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L'APERITIVO

La forza delle parrocchie italiane

La Chiesa italiana ha resistito meglio di altre alla secolarizzazione grazie alla solidità della sua rete di parrocchie. Che devono guardarsi dal rischio di passare per agenzie di servizi sociali...

A TAVOLA 11_01_2011


Benedetto XVI lo ha ricordato varie volte, la Chiesa italiana gli dà conforto. A differenza di ciò che avviene in molte altre Chiese occidentali, la Conferenza episcopale italiana è sostanzialmente fedele e compatta nell’obbedienza al Papa, al contrario di quanto accade in altri Paesi, ad esempio in Francia. Ne parlavo di recente con un vescovo francese, il quale mi spiegava che avrebbe voluto promuovere la causa di beatificazione di una persona della sua diocesi, ma aveva dovuto rinunciare perché gli mancano possibilità, uomini e strutture.

Anche il nuovo responsabile del Bureau Medicale di Lourdes mi confermava che in molti casi se non vengono portati avanti in sede diocesana i presunti miracoli ciò accade non soltanto per scetticismo ma perché manca la possibilità concreta di istruirli adeguatamente. E tra vent’anni la situazione sarà ancora peggiore, tanto che si prevede che le diocesi possano accorparsi: non si tratta soltanto di problemi economici (in Francia la Chiesa, a motivo della legge di separazione del 1905 non riceve sussidi e contributi dallo Stato ), si tratta invece della crisi delle vocazioni.

Ho accennato a questo anche in un incontro con il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei: la maggiore tenuta della Chiesa italiana ha un segreto che si chiama parrocchia, una rete che è eredità del Concilio di Trento e dell’opera riformatrice di san Carlo Borromeo. Posso fare l’elogio della parrocchia senza essere sospettato di partigianeria: da giovane non sapevo neanche quale fosse la mia parrocchia, e anche ora, pur stimando il mio parroco e il suo lavoro, frequento davvero poco la vita parrocchiale.

Mi auguro però davvero che questa istituzione importante continui a esistere, è una chiesa in miniatura, presidia un territorio, non perderà mai la sua utilità. C’è però un rischio che io vedo all’orizzonte. Quando sento amministratori agnostici e atei che difendono la parrocchia e la elogiano per il suo contributo sociale, per le sue attività caritative o sportive, non riesco a entusiasmarmi. Perché ciò che di peculiare ha la parrocchia è l’annuncio del Vangelo, l’amministrazione dei sacramenti, l’aiuto alle persone che non lo sono a diventare cristiane, l’aiuto alle persone che lo sono a continuare a esserlo sempre meglio.

Lo stesso Codice di diritto canonico insegna che «lex suprema Ecclesiae salus animarum est», la legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime. Ecco perché dico: ben vengano le strutture di animazione e sportive. Ben vengano le attività aggregative e sociali. Ma attenzione a non ridurre la parrocchia in un’agenzia di servizi sociali. È troppo preziosa. E dal parrocco vogliamo soprattutto i sacramenti, non i corsi di educazione civica.

(testo raccolto dalla redazione e non rivisto dall’autore)