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VERSO GLI ESAMI DI STATO / 4

Il possibile ritorno di Montale a cent’anni da Ossi di seppia

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Il 15 giugno, appena tre giorni prima dello scritto di Italiano, ricorrono cent’anni dalla pubblicazione della prima raccolta di Montale che segnò il ritorno all’ordine nella poesia del Novecento. Il Ministero riproporrà il poeta ligure?

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Cultura 27_05_2025

Cent’anni fa venne pubblicata la raccolta Ossi di seppia. Un anno di grande rilevanza anche dal punto di vista storico, perché Giovanni Gentile scrisse il Manifesto degli intellettuali italiani fascisti. Il filosofo Benedetto Croce rispose con il Manifesto degli intellettuali italiani antifascisti sottoscritto da tanti intellettuali tra cui Eugenio Montale.

La prima raccolta di Montale segnò il ritorno all’ordine dopo l’imperversare delle Avanguardie storiche e la tragedia della Grande guerra. Non mi stupirebbe, quindi, se il Ministero volesse celebrare la circostanza del centesimo anniversario della pubblicazione con la proposta di un testo di Montale alla Prima prova di Esame.

Certo, il poeta ligure è già stato proposto più volte nel passato. Se però teniamo conto che Ungaretti è uscito cinque volte (l’ultima l’anno scorso), il Ministero potrebbe proporre un altro gigante del Novecento sottoposto già tre volte, ancor più se teniamo conto del fatto che l’ultima risale al 2012.

Il 15 giugno, appena tre giorni prima dello scritto di Italiano, ricorreranno cent’anni esatti dalla pubblicazione di Ossi di seppia. Collocata in apertura si trova la poesia I limoni. Dal forte valore programmatico, sia a livello poetico che esistenziale, la poesia contrappone ai «poeti laureati» che parlano soltanto di piante dai nomi altisonanti, ovvero affrontano nei loro versi solo argomenti roboanti e alti, le piante dei limoni che rappresentano la semplicità e il desiderio di cogliere la verità, di andare in profondità per raggiungere l’essenziale.

Tra i silenzi di Monterosso come per miracolo tacciono le «divertite passioni», quel divertissement di cui scrive Blaise Pascal che allontana dalla strada di ricerca della verità, che distrae e fa dimenticare le domande più vere sull’esistenza. L’impressione di aver incontrato la verità dura poco, però, perché il tempo trascorre rapidamente. Ben presto il poeta si ritrova in città, dove è difficile scorgere l’azzurro del cielo e il giallo dei limoni è sparito. «Un imprevisto/ è la sola speranza» scrive Montale nella poesia Prima del viaggio. Anche ne I limoni il poeta scorge di nuovo i limoni («le trombe d’oro della solarità») all’improvviso, per un imprevisto, da un malchiuso portone. Più tardi, anche lì, in città, lontano da quel mare di Monterosso dove il poeta aveva colto la verità, riaccade il miracolo di cogliere il senso positivo della realtà. Nella vita ordinaria è accaduto un fatto imprevisto che rende straordinaria l’esistenza. E allora ogni istante riprende luce e colore.

Il Montale della prima raccolta, che vuole andare all’essenzialità e ricerca il varco per cogliere la verità, è più propenso a riconoscere il male di vivere: la sofferenza, il dolore, la situazione di scacco in cui si trova l’uomo tra le fatiche della vita. Il male di vivere prende la forma del cavallo stramazzato, della foglia accartocciata, del fiume riarso. L’unica possibilità di bene, per un Montale che non ha ancora trent’anni, è ricercare il distacco dal mondo, l’indifferenza di chi non si coinvolge con le circostanze della vita, se ne sta in alto senza prendere parte alle lotte dell’esistenza come il falco alto levato, la statua nel caldo del pomeriggio estivo, la nuvola. Queste sono le immagini in Spesso il male di vivere ho incontrato. Più che riuscire a testimoniare a chi appartiene e che cosa desidera dalla vita, il Montale degli Ossi di seppia sa indicare a chi non appartiene, ciò che non vuole (Non chiederci la parola).

La poesia è sempre specchio della parabola esistenziale di un autore. Il Montale più maturo sperimenta le occasioni della vita. Nella seconda raccolta, intitolata per l’appunto Le occasioni (1939), la circostanza privilegiata che permette di cogliere la verità è quasi sempre l’incontro con la donna, possibilità di rompere la solitudine, il “tu” privilegiato, l’interlocutrice con una valenza salvifica nell’insensatezza totale dell’esistenza. Irma Brandeis, l’ebrea americana compagna di Montale fino al 1938, che abbandona l’Italia per trasferirsi negli Stati Uniti quando l’antisemitismo in Europa si inasprisce, viene cantata con il nome di Clizia, il girasole. Montale s’immagina che la donna torni a visitarlo attraversando l’atmosfera nelle alte sfere, al freddo, arrivando con le sue ali ghiacciate in Ti libero la fronte dai ghiaccioli. Chiara è l’influenza del Dolce Stil Novo e su tutti di Dante.

Nell’esperienza con Drusilla Tanzi, Montale comprese meglio a chi apparteneva. Aveva conosciuto la donna nel 1927 a Firenze e aveva iniziato a convivere con lei nel 1939. La sposò nel 1962, l’anno prima che lei morisse in seguito a una caduta dalle scale. Montale le dedicò le poesie delle sezioni Xenia I e II («doni votivi per l’ospite») della quarta raccolta Satura (1971). La chiama spesso con tono affettuoso Mosca, per i grandi occhiali da miope che portava. In Xenia I, 14: «Dicono che la mia/ sia una poesia d’inappartenenza./ Ma s’era tua era di qualcuno:/ di te che non sei più forma, ma essenza./ Dicono che la poesia al suo culmine/ magnifica il Tutto in fuga,/ negano che la testuggine/ sia più veloce del fulmine./ Tu sola sapevi che il moto non è diverso dalla stasi,/ che il vuoto è il pieno e il sereno è la più diffusa delle nubi» (sottoponiamo un’analisi di testo come esercitazione per gli studenti).

La vera poesia rimanda sempre all’Assoluto, a quel «Tutto in fuga» che l’arte può solo suggerire. Il dolore e la sofferenza fanno parte della gioia, la pienezza può riempire il vuoto nell’anima solo quando noi ne abbiamo coscienza e mendichiamo. Così si può viaggiare anche se bendati e immobili in un letto.

Sempre più chiara e concreta è la coscienza della funzione salvifica della presenza della donna, divenuta moglie. In Xenia II, 5 (Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale) il poeta descrive la vita come un viaggio: la discesa delle scale (immaginiamoci, ad esempio, le scale ripide e strette di una casa a Monterosso) rappresenta il trascorrere del tempo che accompagna lentamente, ma inesorabilmente al Destino che attende tutti noi, quella morte che spalanca all’altra vita. La poesia è una catabasi moderna, una discesa agli Inferi realizzata con la compagnia della moglie. Ora, senza di lei, il viaggio del poeta è solitario, senza più quel sostegno che, oltre che una compagnia costante, rappresentava anche un giudizio autorevole per il poeta. Una donna non equivale all’altra. Non conta tanto essere in due, ma poter camminare in due fidandosi del giudizio altrui, condividendo il vissuto e aiutandosi vicendevolmente nella strada verso il Destino.

In Xenia I, 5  (Non ho mai capito se io fossi) emerge questo affettuoso spirito di appartenenza tra i due sposi, un’appartenenza che è quasi dipendenza reciproca quasi come quella del cane incimurrito nei confronti del padrone. Si nota, poi, da parte del poeta, anche quell’indefettibile fiducia nella moglie, capace di leggere nella profondità del cuore delle persone, nonostante la sua cattiva vista. Montale è convinto che questa compagnia durerà per l’eternità. Con quale tenerezza il poeta si rivolge a lei dicendo (Xenia I, 4): «Avevamo studiato per l’aldilà/un fischio, un segno di riconoscimento./Mi provo a modularlo nella speranza/che tutti siamo già morti senza saperlo». Oppure: «E il Paradiso? Esiste un Paradiso?»/ «Credo di sì, signora, ma i vini dolci/ Non li vuole più nessuno». Alla fine del viaggio ecco la scoperta tanto attesa e sospirata per tutta la vita: il Paradiso e l’eternità.

Una bella proposta d’analisi potrebbe essere la poesia Piove (si veda questa seconda esercitazione) appartenente alla sezione Satura II in cui Montale esprime il proprio giudizio sul suo tempo e sulla cultura, citando anche Ossi di seppia e parodiando La pioggia nel pineto di Gabriele D’Annunzio. Sarebbe un bel modo per celebrare i cent’anni della raccolta che segna il ritorno all’ordine nella poesia del Novecento dopo la ribellione e l’eversione delle avanguardie storiche che lasceranno il segno in tutto il secolo scorso.



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