Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Bernadette a cura di Ermes Dovico
L'AVVENTURA DEL VIAGGIO - IL PURGATORIO/7

Nella Croce sul petto la verità della morte di Bonconte

Dante si trova a Campaldino dove partecipava come combattente a cavallo alla battaglia che vedeva contrapposti i guelfi, soprattutto fiorentini, ai ghibellini, in prevalenza aretini. Molti sono i morti in quel combattimento. Tra questi Bonconte da Montefeltro, la cui fine è avvolta da un alone di mistero.

Cultura 27_07_2014
La morte di Bonconte da Montefeltro

11 giugno 1289. Dante si trovava a Campaldino dove partecipava come combattente a cavallo alla battaglia che vedeva contrapposti i guelfi, soprattutto fiorentini, ai ghibellini, in prevalenza aretini. Dante «ebbe temenza molta et nella fine grandissima allegrezza per li varii casi di quella battaglia» (traduzione di Leonardo Bruni di un’epistola perduta di Dante). Molti sono i morti in quel combattimento. Tra questi Bonconte da Montefeltro, la cui fine è avvolta da un alone di mistero. Infatti, il suo corpo non fu mai ritrovato. Circolò allora la voce che il torrente Archiano, ingrossatosi per il temporale che scoppiò la sera, avesse trascinato il corpo fino all’Arno.  

Dante incontra Bonconte da Montefeltro nel Purgatorio dove è protagonista del canto V. I versi del poeta fiorentino raccontano quanto la storia non ci ha tramandato (come nel caso del principe Manfredi) e svelano i misteri di quella battaglia e, ancor più, degli ultimi istanti di vita di Bonconte. Urge qui ricordare la differenza tra la storia e la poesia così come la delinea Manzoni nella Lettera a Monsieur Chauvet. La storia consiste nella ricostruzione dei fatti e dei personaggi storici nella maniera più aderente possibile a quanto è accaduto nella realtà. La poesia documenta le cause segrete che hanno indotto un personaggio storico a comportarsi in un certo modo, spiegando quanto la storia non riesce a spiegare oppure creerà personaggi di pura invenzione, ma verosimili, che renderanno le vicende più accattivanti al lettore. L’opera letteraria si avvarrà, quindi, della commistione del vero poetico (verosimile) con il vero storico (storia).  

Veniamo allora finalmente ai cinquanta versi del canto V in cui Dante racconta la vicenda di Bonconte. Lungo la salita della montagna Dante incontra alcune anime purganti «peccatori infino a l’ultima ora», rappacificatisi con Dio negli ultimi istanti. Vedendo un’anima viva, gli chiedono se sappia riconoscere qualcuno di loro. Dante non riesce a richiamare alla memoria il viso di alcuno, ma si dispone ad ascoltare la loro storia per poterla, poi, tramandare in Terra. Tra questi purganti vi è Bonconte che apostrofa Dante con una captatio benevolentiae chiedendo al poeta di riportare sulla Terra quanto ha visto e udito relativamente alla sua vita. L’anima chiede altresì di pregare per lui giacché la moglie «Giovanna o altri non ha» di lui «cura». All’udire il nome di Bonconte Dante è mosso dal desiderio di sciogliere l’enigma della scomparsa del suo corpo (così come nel canto XXVI dell’Inferno voleva conoscere la fine della vita di Ulisse): «Qual forza o qual ventura/ ti traviò sì fuor di Campaldino, / che non si seppe mai tua sepoltura?».

Allora l’anima purgante racconta che nella battaglia del 1289 fu colpito alla gola, «fuggendo a piede e sanguinando il piano». Senza più facoltà di vista e udito, concluse i suoi ultimi istanti «nel nome di Maria». A questo punto si svolge una drammatica lotta tra l’angelo di Dio e il demone infernale accorso sul luogo della morte di Bonconte per portarsi l’anima all’Inferno. Scornato e beffato, il diavolo grida: «Tu ne porti di costui l’eterno/ per una lagrimetta che ‘l mi toglie;/ ma io farò de l’altro (ovvero il corpo) altro governo». Così, se l’anima è salva, il corpo viene, invece, trasportato dalla pioggia in un fiume lì vicino. Bonconte conclude: «Lo corpo mio gelato in su la foce/ trovò l’Archian rubesto, e quel sospinse/ ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce/ ch’i’ fe’ di me quando il dolor mi vinse;/ voltommi per le ripe e per lo fondo,/ poi di sua preda mi coperse e cinse». Bonconte aveva disegnato una croce sul proprio petto con le braccia, ma nessuno poté vederla. Tranne, si intende, Dio, che tutto vede e scruta nel profondo.