Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Maria Maddalena a cura di Ermes Dovico
Cristiani Perseguitati
a cura di Anna Bono
Africa

Liberato il sacerdote rapito in Nigeria a giugno

Padre Afina è stato liberato grazie a una operazione di esercito e servizi segreti, mentre sono ancora prigionieri i tre seminaristi rapiti il 10 luglio

 

È tornato libero in Nigeria il 21 luglio, senza pagare un riscatto, padre Alphonsus Afina, che è stato liberato insieme a 10 donne durante un’operazione congiunta del Servizio di sicurezza federale e dell’esercito nigeriani. Padre Afina era stato rapito nella notte del 1° giugno mentre stava tornando a Maiduguri, la capitale dello stato di Borno, proveniente da Mubi, nello stato di Adamawa. Il convoglio con cui viaggiava è stato attaccato da uomini armati che lo hanno fermato poco dopo un posto di blocco militare lanciando una granata contro uno dei veicoli. Un passeggero è stato ucciso, tutti gli altri sono stati portati via. È successo all’altezza di Gwoza, una zona particolarmente insicura e pericolosa perché vi operano entrambi i gruppi jihadisti nigeriani: Boko Haram, affiliato ad al Qaeda, e Iswap, affiliato all’Isis di cui costituisce la provincia africana occidentale. Invece sono ancora nelle mani dei loro sequestratori i tre giovani seminaristi rapiti nella notte tra il 10 e l’11 luglio da un gruppo armato che ha fatto irruzione nel seminario diocesano minore “Immacolata Concezione” di Ivhianokpodi, della diocesi di Auchi, nello stato di Edo, uccidendo un agente di sicurezza, Christopher Aweneghieme. I malviventi da alcuni giorni hanno preso contatto con la diocesi e con i famigliari dei ragazzini chiedendo un riscatto. Ma, come ha spiegato il vescovo di Auchi, monsignor Gabriel Dunia, pagare un riscatto elevato è impossibile: “gli studenti e le loro famiglie vivono in estrema povertà. E la stessa diocesi di Auchi dipende da aiuti esterni, compresi quelli di Aiuto alla Chiesa che Soffre, per coprire i costi di base della formazione sacerdotale”. D’altra parte le autorità religiose sostengono di non essere in linea di massima disposte a pagare riscatti perché questo incoraggia le bande di sequestratori a continuare nella loro attività criminale.