle mascherine (cui si devono aggiungere quelle di alcune Regioni che obbligano sempre all’uso della mascherina fuori casa) sembrano poggiare su un assunto di fondo: le mascherine sono efficaci nel ridurre la trasmissione del SARS-COV-2 e hanno effetti dannosi del tutto trascurabili. Ma le cose stanno davvero così? Lo abbiamo chiesto ad un esperto di primo piano, il dott. Alberto Donzelli, medico esperto di Sanità pubblica, specialista in Igiene e Medicina Preventiva e in Scienza dell’Alimentazione, da 45 anni impegnato a tempo pieno nella Sanità pubblica, come Ufficiale Sanitario, Responsabile del Servizio Igiene di una USSL, Direttore Sanitario, Direttore Generale e Direttore Dipartimento Servizi Sanitari di base. Già membro del Consiglio Superiore di Sanità. Ha al suo attivo centinaia di pubblicazioni di carattere scientifico e di divulgazione scientifica.

Dottor Donzelli, cosa pensa di questo obbligo ormai universale di indossare la mascherina?
Ho sempre saputo che una misura di sanità pubblica, per essere resa universale e obbligatoria, dovrebbe rispettare almeno tre condizioni: che ci siano prove forti dei suoi benefici, che i benefici attesi sovrastino eventuali danni o inconvenienti e, in mancanza di queste due condizioni ma sotto la pressione di un’emergenza sanitaria (com’è oggi), che ci siano almeno ragionamenti logici a supporto degli effetti netti di questa misura. Queste tre condizioni, nel caso delle mascherine all’aperto, mancano nella maniera più assoluta.

Esistono prove scientifiche relativamente alla capacità delle mascherine di ridurre il rischio di contrarre virus respiratori?
Premesso che le ricerche scientifiche con validità più alta sono quelle randomizzate controllate, ci sono poche ricerche con questo disegno sulle mascherine a livello di comunità (cioè non in contesti sanitari o lavorativi, ma comunque soprattutto “al chiuso”) e quattro grandi revisioni che le hanno combinate hanno concluso tutte che non ci sono prove adeguate di un’efficacia delle mascherine.

Incominciamo.
C’è n’è una molto importante (vedi qui), effettuata prevalentemente all’aperto sui pellegrini presenti a La Mecca in condizioni di alto assembramento.E' stata pubblicata sulla rivista Plos One ed è di alta validità; inoltre, da sola, ha numeri superiori ai partecipanti di tutti gli altri studi randomizzati messi insieme (quasi 8000!). Ne avevo pubblicato un’anticipazione il 12 maggio sul repository della Rivista Epidemiologia e Prevenzione. A ciascun membro del gruppo di intervento, i ricercatori hanno consegnato 50 mascherine chirurgiche, fornendo istruzioni scritte più addestramento all’uso e chiedendo di indossarle il più possibile. Al gruppo di controllo non hanno dato mascherine né istruzioni, ma chi voleva poteva indossare maschere di stoffa portate da casa. L’ipotesi degli autori era che valesse la pena di far indossare le mascherine se si fosse avuta una riduzione almeno del 50% delle infezioni respiratorie. Invece il risultato è stato opposto alle attese dei ricercatori: c’è stata una tendenza all’aumento delle infezioni respiratorie nel gruppo che ha portato le mascherine.

Un aumento?
Sì. Ancora più informativo è stato un confronto ulteriore. Nel gruppo d’intervento, un grande sottogruppo di pellegrini ha indossato le maschere per tutti e quattro i giorni di osservazione (benché in genere solo per poche ore). Nel gruppo di controllo un ampio sottogruppo non ha indossato le proprie maschere nemmeno una volta. Confrontando questi due sottogruppi, il divario è stato ancora maggiore: un 30% di infezioni cliniche in più in chi ha indossato maschere, come miglior stima puntuale. L’intervallo di confidenza è stato da 1,0 a 1,8: ciò significa che, nella migliore delle ipotesi, le mascherine non hanno dato alcun beneficio netto; nella peggiore hanno aumentato le infezioni respiratorie dell'80%”.

Altre ricerche, altre conferme?
Il 20 novembre gli Annals of Internal Medicine hanno pubblicato la grande ricerca danese di alta validità DANMASK-19. Questa ricerca ha randomizzato 6.000 danesi; a circa la metà sono state consegnate 50 mascherine chirurgiche, con la richiesta di indossarle per un mese quando andavano fuori casa tra altre persone; l’altra metà era il gruppo di controllo (senza mascherine). I risultati in apparenza avrebbero favorito il gruppo maschere, sia pure in modo non significativo, e molti, a partire da direttori editoriali ed editorialisti sugli Annals, stanno già utilizzando DANMASK-19 per dire che le mascherine andrebbero indossate da tutti.

Invece, cosa dice effettivamente questa ricerca?
A guardar bene, emerge il contrario. Non solo per la banale osservazione che il “beneficio” delle maschere non è risultato significativo nell’insieme, né in alcun sottogruppo, come gli autori ammettono. Ma per molti altri motivi. Anzitutto, la ricerca, che non si è svolta soprattutto all’aperto (come invece è stato per il RCT a La Mecca), da un lato non ha rilevato una tendenza significativa alla diminuzione delle infezioni da Sars-CoV-2 nel gruppo mascherine “in comunità” (42 verso 53 infezioni rispettivamente nei gruppi maschere e no-maschere, ossia 1,8% verso 2,1%). Ma dall’altro lato, i familiari di chi le ha indossate nel mese di osservazione hanno mostrato una tendenza non significativa all’aumento di infezioni da Sars-CoV-2 (52 verso 39, cioè 2,2% verso 1,6%). Se si sommano le infezioni da Sars-CoV-2 di chi ha indossato maschere con quelle dei rispettivi familiari, troviamo che nel gruppo maschere con rispettivi familiari si sono avuti il 3,9 % di infezioni, mentre nel gruppo senza maschere con familiari il 3,7 %. Come si può constatare, e come sto scrivendo alla rivista, a livello di comunità non sembra che le mascherine siano state un buon affare, neppure sotto lo stretto profilo della limitazione delle infezioni da Sars-CoV-2.

La ricerca mostra anche che la mascherina ha avuto un incisivo effetto deterrente sulla normale attività fisica, con tutto quello che questo comporta.
Esatto. Nella ricerca danese il 40% del gruppo con maschere, nel mese in cui le ha indossate, ha ridotto la propria attività fisica e nessuno l’ha aumentata. Veniamo all’Italia: nel 2018 un Rapporto ISS - il 18/9, con firma del molto coerente Prof. Ricciardi, che lo presiedeva - ha quantificato in 88.200 i morti annui da insufficiente livello di attività fisica della popolazione. Non mi sembra il caso di far sì che il 40% della popolazione riduca ancor più l’attività fisica in associazione alle maschere; per non parlare del lockdown, durante il quale un campione di convenienza basato sui contapassi dei cellulari ha documentato una riduzione di quasi il 50% del numero di passi giornalieri effettuati.

Sulla base di queste conclusioni, quali indicazioni suggerirebbe?
Niente maschere di regola all’aperto, salvo eccezioni (ad es. se si conversa a un metro o meno per più di 15 minuti); nessuna mascherina per gli alunni seduti ai banchi di scuola, con circa un metro di distanza; niente a domicilio (salvo che in presenza di un positivo alla PCR-RT quando non è in una stanza da solo e interagisce con i familiari). In altri ambienti al chiuso, in presenza di altre persone, soprattutto in spazi affollati e poco aerati, una chiara raccomandazione di indossarle è ragionevole. L’importante è restarci lo stretto necessario, e non essere obbligati a tenerle molto a lungo. Il Governo danese ha stabilito l’uso di mascherina durante grandi raduni, oppure se una persona infetta deve lasciare la casa, oppure se ci si avvicina a persone con alto rischio di sviluppare in forma grave il COVID-19. Non chiedo a nessuno di violare le regole: finché sono in vigore, io per primo mi sforzo di rispettarle. Mi impegno però a cercare di far cambiare quelle che ritengo sbagliate.

Abbiamo parlato dei bambini. Per quanto riguarda invece gli anziani, com’è la situazione?
Varie ricerche mostrano che parte dei soggetti con broncopneumopatia ostruttiva non possono tollerare l’uso di mascherine e questo è un possibile motivo accettato di esenzione. Un importante RCT in crossover di specialisti tedeschi mostra in volontari sani un maggior lavoro cardiaco a compensazione delle limitazioni polmonari generate dalle maschere, anche da quelle chirurgiche. In pazienti con problemi di funzionalità cardiaca tale compensazione rischia di non essere possibile, con evidenti gravi conseguenze.

Ci possono essere dei problemi nell’indossare continuativamente la mascherina?
Sì e di diversa natura. Anzitutto, allorché le mascherine non vengano utilizzate correttamente. Al riguardo l’OMS (vedi qui) enumera alcuni danni/svantaggi potenziali dell’uso di maschere da parte del pubblico generale: possibile rischio aumentato di auto-contaminazione per manipolazione della maschera e successivo contatto con gli occhi; possibile auto-contaminazione, se non si cambiano maschere umide o sporche, con condizioni favorevoli per la moltiplicazione di microrganismi; problemi di gestione dei rifiuti; difficoltà di indossare le mascherine, soprattutto da parte di bambini, persone con malattie mentali o problemi cognitivi, con asma o problemi respiratori cronici, traumi facciali, e chi vive in ambienti caldi e umidi.

C’è anche il problema di reinalare parte dell’anidride carbonica espulsa. Al riguardo, molti media si sono precipitati per smentire.
La reinalazione dell’anidride carbonica espirata è un dato di fatto, anche se il suo significato clinico in soggetti sani resta da determinare. Un’analisi accurata dell’Agenzia per l’Ambiente e la Tutela del Clima della Provincia di Bolzano ha mostrato (vedi qui) che la reinalazione della CO2 espirata è dell’1% circa in soggetto seduto e senza maschera, intorno al 3% con visiera, del 9% circa con mascherina chirurgica, e superiore al 10% con FFP2 e del 12% con mascherina artigianale. In termini di qualità di vita, invece, l’artigianale è risultata preferita alla chirurgica. Con attività fisica leggera questi registrano un leggero aumento (salvo per chi non indossa una maschera), mentre potrebbero incrementare di più con attività fisica più intensa. Il problema maggiore, però, è un altro.

Quale?
La reinalazione nelle vie respiratorie di germi in moltiplicazione. A ogni espirazione non schermata una quota di germi è esalata, mentre con la mascherina parte di tale quota è inevitabilmente reinalata alla successiva inspirazione. E questo si verifica 15-20 volte ogni minuto. Le prove meccanicistiche della capacità delle mascherine di schermare goccioline potenzialmente infette non considerano l’effetto opposto che ho descritto, e che lo può controbilanciare.

Se si schermano le goccioline potenzialmente infette, significa che si trattengono anche i germi in proliferazione.
Esattamente. E con un problema di peggioramento delle condizioni cliniche degli infetti, se la resistenza all’espirazione, prodotta dalla maschera, spinge la carica microbica in profondità nei polmoni. Impedire la trasmissione interpersonale è la chiave per limitare l'epidemia, ma finora si è dato poco peso a quanto accade dopo che una trasmissione è avvenuta, quando l'immunità innata svolge un ruolo cruciale.

Provi a spiegarcelo in modo semplice.
Lo scopo principale della risposta immunitaria innata è prevenire subito la diffusione e il movimento in tutto il corpo di agenti patogeni estranei. L'efficacia dell'immunità innata dipende molto dalla carica virale cumulativa. Se le mascherine provocano un aumento della carica virale, allora andiamo incontro ad una sconfitta dell'immunità innata e a un aumento/aggravamento di infezioni. La reinalazione dei propri virus finisce così per creare un circolo vizioso: aumenta la carica cumulativa e questa può raggiungere gli alveoli polmonari, dove le difese dell’immunità innata sono carenti; lì il virus si può moltiplicare molto. Quando a una decina di giorni dall’infezione arrivano finalmente gli anticorpi delle difese adattative, trovando quantità elevatissime di antigene virale, scatenano una forte reazione con conseguente violenta risposta infiammatoria, e le pesanti conseguenze descritte nei casi di COVID-19 a evoluzione grave.

In effetti è quello che sta accadendo a molti. Eppure sui principali media non si fa altro che inneggiare alla mascherina perpetua...
E’ di fondamentale importanza approfondire criticamente il tema dell’uso di mascherine a livello di comunità, consultando le prove disponibili con mente aperta e chiedendo di consentire un dibattito scientifico ampio e senza preclusioni. È necessario evitare polarizzazioni ideologiche e la tentazione di screditare chi esprime posizioni critiche rispetto al mainstream, evitando il confronto. Bisogna ristabilire un clima costruttivo, in cui si possa discutere in modo equilibrato di questa e di altre politiche sanitarie pubbliche, che hanno ricadute sulla salute di tutti, ammettendo la possibilità di arrivare a modificarle, se e quando chiedono sacrifici in assenza di valido fondamento, e a maggior ragione se i loro effetti netti sulla salute possono essere persino sfavorevoli.