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LA FEDE E IL SISMA

La felicità della preghiera nonostante il dolore

Le immagini della preghiera a Norcia, di fronte alle macerie della basilica di San Benedetto hanno provocato le inevitabili polemiche. Allora Dio serve solo nei momenti di dolore? Il cristianesimo si nutre della disgrazia? No. E' vero il contrario. Il cristianesimo è una luce nel buio. Fermo restando che il buio c'è. 

Cultura 05_11_2016
La preghiera a Norcia

Il disastro provocato dal terremoto che non dà tregua all’Italia centrale, porta con sé una miriade di immagini che rimarranno per un pezzo nella nostra memoria. La gran parte sono ovviamente immagini di dolore e di distruzione, ma proprio per questo ne risaltano alcune di segno opposto. Tra esse ha e avrà un posto del tutto speciale l’immagine della piazza di Norcia in cui alcuni monaci, suore e persone comuni si inginocchiano e pregano. 

Come era prevedibile questa immagine ha commosso tanti, ma ha anche suscitato l’ironia o addirittura l’indignazione di qualcuno, e purtroppo non solo da parte di chi è nel campo avverso. Non poteva mancare, infatti, qualche ben pensante di casa nostra che dimostrasse la propria contrarietà a questa e ad altre iniziative di preghiera (in realtà ancora troppo poche!) in occasione di un evento tragico. E lo hanno fatto andando a riesumare, come periodicamente accade, il solito discorso sul pericolo del ‘Dio-tappabuchi’.

Per chi non fosse aggiornato su cosa sia questo mantra degli anni Settanta, è presto detto: ci sarebbe un certo modo di intendere la religione secondo la quale Dio sarebbe il ‘fattore’ che entra in gioco solo quando l’uomo si trova alle prese con gli aspetti problematici della vita; per cui la fede non servirebbe tanto per impegnarsi a vivere, quanto per sapere come soffrire e morire, servirebbe non a dare un senso alla vita, ma a dare conforto nel dolore. Di più: la religione non può far altro che porre continuamente in evidenza gli aspetti più dolorosi dell’esistenza, perché solo così può mantenere vivo il bisogno religioso e quindi assicurare la propria sopravvivenza, secondo l’accusa di Feuerbach: “Il cristianesimo (ma si potrebbe dire di tutte le religioni) è come le lucciole: ha bisogno del buio per risplendere”.

In realtà il senso ultimo della religione, di tutte le tradizioni religiose è esattamente il contrario: fornire all’uomo la ricetta per la felicità, l’armonia con Dio, con se stessi e con gli altri. Questo insegnano le filosofie sapienziali dell’induismo e del taoismo, questo si propongono Budda e Confucio. E se questo vale per le religioni e le filosofie che sono creazioni umane, molto di più e meglio questo si realizza nell’unica soprannaturale rivelazione. Il Signore Gesù compendia questa finalità nelle meravigliose parole: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e così la vostra gioia sia piena” (cf Gv 15, 11). Dunque nessuna mania sadica, nessun ‘dolorismo’ fine a se stesso. 

È la realtà dei fatti che anche oggi, come sempre, sperimentiamo, che ci chiede questo! Chi vuole guidare l’uomo nella via alla felicità non può non sapere che ne è parte integrante la liberazione dalla paura e dal non senso, derivanti dal dolore e dalla morte. Sarebbe impraticabile e illusorio pretendere di dare un senso alla vita senza aver dato prima un senso al dramma supremo che condiziona la vita: cioè l’esperienza del dolore e la prospettiva della morte. La religione non inventa ad arte un dramma, ma lo constata; non inventa il buio per far risplendere la propria luce, ma prende atto e tenta di offrire una soluzione al buio che c’è, che c’è per tutti, innegabile e inesorabile. 

Anzi è proprio in questo che la religione manifesta la sua unicità, che esalta e non avvilisce il primato di Dio. Infatti proporre una via che conduce alla religione passando dal crogiuolo dei problemi esistenziali non è il segno della debolezza di Dio, ma piuttosto della sua forza: riguardo a questi temi fondamentali, i più vitali per ogni essere umano, il razionalismo e le ideologie rimangono muti, ed è la religione soltanto ad offrire una soluzione credibile. Quando il variopinto teatro di questo mondo diviene incolore e balzano in primo piano le cose serie, ecco che l’ipotesi “Dio” si ripropone in tutta la sua urgenza.

Sarebbe paradossale che siano proprio i credenti ad incoraggiare la censura con cui il mondo contemporaneo cerca di rimuovere le grandi domande e il bisogno di preghiera che affiorano in queste circostanze.