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La pillola che blocca l'aborto salva un'altra bimba

L'Abortion Pill Rescue, che contrasta gli effetti della Ru486, ha già aiutato numerose donne pentite di aver preso la pillola abortiva. Di queste, 500 hanno visto i loro figli nascere. «Gli abortisti mentono dicendo che non si può invertire la procedura», ha scritto il dottor Boles, che ha salvato così una bimba nata qualche settimana fa.

Vita e bioetica 01_12_2018

La procedura abortiva legata all’uso della Ru486 può essere invertita, in una buona parte dei casi e la tenera creatura che vedete nella foto, venuta alla luce dopo un parto cesareo, ne è la prova tangibile. In carne e ossa.

Il medico che lo ha fatto nascere è un pro life statunitense di nome Brent Boles, che il 12 novembre ha pubblicato un post su Facebook, allegandovi la foto della creaturina con il permesso della madre (impegnandosi al contempo a non divulgare dettagli superflui, così da tutelarne l’anonimato), per testimoniare insieme la bellezza della vita umana e far sapere che attraverso l’Abortion Pill Rescue, un metodo messo in pratica da una rete di professionisti sanitari, è possibile contrastare gli effetti della pillola abortiva. «Di recente ho fatto questo parto, e sto condividendo l’immagine con il permesso della paziente. Vedete, quando una donna prende la pillola abortiva, spesso si pente immediatamente. Questa paziente ha fatto esattamente così. I fornitori di aborti mentiranno e diranno alle persone che non c’è modo di invertirla [la procedura abortiva, ndr]. Questo non è vero», ha scritto Boles sulla sua bacheca, aggiungendo subito dopo: «Questa paziente ha trovato abortionpillreversal.com e io sono nel gruppo dei medici pro vita che sono disponibili a cercare di invertire il veleno che è stato dato loro. A volte funziona e altre volte no, ma - come potete vedere - ne vale la pena».

Il post di Boles è diventato in breve virale e nel momento in cui scriviamo conta ben 6.452 condivisioni, oltre a essere stato rilanciato da organi di informazione pro vita come Life News e Live Action. Nel caso in questione la madre aveva già assunto la prima delle due pillole previste per l’aborto chimico, ossia il mifepristone, un anti-progestinico contenuto nella Ru486 che ha lo scopo di inibire lo sviluppo dell’embrione bloccando appunto i recettori del progesterone (l’ormone che favorisce la gravidanza). Al mifepristone segue, entro 72 ore, l’assunzione di una prostaglandina (spesso il misoprostolo) per espellere dal grembo materno il corpicino del bimbo. Ma “Brianna”, il nome è di fantasia, si è pentita subito dopo aver assunto la prima pillola e lo stesso giorno - dopo aver visitato il sito di Abortion Pill Rescue, che ha un centralino operante 24 ore su 24 e sette giorni su sette - ha potuto parlare con il dottor Boles, il quale si è attivato immediatamente per aiutarla.

Il protocollo medico usato da questo network ha fatto venire alla luce finora oltre 500 bambini e, a inizio autunno, un altro centinaio di bambini erano in attesa di uscire dal grembo materno per accrescere il numero di queste piccole grandi storie di trionfo della vita. Il medico George Delgado, fondatore di Abortion Pill Rescue (Apr), ha pubblicato nei primi mesi di quest’anno uno studio con altri sei specialisti, in cui si spiega che la procedura abortiva a base di mifepristone è stata bloccata e invertita con successo nel 64% dei casi attraverso la somministrazione intramuscolare di progesterone e nel 68% dei casi somministrandolo per via orale, concludendo che l’uso a tale scopo del progesterone si è rivelato «sicuro ed efficace».

Il consiglio dei medici della rete è chiaramente quello di cercare aiuto entro 24 o al più 72 ore dall’assunzione della prima pillola, così da poter intervenire il prima possibile, ma esortano le donne a non perdere le speranze anche se sono passati tre giorni. Sul sito di Apr si legge infatti che la procedura abortiva può fallire nel 5-10% dei casi (vedi per esempio la storia a lieto fine di “Lisa” e del suo bambino, che abbiamo già raccontato sulla NuovaBQ), dunque è sempre bene monitorare la situazione, anche perché la Ru486 - che il grande genetista e servo di Dio Jerome Lejeune definiva «pesticida umano» - è pericolosa per le stesse madri.

La rete di Apr include oggi 450 professionisti sanitari nei soli Stati Uniti ed è presente attraverso dei medici affiliati in altri 11 Paesi, di cui cinque europei: Australia, Canada, Irlanda, Messico, Nigeria, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Slovacchia, Spagna, Sudafrica, Ucraina. L’Italia, come si può vedere, non è presente nella lista e non ci risulta che esista magari una rete alternativa capace di informare e assistere in concreto quelle madri che cambiano idea dopo aver assunto la Ru486. Ce ne sarebbe grande bisogno perché sempre più donne la usano, come si può constatare leggendo l’ultima relazione del ministero della Salute sull’attuazione della legge 194: si è passati dai 132 aborti con la Ru486 del 2005 ai 13.255 del 2016.

Della questione si è già occupato il quotidiano online Libertà e Persona con un approfondimento pubblicato a novembre 2017, dove l’autrice Lorenza Perfori ha avuto conferma da Sara Littlefield, direttore esecutivo di Apr, che «non abbiamo ancora in Italia alcun medico affiliato»; la stessa Littlefield ha spiegato che «nel 2013 abbiamo aiutato una donna italiana con il trattamento di inversione» dell’aborto chimico. Insomma, rilanciamo l’appello della Perfori affinché dei medici di buona volontà si impegnino in quest’opera, così da rendere possibile altri piccoli miracoli in carne e ossa, come quello nato da questa “rinata” mamma americana.