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NORD AFRICA

Libia, due aree contese bloccano l'accordo tra russi e turchi

Turchia e Russia sempre più padrone della Libia, ma la città di Sirte e l'oasi di al-Jufra restano un ostacolo per portare a buon fine l'accordo per le «due Libie». Entrambe sono aree strategiche sia per il governo di Tripoli sia per le milizie di Haftar. E intanto l'Italia è ormai completamente estromessa da qualsiasi ruolo.

Esteri 22_06_2020

Dopo il ritiro delle forze dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar dalla Tripolitania, frutto dei successi militari conseguiti dalle forze turche che affiancano le milizie del Governo di accordo nazionale (GNA) del premier Fayez al-Sarraj, restano almeno consistenti ostacoli militari a impedire un’intesa pilotata da russi e turchi per chiudere o quanto meno congelare il conflitto libico.

Sul piano politico non sembrano esserci ostacoli insormontabili ad allargare ad alcuni esponenti della Cirenaica il Consiglio presidenziale di Tripoli riconosciuto dall’ONU per gestire in comune i proventi dell’export petrolifero, pur mantenendo ben separata la gestione delle “due Libie”.
Sul piano militare invece i punti di contrasto su cui potrebbe innescarsi una nuova escalation bellica sono legati al controllo di Sirte e al-Jufra. Aree in mano alle forze di Haftar e ai contractors russi della società militare privata Wagner (circa 2mila quelli presenti in Libia secondo fonti militari statunitensi) che il GNA vorrebbe espugnare prima di dare il via ai negoziati.

Mosca, che ha indotto Haftar a ritirarsi dalla Tripolitania per favorire un accordo con Ankara, ormai vero e proprio “azionista di maggioranza” del governo di Tripoli, ha schierato tra le basi aeree di Tobruk e Jufra 14 cacciabombardieri Mig 29 e almeno 4 Sukhoi Su-24, velivoli senza insegne (o forse con quelle dell’LNA) che sarebbero già intervenuti per colpire una colonna di miliziani di Misurata che insieme a mercenari siriani assoldati dai turchi si stavano avvicinando a Sirte.
Un raid che avrebbe provocato almeno 60 morti scoraggiando per ora la tentazione delle forze di Tripoli di proseguire l’avanzata verso Sirte (si sarebbero ritirate più a ovest nell’area di Abugrein) e, più a est, verso la cosiddetta “Mezzaluna petrolifera” del Golfo di Sirte.

La città di Sirte, che ha dato i natali a Muammar Gheddafi, viene rivendicata dal GNA per almeno due ragioni. Innanzitutto si trova geograficamente in Tripolitania e quindi nell’ottica di una spartizione del territorio sui base regionale, Tripoli la rivuole sotto il suo controllo dopo che le forze di Haftar l’avevano espugnata senza combattere nel gennaio scorso grazie al supporto delle tribù locali.
La seconda ragione è legata al fatto che nel 2015 lo Stato Islamico occupò la città e ne fece la sua roccaforte in Libia e l’anno successivo le milizie di Misurata, legate al GNA, l’hanno espugnata al prezzo di centinaia di caduti e con l’appoggio britannico (forze speciali) e statunitense (forze speciali, cacciabombardieri ed elicotteri dei Marines).

Il controllo della città ha una rilevanza strategica anche per l’LNA: da lì è possibile minacciare con nuove offensive Misurata ma soprattutto è possibile sigillare l’area dei terminal petroliferi della Mezzaluna. Inoltre nell’aeroporto di Ghardabiya, scalo misto civile e militare a 20 chilometri a sud della città, pare che i russi vogliano istituire una base aerea permanente simile a quella di Hmeymim (vicino a Latakya) in Siria.

L’istituzione di basi militari costituisce una parte rilevante delle intese tra Russia e Turchia in Libia e dimostra come entrambe le fazioni libiche abbiano perso sovranità negli ultimi mesi a vantaggio dei loro sponsor esterni.
Un aspetto particolarmente evidente a Tripoli. "Vorrei sottolineare il forte apprezzamento e la profonda gratitudine da parte nostra nei confronti della Turchia, esemplare nell'intraprendere misure concrete contro l'aggressione", ha affermato al-Serraj lodando il sostegno fornito dal governo di Ankara nella guerra e spalancando le porte alle società e alle compagnie petrolifere turche.

I turchi utilizzeranno il porto di Misurata come base navale e schiereranno velivoli da combattimento, cargo e droni ad al-Watya, grande base aerea non lontano dal confine tunisino espugnata ad Haftar nel maggio scorso e che verrà impiegata a quanto sembra anche dalle forze statunitensi dell’Africa Command.
Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha affermato il 20 giugno che turchi e americani collaboreranno in Libia poiché “Erdogan e Trump hanno visioni simili sulla Libia”, aggiungendo che la cooperazione bilaterale in merito al paese nordafricano sarà "importante per la stabilità regionale e per il futuro della Libia" e che Ankara e Washington "vorrebbero espandere ulteriormente i propri ambiti di cooperazione".
I russi invece puntano a utilizzare Ghardabya per i loro velivoli e il porto di Tobruk o della stessa Sirte come base navale.

L’oasi di al-Jufra, la seconda aerea contesa che impedisce lo sblocco dei negoziati di pace o, per meglio dire, di stabilizzazione, si trova nell’omonima grande oasi capoluogo dell’omonimo distretto della regione meridionale del Fezzan, che con Cirenaica e Tripolitania compongono la Libia.
Si tratta di una grande base aerea e logistica utilizzata come trampolino dalle forze di Haftar per la lunga e fallimentare offensiva durata 14 mesi contro Tripoli ed è oggi utilizzata dai “cacciabombardieri fantasma” russi che appoggiano le forze dell’LNA e i contractors della Wagner.
Il suo controllo assicura all’LNA la possibilità di riprendere in futuro l’offensiva verso il cuore della Tripolitania e garantirebbe al GNA l’opportunità di minacciare il Fezzan ancora in gran parte fedele ad Haftar.

Lo stallo sta rafforzando il rischio di una ripresa delle ostilità su vasta scala. Il capo di stato maggiore dell'LNA, il tenente generale Saqr al Jurushi, ha dichiarato che la regione ad ovest di Sirte “che si estende da Wadi Jarif ad al Washka a ovest è considerata zona di operazioni militari”: è una risposta al generale Ibrahim Bait al Mal, comandante della Sala operativa del GNA che aveva annunciato che la città di Sirte e la regione di al-Jufra verranno presto liberate, affermando che la "presenza dei droni e velivoli russi, tra cui i MiG e Sukhoi, ostacolano il progresso delle nostre forze".

A surriscaldare la situazione hanno contribuito le dichiarazioni del presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi che ha definito al-Jufra e Sirte “la linea rossa” il cui superamento “renderebbe legittimo” l’intervento militare egiziano.
Tripoli ha definito la minaccia "un atto ostile ed una dichiarazione di guerra" ma il Cairo considera “una minaccia” la presenza turca in Libia e, per far comprendere che fa sul serio, al-Sisi ha visitato sabato le truppe che ha recentemente concentrato al confine con l’ex colonia italiana.

In questo contesto emerge ancora più evidente la marginalizzazione dell’Italia. La visita ad Ankara di venerdì scorso del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è apparsa come il tentativo disperato di non farci estromettere del tutto da quella che un tempo era la nostra “quarta sponda”. Roma rischia ora di ricoprire il ruolo di “vassallo” dei turchi per sperare di conservare gli interessi dell’ENI in Tripolitania e scongiurare il rischio che Ankara incrementi i già consistenti flussi di immigrati clandestini rinnovando il ricatto all’Europa anche sulla rotta libica che punta direttamente su Lampedusa e la Sicilia.
"Noi non ce ne siamo accorti, ma in questi mesi ci siamo persi la Libia", ha detto ieri l'ex premier Matteo Renzi durante la presentazione del suo libro "La mossa del cavallo" a Forte dei Marmi. Poi ha aggiunto: "Tutti zitti. Siamo tutti a parlare di come si veste Tizio o Caio o della pochette del Presidente del Consiglio, ma nel frattempo abbiamo perso la Libia".
Affermazione difficile da confutare ma curiosa se pronunciata da un leader di quella maggioranza che sostiene proprio quel governo che in questi mesi ha perso la Libia.