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Il LIBRO

Maria Valtorta, il Cielo in una stanza

Rimasta paralizzata nel 1934 dalla vita in giù, dopo un calvario di operazioni chirurgiche conseguenti a un attentato subito 14 anni prima, Maria Valtorta (1897-1961) passò a letto il resto dei suoi giorni terreni. Nel ’43 ebbe le prime esperienze mistiche, da cui nacquero Il poema dell’uomo-Dio e altri scritti. Il libro Il Cielo in una stanza, scritto da don Ernesto Zucchini, ne ripercorre la vita.

Ecclesia 29_04_2019

Ero studente universitario di fresca (e clamorosa, per chi mi conosceva) conversione quando mi misero in mano Il poema dell’uomo-Dio. La mia ignoranza di cose cattoliche era totale, perciò accettavo ogni suggerimento librario (a quel tempo non c’era internet, e la formazione del neofita doveva essere per forza cartacea). Si trattava di un’opera in ben dieci volumi di grande formato, ma risucchiavano: una volta cominciato non si poteva più smettere. Non era altro che il «film» del Vangelo. La mistica Maria Valtorta, morta nel 1961, aveva «visto» la vita di Gesù e della Madonna, e l’aveva scritta. Oggi quei volumi, ridenominati L’Evangelo come mi è stato rivelato, sono tradotti in trenta lingue e circolano da decenni.

Il presidente della Fondazione Maria Valtorta, don Ernesto Zucchini, uscirà a giugno con Il Cielo in una stanza. Vita di Maria Valtorta (Fede&Cultura, pp. 310, € 25), libro che ripercorre le vicende di questa donna e del lavoro a cui ha consacrato la sua vita. La prefazione è di Silvia Scaranari, firma della nostra Bussola.

Maria Valtorta nacque nel 1897 a Caserta da genitori lombardi. Il padre, maresciallo dell’esercito, era spesso trasferito per servizio. Lei studiò nelle migliori scuole milanesi e infine approdò a Viareggio, da cui non si mosse più. Figlia unica, di bell’aspetto, di migliore ingegno e ottima cultura, non poté coronare il suo sogno d’amore prima con uno e poi con un altro spasimante per via di una madre impossibile. La vera croce della sua vita non fu l’infermità che un brutto giorno la inchiodò per sempre in un letto, ma sua madre, tremenda virago che rese impossibile l’esistenza a suo marito e a lei. Non era raro, un tempo, che all’ultima delle figlie venisse impedito di accasarsi perché restasse in casa come badante della vecchiaia dei genitori. Solo che, in casa Valtorta, di figlie ce n’era solo una. Purtroppo, per l’interessata, le cose non andarono come sperato.

Un giorno del 1920, mentre Maria era a passeggio con un’amica, un comunista fanatico, al grido di «morte ai borghesi!», impugnando una spranga di ferro colpì con tutta la forza la schiena del primo «borghese» a tiro. Che era lei, Maria Valtorta. Seguì un calvario di operazioni chirurgiche che culminò, nel 1934, nella definitiva paralisi della poveretta dalla vita in giù. Si dice che Dio permette il male per cavarne un maggior bene. Nel suo caso furono le locuzioni e le visioni soprannaturali che cominciarono nel 1943.

La vita di Cristo sceneggiata aveva già due precedenti, le mistiche Maria di Agreda (venerabile, 1602-1665) e Anna Katharina Emmerich (beata, 1774-1824). L’opera della veggente spagnola che ci è pervenuta, tuttavia, è una riscrittura a memoria dopo che la prima versione era stata bruciata dieci anni prima per obbedire a un inopportuno consiglio del direttore spirituale. L’opera della tedesca è una trascrizione in buona lingua per mano del poeta Clemens Brentano, perché la Emmerich sapeva esprimersi solo in dialetto. L’unica «diretta» è, invece, quella della Valtorta, che vergava di suo pugno su quaderni quel che vedeva e sentiva. E pari pari è stata stampata. «Le pagine scritte da Maria Valtorta in totale sono 13.193, di cui 11.000 descrivono la vita pubblica di Gesù Cristo; qualcosa come 90 quaderni di scuola scritti di getto e a mano, senza revisione alcuna».

Seguirono peripezie, perché ci voleva l’imprimatur ecclesiastico. L’editore, all’epoca, credette di fare cosa egregia affidandone la prefazione a un’illustre personalità. Dello spiritismo. Cosa al tempo rinomata, ma non per la Chiesa. E nemmeno per la veggente, che avvertiva odore di zolfo quando sentiva di tavolini ballanti. La vicenda si trascinò fino al 1959, anno in cui l’allora Sant’Uffizio condannò l’opera valtortiana, quantunque Pio XII l’avesse letta e, pare, apprezzata. Va detto che nello stesso anno furono condannate anche le rivelazioni di suor Faustina Kowalska, che dovette attendere Giovanni Paolo II per essere riconosciuta come veggente autentica (e canonizzata). D’altronde, c’è da capirlo, il Sant’Uffizio, che in quei giorni doveva esaminare ben 295 casi di «veggenti», ciascuno provvisto di cospicuo codazzo di devoti. Per quanto riguarda la Valtorta, penso sia bene, in attesa di tempi migliori, continuare a seguire il consiglio (verbale) di Pio XII: «Pubblicatelo così, chi legge capirà».