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VITA

Le mie mamme, i miei figli e un bastone bianco...

Quante madri ho incontrato nella mia esperienza di Centro di Aiuto alla Vita! Sono grata a tutte quelle donne che hanno voluto narrarmi la loro storia spesso intrisa di fatica e di dolore. Ogni volta, ascoltando, mi sono tornate alla mente le emozioni vissute durante le mie gravidanze e, tutte, mi hanno coinvolta e commossa. Che gratitudine.

Editoriali 13_12_2014
Dalla parte della vita

Quante madri ho incontrato nella mia esperienza di Centro di Aiuto alla Vita! Sono grata a tutte quelle donne che hanno voluto narrarmi la loro storia spesso intrisa di fatica e di dolore. Ogni volta, ascoltando, mi sono tornate alla mente le emozioni vissute durante le mie gravidanze e, tutte, mi hanno coinvolta e commossa. Ho parlato di gratitudine, una delle cose più belle della vita. Perché Qualcuno dovrebbe averci creato e mantenuto in vita? Non ci siamo meritati nulla eppure abbiamo avuto tutto, il Bene, facilmente riconoscibile e anche il Male che venendo da Qualcuno che ci ama, è sicuramente ancora un bene pur sofferto e non capito.

Non esistono due divinità, il Bene e il Male, questa eresia ha diviso molti cristiani; esiste solo un Dio che è il Bene, l’Amore, la Luce, che permette che ci capiti anche il male con il suo senso, spesso non capito. Le madri lo sanno. Amandoli, riescono anche a fare del male ai loro figli che non ne capiranno lo scopo. Una sgridata che fa piangere o uno sculaccione che fa ancora più piangere, possono salvare la vita, ma i figli non lo sanno. Così, tra tante storie, ho scelto di raccontare la mia.

Da oggi ho un nuovo accompagnatore che spero tanto si trasformerà in un amico. Si chiama Pippo e sarà dovunque con me. É un bastone bianco, un bastone bianco per ciechi che per anni, sicuramente troppi, ho rifiutato con tutte le mie forze. Sono stata anch’io una giovane mamma; quando è nata mia figlia Cristiana, avevo ventitre anni. Quanto desiderata. Quanto attesa per poterla prendere in braccio. Quanto mi sono esercitata per poterla fare nascere nella modalità più corretta. Era proprio una bella bambina, Cristiana! Era anche brava perché mangiava e dormiva e, quando le andava di stare sveglia, modulava tutti i suoi versetti. Si sa, il tempo passa e come dicevo prima, al Bene si mescola il Male, tanto difficile da capire e da accettare.

Cristiana aveva quattro mesi e mezzo e i miei occhi, perfetti fino a quel momento, si ammalano di una patologia non oftalmica. «Sei tanto giovane, aspetta ad avere un altro figlio!». I metodi naturali, si sa, lasciano aperta la porta della vita e, così, dopo qualche mese mi ritrovai di nuovo incinta. Tutto era diventato nero e buio; i farmaci assunti avrebbero potuto nuocere al nuovo bambino. «In questi casi si abortisce», mi dicevano ginecologi esperti che, evidentemente, eseguivano le interruzioni senza legge e senza scrupoli. Questa idea, grazie al cielo, non mi è mai neppure passata per la testa, ma il momento era tanto difficile. La madre sa così bene che quello è suo figlio che pur non così piena di gioia come quando aspettavo Cristiana, appena sicura della gravidanza, andai a comperare una morbida lana verdina per confezionare un coprifasce.

È stata difficile quella gravidanza! Quasi da subito mi ricoverarono in ospedale per cure meno pesanti, ma la preoccupazione non si poteva contenere. La mia pancia aumentava e con lei la mia paura di un bambino malformato. Ho insegnato a Cesano Boscone per anni e quelle creature mi erano sempre presenti. Le provammo tutte; non si riusciva a scoprire la causa della mia “uveite” che si mangiava le membrane dei miei occhi. Decisero, a un certo punto, di farmi passare l’inverno in montagna.  «L’aria è più secca e pulita che a Milano», mi dicevano, «può essere che le recidive non si ripetano». Ce ne andammo a Ponte di Legno, Cristiana e io; lei guardava le galline e rideva e io le cantavo le canzoni di Sergio Endrigo, il mio cantautore preferito.

La nostra abitazione, l’ultima del paese, si raggiungeva per una stradina sempre ghiacciata; spingere quel passeggino diventava sempre più faticoso. «Come lo chiameremo il tuo fratellino (che sarebbe anche potuto essere una sorellina, visto che non esisteva l’ecografia)?». Lei era molto loquace e subito mi rispose Stefano, quello era il suo nome. La gravidanza andava avanti; io mi tenevo la mia paura nel cuore e non vedevo l’ora di poterlo toccare il mio bambino per controllare che fosse tutto intero. Arrivò anche la primavera e non resistevo più lontana da casa. Tornammo. Il mio pancione era enorme, arrivava per primo. «Il cortisone potrebbe anticipare i tempi», mi informavano, organizzati».

Portai Cristiana dalla mia mamma; stavo con lei tutto il giorno ma, la sera, lei restava là. La valigia per lui e per me, era prontissima, bastava acciuffare le maniglie. Una sera di domenica, l’aria era piacevolissamente tiepida, era il 26 maggio, portammo Cristiana alla fiera: pescammo un pesciolino rosso. Quella notte, però, qualcosa cominciò a mettersi in moto. «Sarà meglio», dissi a mio marito alla mattina, «andare a farsi controllare». Non sentivo particolarmente male, ma avevo partorito da poco e certi segnali li ricordavo bene.Mi visitarono e mi trattennero.

Dopo qualche ora Stefano era nato. «C’è tutto? Le manine?». Per grazia, sì, ed era bello grassottello: kg. 4,250. Ridevo al vederlo così pasciuto e allungai una mano per tentare di accarezzarlo; mi fece la pipì sulle dita. Non dimenticherò la frase del mio oculista che andò a vederlo prima di venire da me:«Sei stata brava! Ne valeva la pena!». Ho voluto raccontare delle mie maternità perché, forse per qualche tempo, altre storie, prenderanno il posto di queste di madri e di figli. Il tempo passa e spesso le cose diventano troppo difficili. Grazie a Riccardo e a tutti gli amici della Nuova Bussola Quotidiana e poi chissà… Che il Bambino che nascerà regali tanta serenità a tutti.