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LEZIONE USA

Il caso Sanger dimostra che l'aborto è razzismo

Nel quadro della campagna di Black Lives Matter, il nome di Margaret Sanger, fondatrice di Planned Parenthood, è stato rimosso da una clinica dell'associazione, per la di lei adesione alle Società di Eugenetica. Ma se si volesse essere coerenti bisognerebbe proprio chiudere tutte le cliniche di Planned Parenthood...

Editoriali 27_07_2020 English Español
Margaret Sanger

Tra le vittime eccellenti dei Black Lives Matter ce ne è stata una, la scorsa settimana, passata un po’ sotto silenzio: Margaret Sanger (1879-1966), il cui nome è stato rimosso da una clinica abortista di Planned Parenthood a Manhattan. Il fatto è che la Sanger è la fondatrice proprio di Planned Parenthood, il cui nome all’origine era American Birth Control League (Lega americana per il controllo delle nascite, fondata nel 1921 e successivamente rinominata Planned Parenthood Federation of America nel 1942). E il suo nome è stato rimosso per le sue «connessioni deleterie con il movimento eugenetico».
Ricordiamo che, sulla scia del darwinismo sociale propugnato da sir Francis Galton, all’inizio del XX secolo guadagnarono molta popolarità le Società di Eugenetica che, negli Stati Uniti così come nel Nord Europa, ben presto saranno le artefici di leggi che imporranno la sterilizzazione obbligatoria per gli “insani”. E sono proprio queste società che porranno le basi culturali – ed economiche – che porteranno agli esperimenti della Germania nazista.

La tesi della difesa è che Margaret Sanger – che nel 1952 sarà anche la fondatrice dell’International Planned Parenthood Federation (IPPF), la più potente organizzazione abortista internazionale – era innanzitutto una femminista che combatteva e lavorava per l’autodeterminazione delle donne, per la loro liberazione dalla schiavitù della gravidanza, mentre l’adesione alle Società Eugenetiche (negli Usa e in Gran Bretagna) sarebbe stato un mezzo per raggiungere il suo vero obiettivo; così come la sintonia con il pensiero razzista sarebbe stato il frutto della cultura dell’epoca, dominata dall’eugenetica.

Dunque, si prendano pure le distanze dalla Sanger per le sue idee sulla razza, ma nessun problema per le oltre 800 cliniche abortiste diffuse in tutti gli Stati Uniti. L’eugenetica, secondo questa visione, sarebbe dunque per la Sanger un pensiero privato, condannabile sì ma che non intacca e non c’entra nulla con le “benemerite” attività per il controllo delle nascite. Basta dunque rimuovere il suo nome, le sue immagini, ed eventualmente anche le statue, per poter essere legittimati a praticare aborti.

Ma è proprio così? È proprio vero che il razzismo era un "cedimento" alla cultura dell'epoca, indipendente e ininfluente per la missione della Sanger? Si direbbe proprio di no. Anzi, proprio rileggendo Margaret Sanger – che ebbe anche una copiosa produzione letteraria – e guardando ai risultati della sua opera, se ne ricava l’impressione esattamente contraria. «Più bambini dai sani, meno bambini dai deboli, questo è il principio del controllo delle nascite», scriveva nel 1919 sulla Birth Control Review.

E in uno dei suoi libri più importanti “The Pivot of Civilization” (1920, Il fulcro della civilizzazione), la Sanger se la prende con i «filantropi», che prestano assistenza gratuita alle donne povere incinte, perché costringono «gli elementi più sani e più normali del mondo a prendersi il peso della fecondità irrazionale e indiscriminata degli altri…». E ancora avverte del pericolo che «gli abitanti dei quartieri poveri, che si moltiplicano come conigli, debordino dai confini dei loro quartieri o dei loro paesi e trasmettano ai migliori elementi della società le loro malattie e i loro geni di qualità inferiore».

E questi poveri da segregare e sterilizzare sono nella quasi totalità appartenenti a minoranze etniche. Per cui fin da subito le campagne per portare la contraccezione e poi l’aborto si concentrano nei quartieri dove prevalente è la presenza di neri e ispanici, oltre alle altre minoranze etniche. Stessa cosa vale a livello internazionale, dove l’IPPF agisce quasi esclusivamente nei paesi in via di sviluppo.

Tuttora negli Stati Uniti le cliniche abortiste e relative campagne si concentrano nelle aree a maggiore presenza di minoranze etniche, soprattutto afro-americani. Tanto è vero che su 850mila aborti praticati negli Stati Uniti nel 2017, il 36% riguardano donne afro-americane, quando gli afro-americani rappresentano il 13% della popolazione. Il 23% degli aborti è praticato su donne ispaniche (contro il 18% sul totale della popolazione). Al contrario, appena il 33% circa degli aborti riguarda donne bianche, quando i bianchi rappresentano il 61% della popolazione.

Il fatto è che il movimento per il controllo delle nascite, di cui il femminismo radicale alla Sanger è un elemento importante, è per sua natura razzista, così come le Società Eugenetiche. Sacrificare il nome della Sanger per salvare le attività abortiste di Planned Parenthood è un’operazione chiaramente ideologica. Se si volesse davvero fare un mea culpa sul “razzismo” si dovrebbe essere coerenti e chiudere tutte le cliniche abortiste sparse negli Stati Uniti.