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DEONTOLOGIA

Il problema non è la D'Urso, ma il giornalismo spettacolo

Barbara D'Urso nel mirino dell'Ordine nazionale dei giornalisti: non ha la tessera di giornalista, ma svolge la professione, a partire da tutte le sue interviste. E allora non risponde della sua continua strumentalizzazione dei sentimenti. Ma quanti giornalisti tesserati usano i suoi stessi metodi?

Politica 29_11_2014
Barbara D'Urso

La polemica innescata dalle denunce dell'Ordine nazionale dei giornalisti nei confronti di Barbara D'Urso per esercizio abusivo di professione rischia di far perdere di vista la priorità del mondo dell'informazione, che dev'essere il rispetto della persona.

La conduttrice di Domenica live (Canale 5) utilizza con sistematicità lo strumento, tipicamente ma non esclusivamente giornalistico, dell'intervista per far parlare protagonisti della vita pubblica e della cronaca quotidiana, ma non è iscritta all'Ordine dei giornalisti. In verità lo era, ma poi ha deciso di restituire la tessera professionale per essere libera di fare pubblicità, attività vietata dalla deontologia giornalistica. Secondo i vertici dell'Ordine nazionale dei giornalisti, la D'Urso, dietro il paravento dell'etichetta di "conduttrice di trasmissioni di intrattenimento", svolgerebbe un'attività in tutto e per tutto qualificabile come giornalistica e quindi vietata a chi non sia iscritto all'albo professionale. L'Ordine dei giornalisti ha altresì preannunciato lettere di diffida ai direttori delle testate giornalistiche radiotelevisive che, a differenza della D'Urso, risultano regolarmente iscritti all'albo professionale e quindi sono tenuti a rispettare i principi scolpiti nelle carte deontologiche che i giornalisti si sono dati per rendere l'esercizio del diritto di cronaca credibile e rispettoso dei diritti della personalità altrui. Questi direttori, a detta dei vertici dell'Ordine, chiuderebbero un occhio, se non due, su questi esempi di cattiva informazione, di fatto avallandoli.

Qualcuno fa rilevare che non è solo la D'Urso a vestire i panni della giornalista senza esserlo e che il confine tra libera manifestazione del pensiero e effettivo esercizio della professione giornalistica è, in verità, molto labile, soprattutto da quando la Rete ha diluito i contenuti informativi prodotti da giornalisti in un mare magnum indistinto di informazioni non vagliate e non filtrate attraverso i canoni del buon giornalismo. Ma la questione sollevata dall'Ordine dei giornalisti è sacrosanta e riguarda in primo luogo i giornalisti stessi, che si sono impegnati a rispettare quelle norme deontologiche violate dalla D'Urso, che però non ne risponde sul piano disciplinare, in quanto non iscritta all'albo, ma che risultano trascurate fin troppo anche da tantissimi giornalisti non sanzionati in alcun modo dall'Ordine.

Non sarebbe il caso di prendere provvedimenti disciplinari nei riguardi di quei cronisti che si accaniscono con il microfono per estorcere confidenze, rubare notizie, platealizzare emozioni private solo per esigenze di audience? E' vero, la D'Urso (ma non è la sola) scava nella vita privata dei famigliari delle vittime, teatralizzando il dolore e speculando sulla sofferenza altrui, accende improvvidi riflettori sulla vita intima delle persone collegate ai protagonisti di vicende tragiche come quella di Elena Ceste, solo per citare una delle ultime in ordine di tempo. Ma che dire dei tanti giornalisti che esibiscono la tessera professionale e poi rivolgono domande imbarazzanti ai protagonisti dei fatti di cronaca, anche nera? Emblematiche in proposito quelle rivolte ai famigliari di vittime di omicidi:"Cosa prova per gli assassini di sua figlia? Li perdonerebbe?". Anziché raccontare i fatti, molti giornalisti violano la deontologia travestendosi da psicologi, da pubblici ministeri, spacciano per fatti oggettivi i loro personali e spesso superficiali convincimenti, appalesano le loro emozioni e le loro passioni ideologiche e politiche, pretendendo di persuadere l'opinione pubblica, eppure non vengono sanzionati.

Il codice sui processi mediatici (21 maggio 2009) è stato scritto e firmato dall'Ordine dei giornalisti, dalla Federazione nazionale della stampa italiana, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e da tutte le emittenti radiotelevisive, eppure viene disatteso da giornalisti e non giornalisti. Ecco perche' l'Ordine dei giornalisti fa bene a richiamare questi principi deontologici e a ricordare che anche le testate radiotelevisive potrebbero e dovrebbero essere sanzionate qualora a commettere le violazioni siano figure non giornalistiche.

E' proprio di questi giorni la presentazione di una proposta di legge a firma di Pino Pisicchio (capogruppo del Gruppo Misto alla Camera), per tentare di riformare l'Ordine dei giornalisti e l'accesso alla professione. Questi i punti salienti: obbligo di laurea triennale e di frequenza di master universitario sostitutivo del praticantato; drastica riduzione del numero di consiglieri nazionali (da 150 a 70) con prevalenza dei giornalisti professionisti e ridimensionamento del peso specifico dei giornalisti pubblicisti in seno agli organismi di categoria; revisione dei processi di formazione obbligatoria con focalizzazione sui temi deontologici; istituzione del Giurì per la correttezza dell'informazione, che riduca il numero di cause, querele e liti temerarie e risolva tempestivamente casi di violazioni deontologiche o casi come quello della D'Urso, tanto per intenderci, attraverso richiami espliciti e perentori ai direttori giornalisti delle testate; colloquio obbligatorio anche per diventare giornalisti pubblicisti. Un testo analogo di riforma della professione giornalistica è stato bocciato al Senato durante la scorsa legislatura, dopo essere stato approvato alla Camera. Vedremo se la sensibilità delle decine di giornalisti che oggi siedono sugli scranni parlamentari prevarrà sull'indifferenza di larga parte della classe politica verso il rispetto delle regole della buona informazione.