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L'Italia agisce da sola e riapre l'ambasciata in Siria

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L'Italia riapre l'ambasciata in Siria, dopo più di dieci anni di interruzione delle relazioni. E lo fa nonostante il disinteresse di Ue e Nato, assieme a quelle nazioni europee che condividono i nostri stessi interessi.

Esteri 02_08_2024
Antonio Tajani

Le ultime settimane hanno offerto ampie conferme dello scarso interesse che Ue e Nato riservano alle crisi nel Mediterraneo e al cosiddetto Fianco Sud e il governo italiano sembra determinato ad assumere iniziative autonome e di concerto con altre nazioni europee che condividono la necessità di far fronte ai medesimi problemi.

Lo si evince anche dalla decisione di Roma di riaprire le relazioni con la Siria dopo la guerra civile che vide Occidente e parte del mondo arabo cessare di riconoscere il governo di Bashar Assad che è uscito poi vincitore dal conflitto contro l’insurrezione sostenuta da potenze occidentali, Turchia e da alcuni stati arabi.

«Non so quando si insedierà il nuovo ambasciatore per la Siria ma in tempi rapidi» ha detto il 26 luglio il ministro degli Esteri e vicepremier, Antonio Tajani, a margine di un convegno alla Camera. Una scelta «in linea con quello che abbiamo detto e con la lettera che abbiamo inviato a Borrell, noi e altri sette stati membri dell’Unione, per accendere i riflettori. (…) Hanno firmato la nostra lettera Austria, Grecia, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca, Cipro e Croazia».

Tajani ha aggiunto che la «Siria da tempo sembra essere stata relegata ai margini dell’agenda internazionale: questo sarebbe un errore strategico. In Siria ha origine la più grande crisi di profughi del mondo, avvertiamo inevitabilmente questi effetti ben oltre il Medio Oriente, anche in Italia e nel resto d’Europa: dobbiamo quindi aggiornare l’approccio dell’Unione Europea, adattarlo all’evolversi della situazione ed è per questo motivo che ho richiesto una maggiore attenzione dell’Unione nei confronti della Siria».

L’iniziativa guidata dal governo italiano è stata proposta alla Ue il 22 luglio al Consiglio Esteri a Bruxelles dove la questione non è stata approfondita e sembra essere stata accolta con freddezza. In realtà non sembra esistere una strategia europea nei confronti della Siria di Assad e l’iniziativa italiana giunge in un momento di possibili svolte nei difficili equilibri che hanno visto concludersi il conflitto civile con il successo delle forze governative e l’intesa strategica tra Russia e Turchia che hanno lasciato però numerose incognite.

Il governo siriano controlla oggi circa il 70% del territorio nazionale e deve fare i conti con difficili condizioni economiche in una nazione in gran parte devastata dalla lunga guerra e con diversi milioni di profughi ancora all’estero. I turchi continuano a controllare grazie a milizie siriane alleate di Ankara parte della regione settentrionale di Idlib che ospita anche molti miliziani jihadisti dei gruppi che aderirono allo Stato Islamico e ad al-Qaeda. Truppe turche occupano inoltre per una profondità di circa 30 chilometri quasi tutta la linea di confine tra le due nazioni con l’obiettivo di tenere le milizie curde lontane dal territorio turco, mentre circa un migliaio di militari statunitensi con le retrovie in Iraq e Giordania occupano, del tutto illegalmente in base al diritto internazionale, una porzione di territorio al confine con la Giordania (al-Tanf) e tre aree della regione orientale in prossimità di pozzi petroliferi. Con il pretesto di proteggerli dallo Stato Islamico, Washington vuole impedire che i pozzi tornino nelle mani del governo di Damasco che con i proventi dell’export petrolifero potrebbe finanziare la ricostruzione post bellica.

Oltre che dalla Ue è improbabile che l’iniziativa diplomatica annunciata da Tajani venga apprezzata dall’attuale amministrazione Usa o da Gran Bretagna e Francia (le tre nazioni hanno negli anni scorsi bombardato la Siria), oggi più che mai ostili al regime di Assad anche perché è un alleato di ferro della Russia. Il 29 luglio il ministero degli Esteri tedesco si è detto contrario alla normalizzazione dei rapporti con la Siria poiché i leader di Damasco «continuano a commettere ogni giorno crimini contro i diritti umani del proprio popolo». Valutazioni ipocrite tenuto conto che la Germania, come tante altri membri della Ue, ha relazioni con molte nazioni che violano i diritti umani.

Il regime che Bashar Assad ha ereditato dal padre Hafez (grande alleato dell’Unione Sovietica) era tale anche molto prima che iniziasse la guerra civile eppure l’11 marzo 2010 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferì al presidente siriano Bashar al-Assad l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone al merito della Repubblica Italiana: onorificenza poi ritirata nel 2012.

Il governo italiano sembra voler riaprire i rapporti diplomatici con Damasco indipendentemente dalle valutazioni della Ue o dei singoli partner: un segnale importante che potrebbe indicare il varo di una politica estera meno appiattita sui diktat di Ue e Nato e più aderente agli interessi nazionali con una maggiore attenzione al cosiddetto “Mediterraneo allargato”. Un approccio pragmatico già teorizzato con il Piano Mattei ma che impone necessariamente di tenere d’occhio anche le complesse sfide in Medio Oriente.

Basta osservare sulla mappa il gruppo di nazioni che sostiene l’iniziativa italiana per cogliere che si tratta di quelle che subirebbero direttamente l’impatto di nuovi flussi di migranti illegali siriani lungo la rotta terrestre dei Balcani e quelle marittime del Mediterraneo Orientale e Centrale.

Anche per questo l’iniziativa dell’Italia appare tempestiva e appropriata e si inserisce in una fase in cui Bashar Al Assad è appena stato a Mosca dove Vladimir Putin ha avviato una mediazione per riportare al dialogo Assad e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, i cui rapporti sono stati incrinati dal sostegno turco all’insurrezione attraverso la quale Ankara puntava ad estendere il suo controllo su ampi territori siriani.

Putin punta sulla convergenza di interessi diversi. Damasco ha bisogno di chiudere il conflitto anche nel nord per ristabilire il controllo su tutto il territorio nazionale, Ankara deve fronteggiare le crescenti proteste della popolazione turca per la presenza ormai da molti anni di 3,5 milioni di profughi di guerra siriani (altri 3 milioni vivono nella provincia siriana di Idlib oggi presidiata da militari turchi) e fare i conti con i costi di una prolungata occupazione militare dei territori settentrionali siriani. Problemi che generano malcontento e dissenso nei confronti di Erdogan.

Mosca, che aveva già ospitato nel 2022 il primo incontro tra ministri della Difesa e degli Esteri turchi e siriani, potrebbe mediare un accordo che preveda il ritiro delle truppe turche dal territorio siriano mentre Assad si impegnerebbe a garantire la sicurezza del confine turco, a concedere un’amnistia ai miliziani che getteranno le armi e ad accettare il ritorno dei profughi oggi presenti in Turchia.

La Russia favorirebbe il reinsediamento dei profughi con la costruzione di alloggi e infrastrutture sfruttando anche il supporto finanziario di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita che, dopo aver sostenuto a lungo i ribelli siriani, hanno da tempo ripreso le relazioni con Damasco riammessa nella Lega Araba.